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Cosmologia - Il multiverso

Ultimo Aggiornamento: 16/10/2018 16:13
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25/01/2016 11:34
 
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Il migliore degli universi possibili: la scoperta del multiverso
Un articolo da fantascienza.com

25/01/2016

di Roberto Paura

Il migliore degli universi possibili: la “scoperta” del multiverso – Parte I

Una rubrica per scoprire e meravigliarsi della scienza e della tecnologia.

Nell'estate del 1982 l’universo divenne d’un tratto ben più vasto di quanto fino ad allora ipotizzato. Una trentina di cosmologi, provenienti da mezzo mondo, si erano riuniti all’Università di Cambridge su invito di Stephen Hawking per un seminario di tre settimane finanziato dalla Fondazione Nuffield (e pertanto noto come “seminario Nuffield”), con l’obiettivo di sistematizzare le teorie emerse in quegli ultimi anni relative all’universo primordiale(1).

Tra gli invitati c’erano tre cosmologi che erano pervenuti più o meno indipendente a conclusioni molto simili. Il primo era Alan Guth, un giovane ricercatore allora trentacinquenne, che all’inizio di quel decennio aveva iniziato a scuotere la comunità scientifica con la rivoluzionaria idea dell’inflazione cosmica. Il secondo era Andrei Linde, della stessa età di Guth, ma proveniente da Mosca, che sembrava aver elaborato la stessa teoria in modo indipendente. Il terzo era Alex Vilenkin, il più giovane del terzetto – aveva 33 anni –, giunto negli Stati Uniti dopo che il KGB, nella sua natia Ucraina, gli aveva impedito di frequentare il dottorato all’Università di Mosca per il suo rifiuto di testimoniare contro un compagno di studi. La teoria dell’inflazione da loro proposta era davvero rivoluzionaria e risolveva parecchi problemi, ma nessuno di loro tre aveva davvero idea di quanto quell’idea fosse destinata a cambiare radicalmente la nostra idea dell’universo.

Il modello dell’universo inflazionario era stato presentato per risolvere un problema legato al cosmo primordiale. Le osservazioni dimostravano che la radiazione a microonde proveniente da ogni parte del cielo, la cosiddetta “eco del Big Bang”, è estremamente omogena, dal che si deduce che l’universo primordiale doveva possedere una densità e una temperatura molto uniforme. Tuttavia, dato il limite posto dalla velocità della luce, sembrava impossibile che regioni distanti tra loro potessero essere state in contatto, condizione necessaria per scambiarsi temperatura e densità fino a raggiungere livelli omogenei. La velocità di espansione dell’universo, infatti, impedisce questa possibilità: le diverse regioni dell’universo si sarebbero allontanate tra loro a una velocità superiore a quella necessaria per diventare omogenee. Secondo Guth e gli altri due giovani cosmologi, il problema poteva essere risolto se si ipotizzava che l’universo, subito dopo il Big Bang, avesse improvvisamente aumentato esponenzialmente le sue dimensioni. I valori posseduti dal minuscolo universo emerso dalla singolarità iniziale sarebbero stati pertanto ereditati da tutte le regioni dell’universo post-inflazione. Per spiegare questa specie di miracolo, l’ipotesi era che lo stato di energia minimo in cui attualmente si trova il nostro universo fosse stato preceduto da stati di energia ben superiori, i cosiddetti “falsi vuoti”, instabili rispetto al “vero vuoto” in cui viviamo, che è lo stadio di minima energia (una sorta di valle tra montagne dai ripidi pendii). Le enormi energie possedute da questi falsi vuoti producono una tensione repulsiva, una sorta di “antigravità”, che era già stata prevista da Einstein. Ecco quindi che una forza opposta a quella gravitazionale – una forza repulsiva – poteva essere responsabile dell’improvvisa espansione inflazionaria dell’universo primordiale, nel momento in cui, subito dopo il Big Bang, avveniva il passaggio dal falso vuoto al vero vuoto attuale.

L’era inflazionaria sarebbe durata in realtà molto poco, appena un trilionesimo di secondo o anche meno; ma durante questa fase, l’universo avrebbe aumentato la sua dimensione di 1026, passando dalla dimensione di un singolo protone a quella di un’arancia. Da quel momento in poi, la storia dell’universo sarebbe proseguita nel modo che conosciamo: una graduale espansione, con conseguente calo della temperatura e della densità, fino a raggiungere i livelli attuali.

