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Il modo in cui Gesù si rivolse alla madre alle nozze di Cana fu forse irrispettoso o sgarbato?— Giovanni 2:4.

Ultimo Aggiornamento: 27/01/2019 16:41
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09/05/2013 10:06
 
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Il modo in cui Gesù si rivolse alla madre alle nozze di Cana fu forse irrispettoso o sgarbato? Giovanni 2:4.
Poco dopo il suo battesimo Gesù e i discepoli furono invitati a una festa nuziale a Cana. C’era anche sua madre. Quando venne a mancare il vino, Maria disse a Gesù: “Non hanno vino”. Gesù replicò: “Che ho a che fare con te, donna? La mia ora non è ancora venuta”. — Giovanni 2:1-4.
Probabilmente oggi rivolgersi alla propria madre chiamandola “donna” e dicendole “che ho a che fare con te?” sarebbe considerato irrispettoso se non addirittura offensivo. Tuttavia muovere simili accuse a Gesù equivarrebbe a non tener conto del contesto culturale e linguistico in cui si svolsero i fatti. Sarà utile capire come venivano usate queste espressioni nei tempi biblici.
Riguardo al termine “donna”, il Vine’s Expository Dictionary of Old and New Testament Words dice: “Rivolto a una donna, non è un termine severo o di rimprovero, ma esprime tenerezza o rispetto”. Altre fonti concordano. Per esempio un commento al Vangelo di Giovanni dice: “Non è un rimprovero né un termine scortese, né un segno di mancanza di affetto . . . Per Gesù era il modo normale, gentile di rivolgersi alle donne”. Il Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento spiega che “è una forma d’appellativo che non comporta alcuna sfumatura dispregiativa”. E il Grande Lessico del Nuovo Testamento dichiara che l’appellativo “non è affatto irriverente o sprezzante”. Pertanto non dovremmo concludere che Gesù, rivolgendosi alla madre con il termine “donna”, fosse sgarbato o scortese con lei. — Matteo 15:28; Luca 13:12; Giovanni 4:21; 19:26; 20:13, 15.
Concentriamoci ora sulla domanda “che ho a che fare con te?” A quanto sembra è un’espressione ebraica comune che ricorre varie volte nella Bibbia. Per citare un esempio, in 2 Samuele 16:10 leggiamo che il re Davide impedì ad Abisai di uccidere Simei con le parole: “Che ho a che fare con voi figli di Zeruia? Lasciate che egli invochi così il male, perché Geova stesso gli ha detto: ‘Invoca il male su Davide!’” In modo simile, in 1 Re 17:18 si legge che la vedova di Zarefat, dopo aver visto che suo figlio era morto, disse a Elia: “Che ho a che fare con te, o uomo del vero Dio? Sei venuto da me per rievocare il mio errore e per mettere a morte mio figlio”.
Da questi esempi biblici comprendiamo che l’espressione “che ho a che fare con te?” veniva usata spesso non per mostrare disprezzo o arroganza, ma per rifiutarsi di partecipare a un’azione proposta o suggerita, o per esprimere un’opinione o un punto di vista diverso. Che si può dire dunque delle parole che Gesù rivolse a Maria?
Quando disse a Gesù “non hanno vino”, evidentemente Maria non lo stava solo informando di questo fatto ma gli stava anche suggerendo di fare qualcosa in merito. Gesù usò questa comune forma idiomatica per respingere il velato suggerimento di Maria, e le parole che aggiunse, “La mia ora non è ancora venuta”, ci aiutano a capire il motivo per cui lo fece.
Da quando si era battezzato ed era stato unto nel 29 E.V., Gesù sapeva bene qual era la volontà di Geova: come Messia promesso doveva seguire una condotta integra che lo avrebbe portato alla morte, risurrezione e glorificazione. “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito”, disse, “ma per servire e per dare la sua anima come riscatto in cambio di molti”. (Matteo 20:28) Quando il tempo della sua morte si avvicinava, Gesù lo rese chiaro affermando: “È venuta l’ora”. (Giovanni 12:1, 23; 13:1) Infatti la sera prima di morire pregò: “Padre, l’ora è venuta; glorifica il tuo figlio, affinché il figlio glorifichi te”. (Giovanni 17:1) E infine, quando la turba arrivò nel Getsemani per arrestarlo, Gesù destò gli apostoli dal sonno dicendo: “L’ora è venuta! Ecco, il Figlio dell’uomo è consegnato nelle mani dei peccatori”. — Marco 14:41.
Quando ci furono le nozze di Cana, però, Gesù aveva appena intrapreso il ministero quale Messia e la sua “ora” non era ancora venuta. Il suo principale obiettivo era fare la volontà del Padre nel modo e nel tempo da Lui stabiliti, e nessuno avrebbe potuto impedirgli di raggiungere quell’obiettivo. Nell’informare la madre di questo fatto Gesù fu risoluto, ma certo non irrispettoso o sgarbato. Maria a sua volta non si sentì offesa o messa in imbarazzo dal figlio. Anzi, comprendendo il senso delle parole di Gesù, Maria disse a coloro che servivano: “Qualunque cosa vi dica, fatela”. Anziché ignorare la madre, Gesù compì il suo primo miracolo in qualità di Messia, trasformando l’acqua in vino eccellente. Dimostrò così ottimo equilibrio: oltre a fare la volontà di Dio tenne anche conto dell’interessamento della madre. — Giovanni 2:5-11.
W06 1/12
[Modificato da TIMOTEOdiLISTRA 09/05/2013 10:09]



