“Miegge e Papini mi sembrano nomi di cui ci possiamo fidare”
E, da quello che ho capito, Miegge non nega la presenza di Pietro a Roma. Quando a Papini
“Sono tutte fonti che di per sé attestano poco e niente.”
Sono tutte fonti che convergono e si incastrano su Roma sin dal I secolo.
“i tratta di allusioni che possono essere variamente interpretate”
Si va da allusioni in Ignazio e Clemente, ma che sono già molto vista la miseria che c’è rimasta della patristica del I secolo, a riferimenti ben più netti sempre a fine I secolo (fr. Rainer e Ascensio Isaie), a varie fonti nel II secolo. Su Babilonia invece il nulla.
“sei ti quello dogmatico verso le tesi di Miegge”
Ma io non ho detto che ho la dimostrazione che Pietro sia andato a Roma, o detto che a non credervi siete rimasti solo voi, e dunque potete cullarvi nella vostra bambagia ottocentesca col mondo accademico che ormai è altrove.
“Comunque filologi, magari ipercritici ma comunque non fu nell'ambiente teologico che si svilupparono le perplessità più forti, a differenza di quanto avevi insinuato.”
La negazione di Pietro a Roma nasce in ambito teologico, che poi l’ipercritica ottocentesca vi abbia dato corda nella sua volontà di negare tutto il cristianesimo primitivo è un altro paio di maniche. La radice teologica, per la precisione, è la riforma protestante, Lutero. Nessuno per sedici secoli aveva mai dubitato nulla, poi arrivarono i pamphlets dei protestanti all’alba della riforma. Qui la filologia tedesca ottocentesca, quella malata, non c’entra ancora.
“Non mi pare che negli anni sessanta la Valdese fosse un covo si sfigati stupidotti, pronti a credere o produrre tesi prive di valore scientifico.”
Come già detto non mi interessa se fossero sfigati o scemi, non lo erano neppure quei filologi dell’ottocento da me citati. Semplicemente quella tesi oggi è out, infatti nel mondo accademico non è più attestata. L’intelligenza di quegli autori non c’entra nulla, semplicemente erano nati nell’ottocento, e anche Miegge lo era, motivo per cui s’erano formati sotto un’altra temperie culturale, quella dell’anticattolicesimo ad ogni costo, cosa ovviamente identica anche dall’altro lato della barricata: antiprotestantesimo ad ogni costo. Figli della stagione della critica disgregatrice e malata, oggi invece, memori delle iperboli del passato, ci si assesta sulla ragionevolezza.
“il GLNT non è poi troppo più recente di Miegge. Possibile che ti sua tanto difficile accordare dignità a tesi diverse dalle tue?”
Potevano avere dignità quando furono scritte, oggi è roba da outsider.
“Voi chi? Non mi risulta che Miegge sostenga la paternità marciana in base alle dichiarazioni di Papia,”
Non è Miegge che sostiene la paternità marciana sulla base di Papia, è CHIUNQUE che sostiene la paternità marciana sulla base di Papia, perché è la fonte antica che per prima ci dice di chi è quel Vangelo. O credi forse che nel Vangelo di Marco ci sia scritto che è stato scritto da Marco?
“Manifestare questo scetticismo significa "adottare l'ipercritica ottocentesca" da parte di Miegge???”
Esattamente, perché nello scrivere un manuale di storia della Chiesa ci si accontenta di molto meno. Ad esempio, da dove ricavi che il Vangelo di Giovanni sia opera di Giovanni? La prima fonte è DI FINE SECONDO SECOLO, Ireneo. Invece qui, una molteplicità di fonti ben più antiche, vengono snobbate.
“Dallo stesso Giuseppe Flavio.”
Ovviamente ci dirai il passo in cui hai letto che tornarono subito.
“Tanto più che Seleucia in realtà era solo una "Babilonia" greca”
E questo uso semantico di Seleucia per Babilonia dove sarebbe attestato?
“E' possibile che si trovasse in Mesopotamia o no? Non diventre inutilmente polemico.”
Certo che è possibile, come è possibile che Omero sia vissuto nel Mar Baltico. Semplicemente è poco plausibile.