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anto_netti
25/01/2016 11:38
 
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C’era un problema, tuttavia, che Guth discusse per la prima volta pubblicamente al seminario Nuffield nell’estate del 1982. L’inflazione non si arrestava. Non esisteva un meccanismo noto in grado di fermare il meccanismo inflativo una volta messo in moto. Ciò naturalmente era in disaccordo con l’osservazione: il nostro universo non si sta espandendo a un tasso inflazionario, quindi il meccanismo deve essersi fermato pochi millisecondi dopo il Big Bang. Ma non è così semplice. L’energia repulsiva responsabile dell’inflazione si esercita sull’universo attraverso un campo di forza, il campo inflativo, che secondo la teoria a un certo punto dovrebbe “decadere” per far arrestare il processo di espansione esponenziale. Paragonando questo fenomeno a quello della radioattività, che fa sì che particelle instabili decadano in altre più stabili, anche il campo inflativo possiede un’emivita, ossia un tempo entro il quale metà del campo è destinato a decadere (e a dare origine al nostro attuale universo). Ma affinché il meccanismo inflativo possa funzionare e spiegare la portentosa, rapidissima espansione dell’universo, la sua velocità dev’essere un po’ più alta di quella dell’emivita. Perciò, il campo non decade tutto insieme. Una parte lo fa, e dà origine all’universo come lo conosciamo. Un’altra parte continua invece a espandersi a ritmi inusitati. Metà di quella parte decadrà, producendo una regione stabile di universo come la nostra; l’altra metà proseguirà l’espansione inflazionaria, e così via.

La teoria della “inflazione eterna” fu proposta sia da Guth che da Linde al seminario Nuffield, ma non destò molto scalpore. “Nello scenario suggerito”, spiegò Linde nel suo intervento a Cambridge, “l’universo contiene un numero infinito di mini-universi (bolle) di dimensioni diverse, e in ciascuno di questi universi le masse delle particelle, le costanti di accoppiamento ecc. possono differire a causa della possibilità di diversi meccanismi di rottura di simmetria all’interno delle diverse bolle”(2). Pochi mesi dopo Vilenkin, che aveva iniziato a lavorare alla Tufts University a Boston, si recò a trovare Guth, che insegnava al MIT, distante pochi chilometri, e gli propose una dimostrazione matematica dell’inflazione eterna. Guth si addormentò durante la discussione e Vilenkin, scoraggiato dai riscontri di altri suoi colleghi, inserì la questione in un paragrafo del suo articolo pubblicato sulla Physical Review, dal titolo “The birth of inflationary universes”, non ritenendo fosse opportuno dedicarle un intero articolo(3). Tre anni dopo anche Linde dimostrò la stessa teoria, affibbiandogli per la prima volta il termine “inflazione eterna”. Ma anche quell’articolo, pubblicato su Physical Letters, non riscosse grande attenzione(4). Tutti erano convinti che il problema dell’inflazione eterna fosse un errore, risolvibile sviluppando ulteriormente la teoria, e non un fatto reale. Lì fuori, il cosmo non si riproduce continuamente generando infiniti universi-bolla.

Nei vent’anni successivi, l’ago della bilancia ha iniziato decisamente a oscillare a favore della teoria dell’inflazione eterna e delle sue drammatiche conseguenze. Le intuizioni di Guth, Linde e Vilenkin vennero confermate applicando allo studio del campo inflativo la meccanica quantistica. Il campo, infatti, è associato a un’ipotetica particella, l’inflatone, vera responsabile dell’inflazione cosmica. Come ogni particella, anche l’inflatone è soggetta all’indeterminazione quantistica, che fa sì che i suoi valori oscillino continuamente, sottoposti a fluttuazioni quantistiche casuali. Più aumenta l’energia, più aumentano le fluttuazioni, cosicché all’origine dell’universo l’energia elevatissima del campo inflativo doveva sottoporre l’inflatone a fluttuazioni quantistiche molto potenti. Sotto l’effetto di tali fluttuazioni, in alcuni casi l’inflatone “decade” e raggiunge l’energia minima (il “vero vuoto”); in altri casi resta inalterato. Ogni punto del campo, dunque, si comporta in modo diverso, e genera regioni dell’universo stabili e regioni dell’universo dove l’inflazione è ancora in corso. È questo il meccanismo che Vilenkin, nel 1983, aveva intuito con l’esempio dell’emivita radioattiva. L’effetto delle fluttuazioni quantistiche, che tendono a interrompere l’espansione inflazionaria, è più che compensato dalla velocità di espansione del volume di spazio permeato dall’energia del campo inflativo. Nel corso degli anni Novanta, inoltre, numerose prove iniziarono ad accumularsi a favore della teoria dell’inflazione. Il satellite COBE fornito una prima mappa dettagliata delle differenze di temperatura nella radiazione cosmica di fondo, perfettamente in accordo con le previsioni fatte dai cosmologi dell’inflazione. Nel 1998 due diversi gruppi di ricerca americani, uno dei quali guidato da Paul Steinhardt, che era insieme ai primi teorici dell’inflazione al seminario Nuffield del 1982, e l’altro da Saul Perlmutter (i due avrebbero condiviso il Nobel nel 2011) annunciarono la sorprendente scoperta di un’accelerazione nell’espansione dell’universo. Si trattava di un fenomeno che confermava ulteriormente l’ipotesi dell’inflazione.