"Ognuno ci stimi come subordinati di Cristo ed economi dei sacri segreti di Dio.Inoltre, in questo caso, ciò che si richiede dagli economi è che uno sia trovato fedele."1 Corinti 4:1,2
09/05/2013 12:33
 
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"Che ho a che fare con te?" era una espressione verbale di opposizione.

La parola "donna" significa, seppure con gentilezza, soggetta ad autorità maschile;

Che abbia usato questa espressione "donna", invece di Madre, rivolto a sua madre indica che in quella situazione era centrale il rapporto di autorità: maschio-femmina.

Maria solamente descrisse al figlio una situazione che si era venuta a creare: "non hanno vino"; possiamo immaginare che desiderasse un suo intervento, non necessariamente miracoloso, al riguardo, ma espressamente non lo chiese.

E' probabile che per relazioni di parentela Maria avesse un ruolo nell'organizzazione della festa e si fosse presa una qualche responsabilità al riguardo che andava al dilà di quanto necessariamente le era stato delegato.

Gesù si oppose alla richiesta di assunzione di responsabilità dietro un tacito suggerimento di una donna, anche se era sua madre, indicando chiaramente che qualcuno uomo era responsabile.

Dicendo che la sua ora non era ancora venuta suggeriva che se fosse venuta l'ora, cioè il tempo e la situazione esatta, sarebbe stato ben disposto a fare quanto suggerito, come Maria capì, e poi infatti poco dopo Gesù fece, cambiate le circostanze.

Dal commento finale del capo organizzatore del banchetto, si vede che la responsabilità di fornire vino era solamente specialmente dello sposo. Solo lui poteva decidere al riguardo, non Maria, non Gesù; dico per assurdo che poteva darsi che gli invitati non volessero più vino e preferissero l'acqua; Non è giusto in casa di una persona trasformare l'acqua in vino senza il suo permesso.

IN SINTESI: quando Maria, sottoposta ad autorità dello sposo, disse ai servitori di fare quello che Gesù diceva, aveva avuto da questi l'autorità che prima non aveva, ma che aveva richiesto e ottenuto, seguendo le istruzioni di Gesù, che seguiva l'autorità di Geova.
10/05/2013 12:29
 
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Re:
speculator, 5/9/2013 12:33 PM:

"Che ho a che fare con te?" era una espressione verbale di opposizione.



Non ne sarei così sicuro; il greco ha τί ἐμοὶ καὶ σοί, γύναι; letterale: «che cosa a me e a te, donna?». Dipende da quel καὶ: se ha il valore di congiunzione potrebbe ben essere interpretato «questo fatto che ha a che fare con me e te? (ovvero «che pertiene a noi?»)». Se invece καὶ = ‘anche’, il senso può cambiare: «che cosa pertiene anche a te di quello che pertiene a me?», frequente nelle traduzioni di marca protestante, cui la NWT pare allineata. Il contesto mi fa preferire la prima interpretazione.


