Aspettiano che si morano tutti!?
Respinte migliaia richieste da parte dei contagiati fino agli anni '90. Tanti hanno scoperto con ritardo di essere malati
MILANO - Si sono ammalati di epatite o Aids in seguito a trasfusioni di sangue o emoderivati infetti, non controllati dal Servizio sanitario nazionale. Dopo anni trascorsi a lottare contro malattie orribili, ma anche nelle aule dei tribunali per veder riconosciuto il diritto al risarcimento (sancito dalla legge n. 210 del '92), cinque anni fa circa 6.500 persone contagiate avevano deciso di sospendere i procedimenti giudiziari scegliendo la strada della trattativa con il Ministero della Salute (introdotta da due leggi del 2007 allo scopo di estinguere gran parte dei contenziosi pendenti). Ma ad oggi quei malati non sono stati ancora risarciti. Anzi (GUARDA).
ISTANZE RESPINTE - «Finora non è stata accolta alcuna richiesta di transazione - riferisce l'avvocato Stefano Bertone, che fa parte di uno degli studi legali che da anni seguono le vittime di sangue infetto -. Le istanze esaminate, circa 3.600, sono state tutte respinte. Stimiamo che saranno accolte non più di 5-600 richieste, in base ai criteri introdotti dalla legge n. 162 del 2012». Insomma, sembra sfumato l'accordo amichevole fuori dalle aule dei tribunali. I motivi? Li spiega Andrea Spinetti del Comitato vittime sangue infetto: «A più di due anni dal termine di presentazione delle domande di adesione alla transazione (gennaio 2010), il Decreto attuativo del 2012 ha posto precisi paletti: la transazione non si applica per le trasfusioni avvenute prima del 1978, e il diritto cade in prescrizione se la richiesta non è stata fatta entro 5 anni dal riconoscimento del danno biologico. In pratica, lo Stato, non solo non ha controllato fino agli anni '90 il sangue somministrato ai suoi cittadini, che per questo si sono ammalati, ma è arrivato a negare loro il legittimo risarcimento».
LE SENTENZE - Un altro episodio doloroso, questo, che ha spinto molti malati a fare ricorso al Tar contro la decisione del Ministero di escluderli dalla trattativa. «Questi criteri non erano mai stati usati - spiega l'avvocato Bertone -. Prima dell’introduzione di questi criteri tutti i richiedenti avevano ricevuto, infatti, risarcimenti da parte dello Stato. Il Ministero, se decide per la transazione, deve farla in modo coerente». «Il danno che abbiamo subìto non si è certo estinto - incalza Spinetti -. Le conseguenze gravi le stiamo subendo anche a distanza di anni. Le Regioni, inoltre, ricevono ancora richieste di indennizzo (in base alla legge n. 210) da parte di persone che, non avvertendo sintomi e non facendo controlli, hanno scoperto in ritardo di essere state contagiate. Visto che il procedimento transattivo si è tradotto in un nulla di fatto, riprenderemo con le cause in tribunale e ricorreremo alla Corte europea dei diritti dell'uomo, perché è stato leso il nostro diritto alla salute, ma anche quello a non essere discriminati». In molti casi, i risarcimenti stabiliti dai giudici nelle cause già risolte sono superiori alle cifre offerte per gli accordi. «È miope respingere le transazioni - sottolinea Bertone -. Non solo offende la dignità di persone contagiate, ma potrebbe incidere pesantemente sulle casse dello Stato. Proprio in questi giorni, a due emofilici, non ammessi alla transazione, il Tribunale di Roma ha riconosciuto un risarcimento rispettivamente di 800mila euro e di circa un milione: se ci fosse stata la transazione col Ministero, avrebbero ricevuto 400mila euro».
Maria Giovanna Faiella
9 maggio 2013 | 10:39
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