Anche se oggi la prova definitiva, la “pistola fumante” che l’era inflazionaria all’origine dell’universo sia effettivamente avvenuta, non è ancora saltata fuori, la teoria è saldamente alla base della cosmologia contemporanea. Ma, lungi dal correggere quella sorta di “errore”, gli sviluppi successivi della teoria hanno confermato l’ipotesi dell’inflazione eterna. Se si accetta che l’espansione inflazionaria sia davvero avvenuta, quindi, bisogna accettare anche che questa espansione sia ancora in corso in regioni dell’universo al di fuori del nostro orizzonte cosmico. Gli “universi bolla”, di cui Linde aveva per la prima volta parlato nel 1982, potrebbero quindi essere reali: universi come il nostro, ma dotati di valori diversi delle costanti fisiche, all’interno di un più vasto multiverso, che il fisico Max Tegmark definisce “Multiverso di Livello I”(5) Come vedremo successivamente, infatti, potrebbero essercene di altre tipologie, basati su altre argomentazioni. Ma questo è quello che forse più si avvicina a una certa idea di universi paralleli che troviamo esposta nella fantascienza: universi simili al nostro ma che differiscono dal nostro perché le leggi della fisica prendono un’altra strada. Poiché sono tutti figli di una stessa madre – il campo inflativo immediatamente successivo al Big Bang – questi universi condividono uno stesso “set” di leggi fisiche, più o meno identiche alle nostre; ma i valori delle particelle fondamentali e di altre costanti, come aveva intuito per primo Linde, devono necessariamente differire, partendo dal diverso valore dell’inflatone nel punto del campo scalare “collassato” per dare origine a ciascun universo. In questi universi paralleli non troveremmo facilmente copie di noi stessi, perché noi esseri umani siamo il prodotto – piuttosto fortuito, peraltro – di una combinazione di costanti fondamentali, che in altri universi assumeranno valori diversi. L’esempio più brillante è quello immaginato da Isaac Asimov nel suo capolavoro Neanche gli dei(6). L’assunto da cui parte il romanzo è l’inaspettata scoperta, in un laboratorio, di un isotopo del plutonio – il plutonio 186 – che non può esistere in natura nel nostro universo, perché decadrebbe immediatamente in un atomo più stabile. In effetti, quell’isotopo proviene da un para-universo con cui il nostro è entrato in contatto, molto diverso dal nostro, dove una delle quattro forze fondamentali, la forza nucleare forte (che tiene uniti tra loro i quark, i componenti ultimi della materia), ha un valore molto superiore al nostro. L’interferenza prodotta artificialmente tra i due universi paralleli scombussola le leggi fisiche di entrambi, minacciando l’esistenza di ambedue le civiltà intelligenti.