La parola "donna" significa, seppure con gentilezza, soggetta ad autorità maschile;



Discutibile; cfr. Joh. 19, 26 γύναι, ἴδε ὁ υἱός σου «Donna questo è tuo figlio»; un altro esempio di γυνή ‘donna’ in questo senso in Cassio Dione LI, 12, 5 (Augusto a Cleopatra) «Confida, o donna (ὧ γύναι), e sta di buon animo, mentre non patirai alcun danno».


Che abbia usato questa espressione "donna", invece di Madre, rivolto a sua madre indica che in quella situazione era centrale il rapporto di autorità: maschio-femmina.



No, proprio perché Giovanni usa la stessa espressione sulla croce (o sul palo, se preferite), ove il rapporto di autorità non rileva. Ciò che è centrale in questo episodio è invece il tema della venuta del tempo del Messia, perché è questo in buona sostanza che Gesù oppone a Maria, non la Sua autorità di uomo.


Maria solamente descrisse al figlio una situazione che si era venuta a creare: "non hanno vino"; possiamo immaginare che desiderasse un suo intervento, non necessariamente miracoloso, al riguardo, ma espressamente non lo chiese.

E' probabile che per relazioni di parentela Maria avesse un ruolo nell'organizzazione della festa e si fosse presa una qualche responsabilità al riguardo che andava al dilà di quanto necessariamente le era stato delegato.

Gesù si oppose alla richiesta di assunzione di responsabilità dietro un tacito suggerimento di una donna, anche se era sua madre, indicando chiaramente che qualcuno uomo era responsabile.



Bene solo in parte parte; l’opposizione di Gesù alla madre si fonda, come accennato, sul fatto che il Suo momento non è ancora venuto, e non, ammesso e non concesso a priori che lo sia, sul fatto che «donna» sia termine riduttivo rispetto all’uomo. Se così fosse verrebbe difficile spiegare il comportamento successivo di Maria, che, dopo aver ricevuto un rimprovero, agisce invece come se avesse ricevuto un assenso. È vero che la Bibbia è molto sintetica nei passaggi, ma qui l’ellissi è decisamente molto forte. Naturalmente è solo la mia personale interpretazione, che riporto non per polemizzare, ma per arricchire la discussione.


[Modificato da Quixote68 10/05/2013 12:32]
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Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς.
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
GIOVANNI, III, 19. (G. Leopardi, La ginestra, esergo)
10/05/2013 16:04
 
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Per Quixote68

Grazie per quanto scritto.

Ci penserò con attenzione e risponderò.
Aggiungo che in qualche altra parte del forum si è trattato di questa scrittura

il 13- 2- 2012 discussione di Seabiscuit cartella apologetica "il miracolo a Cana Gesù lo fece perchè comandato da Maria?"
11/05/2013 12:11
 
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Re: Re:
Quixote68, 5/10/2013 12:29 PM:

speculator, 5/9/2013 12:33 PM:

"Che ho a che fare con te?" era una espressione verbale di opposizione.



Non ne sarei così sicuro; il greco ha τί ἐμοὶ καὶ σοί, γύναι; letterale: «che cosa a me e a te, donna?». Dipende da quel καὶ: se ha il valore di congiunzione potrebbe ben essere interpretato «questo fatto che ha a che fare con me e te? (ovvero «che pertiene a noi?»)». Se invece καὶ = ‘anche’, il senso può cambiare: «che cosa pertiene anche a te di quello che pertiene a me?», frequente nelle traduzioni di marca protestante, cui la NWT pare allineata. Il contesto mi fa preferire la prima interpretazione.