“Poiché qual giorno si battezzarono circa 3000 anime è possibilissimo che alcuni di quelli provenienti dalle località specificate da Luca siano divenuti credenti,”
Ovviamente ipotesi ad hoc letta da nessuna parte. Anche perché Babilonia nell’elenco non c’è, si dice “mesopotamia”, ergo altra ipotesi ad hoc che, tra le città mesopotamiche, sia babilonese chi parla.
“così Luca spieghi anche l'origine del cristianesimo in quelle aree. altrimenti perchè citare proprio quelle località e non altre?”
Veramente cita tutte le aree del mondo che gli vengono in mente per dire che il messaggio è stato annunziato a tutti gli ebrei, di ogni regione.
“Serve solo a chiarire che non è certo che il cristianesimo fosse assente in quell'area fino a III secolo.”
Ma non c’è alcuna ragione di ipotizzare qualcosa su cui non c’è un solo indizio. Come ripeto tu devi costruire un teorema di ipotesi suffragate dal nulla.
1)Inventare una comunità ebraica che in quel momento stava a Seleucia.
2)Inventare un viaggio che non ha nessuna attestazione.
3)Inventare una comunità cristiana sparita nel nulla, comunità che già a inizio II secolo non saprebbe rivendicare la morte di Pietro, visto che la Tradizione a Roma è attestata già in quel periodo.
Tutto ciò come ripeto è il capolavoro dell’incoerenza. Si accetta ad esempio che la II lettera di Pietro sia davvero di Pietro quando a dircelo sono fonti che risalgono solo a fine II secolo, mentre quando fonti, e più d’una, più antiche, ci dicono che fu a Roma, questo si nega.
“L'aramico era di gran lunga più diffuso in quell'area, e in quanto a Babilonia la comunità giudaica era certamente più grande, antica e potente di quella romana, e per di più avevano costanti rapporti con Gerusalemme.”
Ma cosa stai dicendo? Mi spieghi da dove avresti evinto che la comunità giudaica di Babilonia fosse più grande di quella di Roma, con tanto di “certamente”? Ma in quale etnografo o antichista avresti letto una cosa simile?
“Siamo nel I secolo e come non vi era problemi ad attribuire scritti a questo o quell'apostolo, perchè scritti magari da un suo discepolo o seguendo il suo stile”
Ma chissà perché invece, fonti molto più tarde, bastano per attribuire il Vangelo di Giovanni, quello di Luca, II Pietro, e, proprio la fonte che dà l’attribuzione di Marco e Matteo, viene rigettata nelle medesime righe in cui parla di quest’attribuzione insieme al soggiorno romano. E comunque, cosa c’entra l’attribuzione pseudo-epigrafa con l’inventarsi un soggiorno? E poi, perché a Roma e non altrove?
“Pietro e Paolo accopiati non richiede necessariamente la loro presenza nella stessa città. “
Non ho detto che nei testi in cui sono accoppiati si dice che siano stati a Roma, ma che, guarda caso, i testi in cui sono accoppiati, sono di matrice romana. E’ solo un altro pezzo del puzzle, dove “tout se tien”, al contrario delle tue fonti uguali a ZERO e del tuo teorema che devi tirare in piedi per mandare in altre direzioni con un’ipotesi ad hoc dietro all’altra tutte le fonti che puntano verso Roma. Ignazio che dice, AI ROMANI, “io non vi do ordini come Pietro e Paolo”. Non conclusivo? Verissimo. Ma perché solo a Roma non dà ordini, mentre in qualsiasi altra comunità né dà? E perché cita proprio in accoppiata Pietro e Paolo visto che Pietro non ha scritto nessuna lettera ai Roma? Perché non “Paolo e Giovanni”, o qualunque altro apostolo? Perché Pietro è legato a Roma? Ignazio, se scrive ad una comunità apostolica, ricorda l’apostolo legato ad essa, esempio agli Efesini (Eph. 12,2), mentre nelle comunità di fondazione non apostolica, non avendo apostoli da citare, non parla di loro. A Roma, guarda caso, cita Pietro e Paolo…
E anche Clemente, perché per parlare di coloro che sono stati da esempi nella fede, e parlando di martirio, guarda caso cita ancora in coppia “Pietro e Paolo”? Se, come dicono i TdG, Pietro non è il principe dei dodici ma un apostolo come un altro, come si spiegano queste coincidenze? Coincidenze a cui si aggiungono, come ripeto, non solo Egesippo, e il fatto che il suo racconto di un Vangelo romano sia perfettamente credibile viste le caratteristiche del Vangelo marciano, ma per l’appunto le altre fonti del I secolo, l’Ascensio Isaiae e il fr. Rainer. Questa è una clamorosa serie di indicatori che tenti di svilire con delle cervellotiche ipotesi ad hoc a cui non si può rispondere perché sono argomentate col solo “è possibile che”, la metodologia storica dei dilettanti.