L’ipotesi asimoviana resta nell’ambito della fantascienza. Solo attraverso di essa è possibile immaginare modi di entrare in contatti con questi universi, che altro non sono se non regioni irrimediabilmente distanti e irraggiungibili del nostro stesso “multiverso”. Ma poiché una teoria fisica acquista concretezza e validità solo in presenza di una prova, molti scienziati si sono recentemente lambiccati il cervello cercando un modo per provare se l’ipotesi del multiverso inflazionario sia o meno reale. La strada più promettente sembra quella di andare a cercare prove di possibili collisioni tra universi-bolla. Come infatti spiega il fisico e matematico Brian Greene, “se la velocità di espansione delle bolle supera la velocità a cui lo spazio che si rigonfia le allontana, le bolle entreranno in collisione”. In alcuni casi queste collisioni potrebbero avere effetti catastrofici per entrambi gli universi (ben più di quelli dello scenario ipotizzato da Asimov); ma in altri casi “due bolle possono anche sfiorarsi leggermente, senza produrre conseguenze disastrose, ma lasciando comunque tracce osservabili”(7).

Ciao
anto_netti
25/01/2016 11:42
 
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Nel 2012 un gruppo di cosmologi e fisici dell’UCL di Londra, del Perimeter Institute di Waterloo, in Ontario, e dell’Università della California a Santa Cruz ebbero l’idea di sviluppare una simulazione con due soli universi-bolla spinti dal meccanismo inflativo, ipotizzando una collisione e verificando che tipo di traccia, visibile ai giorni nostri, avrebbe prodotto. La “pistola fumante”, in questo caso, è una struttura a forma di disco, con un particolare profilo di temperatura, individuabile nel fondo cosmico a microonde (CMB, cosmic microwave background). La struttura sarebbe il residuo di onde d’urto propagatesi in tutto lo spazio a partire dal punto di collisione, e in grado di modificare la temperature delle regioni più calde e più fredde del CMB. A partire dalla fine degli anni Ottanta, il CMB è stato oggetto delle osservazioni approfondite di tre grandi missioni, COBE e WMPA della Nasa e il più recente Planck dell’ESA. Le sonde sono riuscite a elaborare mappe sempre più precise del CMB, all’interno delle quali i cosmologi sono andati in cerca, tra le altre cose, anche di prove di collisioni tra universi-bolla. Cercando, attraverso un algoritmo ad hoc, la presenza della struttura ipotizzata dalla loro simulazione nell’immagine del fondo cosmico elaborata dalla sonda WMAP, gli scienziati scoprirono quattro segnali potenzialmente incoraggianti(8). Quando però, alla fine del 2014, sono state rilasciate le mappe più dettagliate elaborate dalla sonda dell’ESA, Planck, i segnali si sono rivelati degli abbagli.

Nella mappa prodotta da Planck, tuttavia, qualcun altro dichiara di aver visto un’altra possibile prova del multiverso inflazionario. Una “macchia” di luce più luminosa, risalente all’epoca della “ricombinazione”, una fase avvenuta circa 300.000 anni dopo il Big Bang in cui per la prima volta elettroni e protoni iniziarono a interagire tra loro creando l’idrogeno, che emette luce nello spettro del visibile. È il momento del “fiat lux”, quello in cui per la prima volta l’universo, fino ad allora del tutto buio, s’illumina. Un punto più luminoso rispetto al resto del fondo cosmico risalente a quell’epoca potrebbe significare, secondo una ricercatrice del Caltech, una collisione tra universi-bolla in quel punto, sufficiente a produrre un eccesso di elettroni e protoni e quindi un aumento della luce emessa dall’idrogeno(9). Naturalmente, così come una rondine non fa primavera, una piccola macchia non è sufficiente per gridare all’esistenza del multiverso; sia perché la difformità potrebbe rivelarsi inconsistente con le analisi successive, sia perché può essere spiegata attraverso teorie meno esotiche, sia perché l’ipotesi del multiverso è così ambiziosa che servirebbero molte prove convincenti per validarla. E c’è chi sostiene che non si riusciranno mai a raccoglierne abbastanza da trasformare l’ipotesi in scienza “vera”. Ma forse ci sono altre strade che possono condurci al multiverso. Strade che provengono sempre dalla fisica teorica, ma che sembrano dimostrare che l’esistenza di altri universi sia ben più di un’ipotesi, e soprattutto che abbia a che fare molto più con la scienza che con la fantascienza…

Note

(1) Cfr. Alan H. Guth, Inflation and cosmological perturbations, in The Future of Theoretical Physics and Cosmology. Proceedings of the Stephen Hawking 60th Birthday Conference, Cambridge University Press, 2002. arXiv:astro-ph/0306275v1

(2) Andrei D. Linde, The new inflationary Universe scenario, in The Very Early Universe. Proceedings of the Nuffield Workshop, Cambridge, 21 June to 9 July, 1982, Cambridge University Press, 1983.