Una doverosa rettifica e una precisazione, intanto che Speculator riflette. Ho riletto attentamente il primo post, e devo sfumare quanto detto, perchè avevo sottovalutato i due passi paralleli di 2 Sam. 16, 10 e 1 Re 17, 18. Non avevo dato troppo valore ad essi, perché, mi son detto, il NT è scritto in greco, mentre il VT in ebraico, quindi i riferimenti linguistici son da prendere con le molle. Non avevo riflettuto, però, che l’evangelista probabilmente non aveva come riferimento il testo ebraico, ma quello greco dei Settanta. Per cui sono andato a controllare quest’ultimo testo, e me ne vien confermato il valore dell’espressione come lo intendono solitamente i protestanti e la TNM/NWT. Infatti:


LXX 2 Re, 16,1 = 2 Sam. 16,10: τι εμοί και υμίν «Che ho io in comune con voi» (trad. CEI in rete)

LXX 3 Re 17, 18 = 1 Re 17, 18: τι εμοί και σοί «Che cosa c'è tra me e te» (Ibid.)



per cui, ricorrendo la stessa espressione (τι εμοί και σοί ) in Gv. 2, 4 sul piano linguistico è indubitabile che l’interpretazione della TNM sia da preferirsi a quella che le avevo preposto.

Viceversa sempre i motivi linguistici hanno rafforzato la mia convinzione che non si possa connotare quel «donna» come ‘soggetta all’autorità maschile’; oltre ai passi da me citati di Gv. 19, 26 e Cassio Dione LI, 12, 5, ancora in Gv. 20, 13 ritroviamo il vocativo «donna» (γύναι), riferito a Maria Maddalena dagli angeli, che in questo caso assolutamente non può avere valore riduttivo. Inoltre anche in ebraico mi risulta che all’epoca l’equivalente di donna potesse avere un senso “nobile”, un po’ come il domina latino o il "(ma)donna" medievale. Nel caso poi di Maria mi sembra che l’evangelista, dato anche che il quarto vangelo si stacca dagli altri per il suo maggior simbolismo, preferendolo sia in 2, 4 che in 19, 26 al naturale ‘mamma/madre’, voglia piuttosto sottolineare il distacco di Gesù-Dio dalle cose terrene, che non rifarsi a un motivo, per così dire, giuridico, in conformità alla prassi maschilista del rapporto uomo-donna di quel tempo.

Quanto infine all’interpretazione del passo mi sembra in questo caso buona la trad. CEI, che è libera, ma a mio parere coglie bene il senso di quanto non viene espresso:


3. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4. E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora».



che del resto non è dissimile dalle traduzioni protestanti. Poiché il testo è ellittico qui bisogna interpretare i silenzi e gli atteggiamenti dei protagonisti; Maria informa Gesù della sopravvenuta mancanza di vino, con sottintesa, forse, la domanda «potresti fare qualcosa?». Gesù sembra schermirsi, e risponde con una frase fatta, che forse cela anche un po’ d’ironia; dobbiamo forse immaginare che, dopo aver apparentemente detto no a parole, termini invece con un sorriso e un cenno d’assenso, perché la madre subito si affretta a impartire ordini ai servi. Per inciso proprio questo fatto dimostra che Maria, nell’occasione, esercita una certa autorità all’interno del convito, se può dire ai servi, che non sono suoi, quello che essi devono fare.

[Modificato da Quixote68 11/05/2013 12:17]
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Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς.
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
GIOVANNI, III, 19. (G. Leopardi, La ginestra, esergo)
11/05/2013 13:49
 
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τί ἐμοὶ καὶ σοὶ: ci sono diversi esempi di questo dativo etico [Robertson] sia nella LXX (Gc 11,12; 2Sa 16,10; 1re 17,18; 2Re3,13; 2Cr35,21) e nel NT (Mc 1:24; Mc 5:7; Mt 8:29; Mt 27:19; Lc 8:28) nonché di altri scrittori giudaici.

Shalom
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Sijmadicandhapajiee, gente per cui le arti stan nei musei - Paolo Conte

FORUM TESTIMONI DI GEOVA
12/05/2013 19:35
 
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da Perspicacia: Libro secondo M A R I A pagina 220

Quando a uno sposalizio a Cana di Galilea finì il vino e Maria lo disse a Gesù, egli rispose: “Che ho a che fare con te, donna? La mia ora non è ancora venuta”. (Gv 2:1-4)

Qui Gesù usò un’antica forma interrogativa che ricorre otto volte nelle Scritture Ebraiche (Gsè 22:24; Gdc 11:12; 2Sa 16:10; 19:22; 1Re 17:18; 2Re 3:13; 2Cr 35:21; Os 14:8)

e sei volte nelle Scritture Greche (Mt 8:29; Mr 1:24; 5:7; Lu 4:34; 8:28; Gv 2:4).