Il Nt, come tutti sanno, quando parla di Babilonia ha in mente Roma (e mi riferisco ai commentari biblici scritti da gente con una cattedra). Babilonia è infatti una metropoli, è definita “Babilonia la grande città”, che siede sui sette colli (Ap 17,9). Anche qui, dopo decenni di negazioni inutili, finalmente, raccolte tutte le argomentazioni dei pareri discordanti, il mondo accademico ha capito da dove penda l’ago della bilancia e negli ultimi anni la designazione di Roma=Babilonia è parte del consenso comune. Se poi voi non sapete cosa sia la dimensione dell’aggiornamento e pensate che citare una rivista degli anni ottanta equivalga a citare gli studi attuali è un vostro problema, scambiereste la plurivocità di voci del mondo accademico con il filo rosso che invece è chiramente distinguibile in mezzo al chiasso.
“E la tradizione dell'Ascensione sinceramente è troppo generica, persino Gnilka dice che non si parla esplicitamente di Pietro”
Ma cosa vuol dire “esplicitamente”? E’ un testo apocalittico. Il fatto che non ci sia il nome, cosa del tutto ovvia se si confronta con l’Apocalisse di Giovanni che è tutta un simbolo, non vuol dire che Gnilka non sia convinto, insieme a tutto il consensus omnium bonorum, che dietro a tutte le allusioni ci sia Pietro, e lo so perché quel libro l’ho letto. “Quando, in un siffatto contesto, si menziona uno dei dodici apostoli, non può trattarsi che di Pietro. Se il nome Pietro non viene datto esplicitamente ciò è dovuto allo stile apocalittico che procede per riferimenti indiretti. “Dato in mano a qualcuno” è una formulazione già abbastanza minacciosa; ma se è la mano di un matricida quella in cui si cade, può trattarsi solo del peggio.”(Gnilka, Pietro e Roma, pag 115)
“Di fatto la propensione di Marcione a vampirizzare Paolo, che sicuramente fu a Roma (non trovi strano tanti chiari riferimenti a Paolo e solo oscure allusioni a Pietro prima del 150?”
C’è una lettera di San Paolo ai Romani, e gli Atti li ha scritti il collaboratore di Paolo, niente di strano.
“Semplicemente ritiene, dal suo punto di vista, doveroso di riaprire il capitolo da un punto di vista non teologico”
L’ha riaperto 50 anni fa ed era retrò già allora, voi oggi, chi potete citare dalla vostra? Nessuno che abbia una cattedra come ripeto, la vostra tesi è out. Non mi interessa dimostrarti che ho ragione, io non credo alle dimostrazioni, voglio solo toglierti dalla testa l’illusione che tu stia adottando una tesi con qualche credibilità accademica.
“Non si dice chi sia. Il riferimento è troppo generico e vago, e lo interpretiamo solo a posteriori. Che cosa vuol dire poi "è dato in mano" a Nerone? Può voler dire mille cose, imprigionato, esiliato o ucciso. Harnack, che pure è difensore della tesi positiva, nega che questa frase era riferita al martirio di Pietro e per Zeller si riferirebbe all'esilio di Giovanni.”
E’ il culmine. Chi altro avrebbe ucciso/imprigionato Nerone tra i dodici a parte Pietro, me lo dici? Che rivelazione vuoi darci? Fu Taddeo, Matteo, o chi altro tra i dodici? Si parla di Nerone, ergo della comunità di Roma, quale altro apostolo dei dodici sarebbe stato ucciso a Roma (giacché come ricordo la persecuzione neroniana non fu su scala imperiale ma solo romana)? E poi, Giovanni??? Giovanni era ancora vivo quando Nerone stava nella tomba da tre decenni, non è mai stato a Roma, è stato prigioniero a Patmos e non in Italia, la persecuzione che subì non fu quella neroniana ma quella domizianea. Ergo ripeto, come può essere qualcuno fuori che Pietro?