(3) Cfr. Alex Vilenkin, Un solo mondo o infiniti? Alla ricerca di altri universi, Raffaello Cortina Editore, 2007, pp. 118-119.

(4) Cfr. John Gribbin, In Search of the Multiverse, Penguin Books, 2009, p. 135.

(5) Max Tegmark, L’universo matematico. La ricerca della natura ultima della realtà, Bollati Boringhieri, 2014, pp. 140 ss.

(6) Isaac Asimov, The Gods Themselves, 1972; tr. it. Neanche gli dei, Mondadori, 1995.

(7) Brian Greene, La realtà nascosta. Universi paralleli e leggi profonde del cosmo, Einaudi, 2012, p. 212.

(8) Wainwright et al., “Simulating the universe(s): from cosmic bubble collisions to cosmological observables with numerical relativity”, Journal of Cosmology and Astroparticle Physics, marzo 2014.

(9) Ranga Ram Chary, “Spectral Variations of the Sky: Constraints on Alternate Universes”, Astrophysical Journal (prossimamente). arXiv:1510.00126

www.fantascienza.com/20825/il-migliore-degli-universi-possibili-la-scoperta-del-multiverso...

Ciao
anto_netti
25/01/2016 12:42
 
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Interessante come articolo. Rimane sempre il concetto che a loro manca che ci sia un terzo elemento che ha voluto tutto ciò. Questo ovviamente spiegherebbe tutto ma gli leverebbe il gusto di fare ipotesi e teorie.

[SM=g27988]

(((Mi pare porti un sfiga il fatto che non sappiamo se siamo una bolla e già ci dobbiamo scontrare mortalmente con un'altra bolla ... per creare così le stelle??;))


25/01/2016 13:03
 
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Ho l'impressione che l'Astrofisica è un campo che si presta a speculazioni infinite

se non si sta attenti, si veda:

www.garzantilibri.it/default.php?CPID=842&page=visu_libro

a me sembrano interessanti gli studi di Halton ARP che ha messo in discussione il Big Bang e il Red Shift con argomenti molto interessanti

le Teorie attuali sul Big Bang non mi convincono

www.haltonarp.com/articles

sono più propenso a vedere la Materia come particelle formate da Onde Stazionarie di Fotoni Gamma

poi come riescano a Stazionare nello spazio infinitesimale è un bel problema!

Forse con una curvatura chiusa su se stessa, ma grazie a cosa!?!?!

è facile trasformare la materia in Fotoni annichilimento e reazioni nucleari

ma l'inverso non mi sembra che sia mai riuscito a nessuno!

Ciao,
25/01/2016 13:56
 
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Si! Effettivamente di teorie ne esistono tante.

Ma ho sempre pensato che il multiverso debba realmente esistere: Come il nostro universo è la fabbica per generare pianeti adatti alla vita. Il multiverso potrebbe essere il motore per far funzionare il nostro universo e i vari universi. Universi che avranno certamente uno scopo. La complessità tra l'altro fa parte della realtà. E non ci sarà mai fine a scoprire quello che esiste. Inoltre il nostro creatore non fa le cose senza uno scopo.

Ci sarà poi credo una seconda parte all'articolo o più di una.

Ciao
anto_netti
25/01/2016 20:36
 
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Re:
anto_netti, 25/01/2016 13:56:

Si! Effettivamente di teorie ne esistono tante.

Ma ho sempre pensato che il multiverso debba realmente esistere: Come il nostro universo è la fabbica per generare pianeti adatti alla vita. Il multiverso potrebbe essere il motore per far funzionare il nostro universo e i vari universi. Universi che avranno certamente uno scopo. La complessità tra l'altro fa parte della realtà. E non ci sarà mai fine a scoprire quello che esiste. Inoltre il nostro creatore non fa le cose senza uno scopo.

Ci sarà poi credo una seconda parte all'articolo o più di una.

Ciao
anto_netti




Per multiverso si intende eventuali universi estesi su ulteriori dimensioni Spaziali oltre la 3°?

26/01/2016 08:55
 
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Re: Re:
Random2520, 25/01/2016 20:36:




Per multiverso si intende eventuali universi estesi su ulteriori dimensioni Spaziali oltre la 3°?




Io credo di si!