La traduzione letterale sarebbe: “Che cosa a me e a te?” Vale a dire: “Cosa c’è in comune fra me e te?” o “Cosa abbiamo in comune io e te?” o “Che cosa ho a che fare con te?”

In ogni caso questa espressione indica un’obiezione alla cosa suggerita, proposta o sospettata. Quindi Gesù espresse amorevolmente in questa forma la sua benevola riprensione, indicando alla madre che non prendeva ordini da lei ma dalla Suprema Autorità che l’aveva mandato. (1Co 11:3)

Maria, sensibile e umile per natura, capì subito e accettò la correzione. Tirandosi indietro e lasciando che Gesù prendesse l’iniziativa, essa disse a quelli che servivano: “Qualunque cosa vi dica, fatela”. — Gv 2:5.

**************************************

Dalla bibbia grande con note della Società Torre di Guardia Rbi8-I 1987

Appendice: 7B

7B Domande che rivelano avversione o obiezione

Mt 8:29 — “Che abbiamo a che fare con te, Figlio di Dio?”

Questa domanda che i demoni fecero a Gesù è un’antica forma idiomatica di domanda che si trova in otto luoghi delle Scritture Ebraiche, cioè in Gsè 22:24; Gdc 11:12; 2Sa 16:10; 19:22; 1Re 17:18; 2Re 3:13; 2Cr 35:21; Os 14:8. Sia nelle Scritture Greche Cristiane che nella versione siriaca viene fatta una traduzione letterale dell’antica espressione ebraica, per sei volte, cioè in Mt 8:29; Mr 1:24; 5:7; Lu 4:34; 8:28; Gv 2:4.

Tradotta letteralmente, la domanda di Mt 8:29 dice: “Che c’è a noi e a te?” e significa: “Che c’è fra noi e te?” “Che cosa abbiamo in comune noi e te?” O, com’è reso sopra: “Che abbiamo a che fare con te?”

In ogni caso delle Scritture Ebraiche e Greche, si tratta di una forma di domanda che rivela avversione o obiezione alla cosa suggerita, proposta o sospettata. Questo è sostenuto dalla forma enunciativa usata in Esd 4:3 (2 Esdra 4:3, LXX): “Voi non avete nulla a che fare con noi nell’edificare una casa al nostro Dio”; oppure: “Non spetta a voi e a noi edificare una casa al nostro Dio”.

Lo stesso tipo di espressione, all’imperativo, si ritrova in Mt 27:19 nella richiesta fatta a Pilato da sua moglie riguardo a Gesù, che era dinanzi a suo marito per essere processato: “Non aver nulla a che fare con quel giusto”. Letteralmente: “Non ci sia nulla fra te e quel giusto”.

Espressa in quella forma molto comune, la domanda che Gesù fece a sua madre in Gv 2:4 non può essere esclusa dalla categoria. Ha tutte le caratteristiche della ripulsa o resistenza alla madre che gli proponeva cosa fare. Nel suo caso abbiamo dunque reso la domanda come in tutti gli altri casi simili: “Che ho a che fare con te, donna? La mia ora non è ancora venuta”.

Altri traduttori la rendono più vigorosamente: “Non cercare di dirigermi. Non è ancora tempo che io agisca”. (An American Translation) “Non infastidirmi, donna; la mia ora non è ancora venuta”. — The Four Gospels, di C. C. Torrey, basato sull’aramaico.
27/04/2018 21:30
 
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Era ben disposto a provvedere ma non ne aveva autorita'.