Altro pezzo del puzzle, il fr. Rainer di I primo secolo: “Ecco, o Pietro, ti ho rivelato e spiegato tutto. Ora va nella città della prostituzione e bevi il calice che ti ho promesso dalle mani del Figlio di clui che si trova nell’Ade. Così la sua distruzione avrà inizio, ma tu sarei invece degno della promessa”(la citazione è da Gnilka, pag 115).
Tutto ciò, inutile dire, si incastra perfettamente con l’Ascensio Isaiae, si parla di una persecuzione romana(la città della prostituzione) di Pietro, ad opera dell’imperatore (il Figlio di colui che si trova nell’Ade). Non a caso queste designazioni sono le stesse di Babilonia la Grande dell’Apocalisse, ma non c’era bisogno di dirlo, tutto si incastra alla perfezione. Al contrario del tuo teorema che si basa su testi pari a zero e su una serie di ipotesi ad hoc che tentano di dare ragione di questa concatenazione inspiegabile. Come commenta Gnilka: “Effettivamente il frammento collima col testo trattato sopra (l’Ascensio N.d.R.) nel collegare nello stesso discorso Nerone, Pietro e l’orizzonte escatologico: Nerone ha i connotati dell’Anticristo(cf. 2Ts 2,3.8); il martirio romano è espresso in termini non equivocabili: la città della prostituzione è Roma, il calice è l’immagine della morte violenza (cf Mc 10,39 par.). Importante è anche la concetrazione su Pietro che contraddistingue questa tradizione. Essa è più antica di quella che pone Pietro e Paolo in parallelo. Dovrebbe essere sorta come tradizione autonoma: essa ci diviene accessibile verso gli anni 90 del I secolo, cioè tren’anni dopo gli eventi. Questa distanza cronologica relativamente breve garantisce l’attendibilità del martirio romano di Pietro. In questa medesima decade rientra la composizione della I lettera di Clemente, della piccola apocalisse contenuta dell’Ascensione di Isaia, dell’Apocalisse di Giovanni e anche del testo contenuto nel fr. Rainer” (Gnilka, op. cit, pagg. 115-116)
“a deve essere valutata anche in base all'assenza di riferimenti nel NT”
Non c’è nessun silenzio nel NT, tutto in quel testo e nella letteratura coeva apocalittica giudaica ci dicono che Babilonia è un nome di Roma, perché era lei la nuova persecutrice. Questo ovviamente di per sé sarebbe solo un indizio, ma come ripeto si incastra con tutto il resto, con tutte le fonti esaminate. Su Babilonia in Mesopotamia invece abbiamo lo zero più assoluto.
“Egesippo dice di essere stato molto tempo a Corinto prima di essere a Roma. Mi pare evidente che fosse venuto a conoscenza della lettera di Clemente”
Fosse anche venuto a conoscenza della lettera di Clemente, in quella lettera non è riportato quello che dice Egesippo, che invece stende una completa serie di successori di Pietro fino ad allora, e dunque si documentò in loco. Per questo dico che quando un filologo deve provare la dipendenza di un testo dall’altro deve far notare moduli stilistici o informazioni, o modi di strutturare le informazioni, che siano presenti in due testi e ne mostrino la genesi uno dell’altro. Quei due testi trattano di Pietro sotto aspetti troppo diversi, e qualsiasi dipendenza è una pura ipotesi da respingere con tutta la gratuità con cui viene proposta.
Inoltre, se c’era recato a Corinto solo mentre era di passaggio per Roma, è evidente che già prima di passare a Corinto aveva un motivo per recarsi a Roma, e cioè voler registrare la successione apostolica migliore dell’impero in quanto di matrice petrina. Ma poi, renditi conto della faccia tosta: neghi che Clemente parli del soggiorno di Pietro a Roma, ma devi supporre però che per Egesippo invece il testo di Clemente parlasse di tale soggiorno, e infatti l’avrebbe ricavato da lì.
Ad maiora
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)