Maria aveva come parente particolare autorita' di comandare i servi.
27/01/2019 16:41
 
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Post: 826
Re:
speculator, 12/05/2013 19.35:

da Perspicacia: Libro secondo M A R I A pagina 220

Quando a uno sposalizio a Cana di Galilea finì il vino e Maria lo disse a Gesù, egli rispose: “Che ho a che fare con te, donna? La mia ora non è ancora venuta”. (Gv 2:1-4)

Qui Gesù usò un’antica forma interrogativa che ricorre otto volte nelle Scritture Ebraiche (Gsè 22:24; Gdc 11:12; 2Sa 16:10; 19:22; 1Re 17:18; 2Re 3:13; 2Cr 35:21; Os 14:8)

e sei volte nelle Scritture Greche (Mt 8:29; Mr 1:24; 5:7; Lu 4:34; 8:28; Gv 2:4).

La traduzione letterale sarebbe: “Che cosa a me e a te?” Vale a dire: “Cosa c’è in comune fra me e te?” o “Cosa abbiamo in comune io e te?” o “Che cosa ho a che fare con te?”

In ogni caso questa espressione indica un’obiezione alla cosa suggerita, proposta o sospettata. Quindi Gesù espresse amorevolmente in questa forma la sua benevola riprensione, indicando alla madre che non prendeva ordini da lei ma dalla Suprema Autorità che l’aveva mandato. (1Co 11:3)

Maria, sensibile e umile per natura, capì subito e accettò la correzione. Tirandosi indietro e lasciando che Gesù prendesse l’iniziativa, essa disse a quelli che servivano: “Qualunque cosa vi dica, fatela”. — Gv 2:5.

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Dalla bibbia grande con note della Società Torre di Guardia Rbi8-I 1987

Appendice: 7B

7B Domande che rivelano avversione o obiezione

Mt 8:29 — “Che abbiamo a che fare con te, Figlio di Dio?”

Questa domanda che i demoni fecero a Gesù è un’antica forma idiomatica di domanda che si trova in otto luoghi delle Scritture Ebraiche, cioè in Gsè 22:24; Gdc 11:12; 2Sa 16:10; 19:22; 1Re 17:18; 2Re 3:13; 2Cr 35:21; Os 14:8. Sia nelle Scritture Greche Cristiane che nella versione siriaca viene fatta una traduzione letterale dell’antica espressione ebraica, per sei volte, cioè in Mt 8:29; Mr 1:24; 5:7; Lu 4:34; 8:28; Gv 2:4.

Tradotta letteralmente, la domanda di Mt 8:29 dice: “Che c’è a noi e a te?” e significa: “Che c’è fra noi e te?” “Che cosa abbiamo in comune noi e te?” O, com’è reso sopra: “Che abbiamo a che fare con te?”

In ogni caso delle Scritture Ebraiche e Greche, si tratta di una forma di domanda che rivela avversione o obiezione alla cosa suggerita, proposta o sospettata. Questo è sostenuto dalla forma enunciativa usata in Esd 4:3 (2 Esdra 4:3, LXX): “Voi non avete nulla a che fare con noi nell’edificare una casa al nostro Dio”; oppure: “Non spetta a voi e a noi edificare una casa al nostro Dio”.

Lo stesso tipo di espressione, all’imperativo, si ritrova in Mt 27:19 nella richiesta fatta a Pilato da sua moglie riguardo a Gesù, che era dinanzi a suo marito per essere processato: “Non aver nulla a che fare con quel giusto”. Letteralmente: “Non ci sia nulla fra te e quel giusto”.

Espressa in quella forma molto comune, la domanda che Gesù fece a sua madre in Gv 2:4 non può essere esclusa dalla categoria. Ha tutte le caratteristiche della ripulsa o resistenza alla madre che gli proponeva cosa fare. Nel suo caso abbiamo dunque reso la domanda come in tutti gli altri casi simili: “Che ho a che fare con te, donna? La mia ora non è ancora venuta”.

Altri traduttori la rendono più vigorosamente: “Non cercare di dirigermi. Non è ancora tempo che io agisca”. (An American Translation) “Non infastidirmi, donna; la mia ora non è ancora venuta”. — The Four Gospels, di C. C. Torrey, basato sull’aramaico.

non le sembra strano che Gesù risponda in questo modo quando si dice che Egli stesso era sottomesso ed ubbidiente ai suoi genitori?


Longo Francesco nato a Catania il 5-7-60 interesse per lo studio delle sacre scritture
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