Non dobbiamo pensare ad un multiverso dove esistono universi simili al nostro, dove esistono copie di noi stessi. Dove insomma per ogni evento che accade si forma un nuovo universo. Questo accade soltanto nella fantascienza per spiegare i viaggi nel tempo. Questo concetto è ribadito nell'articolo che ho postato.

Però secondo le equazioni di Hugh Everett, con la sua teoria a molti mondi, esiste un universo quantistico latente che prevede tutte le infinite sovrapposizioni quantistiche, dove soltanto una diventa reale con il collasso della funzione d'onda. L'errore di Hugh Everett, fu quello di considerare questi universi quantistici reali, perché le equazioni sembravano indicarli come reali. Ma invece fanno soltanto parte di quell' onda di probabilità della meccanica quantistica. E quindi sono solo latenti. La meccanica quantistica insomma prevede tutte le infinite possibilità.

La stessa cosa ho riscontrato studiando la matematica dell'infinito. Anche la matematica dell'infinito prevede tutte le infinite possibilità. Non è poi detto che esse esistano realmente. Ma la matematica le prevede.

Abbiamo vari livelli di infinito.

Abbiamo Aleph 0: L'infinito numerabile 1,2,3......

Abbiamo Aleph 1: L'infinito dei punti in una retta, caratterizzato dai numeri irrazionali. Geometricamente parlando corrisponde ad un universo unidimensionale.

Abbiamo Aleph 2: L'infinito delle rette e delle curve in un piano. Geometricamente parlando corrisponde ad un universo bidimensionale.

Abbiamo Aleph 3: L'infinito delle traiettorie in uno spazio tridimensionale. Geometricamente parlando corrisponde ad un universo tridimensionale.

Andando avanti con i livelli andiamo in universi quadridimensionali, pentadimensionali, ecc. Fino all'infinito.

Abbiamo poi l'infinito assoluto. Che non può essere raggiunto da mente umana.

Ritornando al nostro multiverso, ecco che potrebbe esistere un multiverso con universi superiori alle nostre tre dimensioni conosciute.

Ciao
anto_netti
26/01/2016 09:44
 
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Re: Re: Re:
anto_netti, 26/01/2016 08:55:

Random2520, 25/01/2016 20:36:




Per multiverso si intende eventuali universi estesi su ulteriori dimensioni Spaziali oltre la 3°?




Io credo di si!

Non dobbiamo pensare ad un multiverso dove esistono universi simili al nostro, dove esistono copie di noi stessi. Dove insomma per ogni evento che accade si forma un nuovo universo. Questo accade soltanto nella fantascienza per spiegare i viaggi nel tempo. Questo concetto è ribadito nell'articolo che ho postato.

Però secondo le equazioni di Hugh Everett, con la sua teoria a molti mondi, esiste un universo quantistico latente che prevede tutte le infinite sovrapposizioni quantistiche, dove soltanto una diventa reale con il collasso della funzione d'onda. L'errore di Hugh Everett, fu quello di considerare questi universi quantistici reali, perché le equazioni sembravano indicarli come reali. Ma invece fanno soltanto parte di quell' onda di probabilità della meccanica quantistica. E quindi sono solo latenti. La meccanica quantistica insomma prevede tutte le infinite possibilità.

La stessa cosa ho riscontrato studiando la matematica dell'infinito. Anche la matematica dell'infinito prevede tutte le infinite possibilità. Non è poi detto che esse esistano realmente. Ma la matematica le prevede.

Abbiamo vari livelli di infinito.

Abbiamo Aleph 0: L'infinito numerabile 1,2,3......

Abbiamo Aleph 1: L'infinito dei punti in una retta, caratterizzato dai numeri irrazionali. Geometricamente parlando corrisponde ad un universo unidimensionale.

Abbiamo Aleph 2: L'infinito delle rette e delle curve in un piano. Geometricamente parlando corrisponde ad un universo bidimensionale.

Abbiamo Aleph 3: L'infinito delle traiettorie in uno spazio tridimensionale. Geometricamente parlando corrisponde ad un universo tridimensionale.

Andando avanti con i livelli andiamo in universi quadridimensionali, pentadimensionali, ecc. Fino all'infinito.

Abbiamo poi l'infinito assoluto. Che non può essere raggiunto da mente umana.

Ritornando al nostro multiverso, ecco che potrebbe esistere un multiverso con universi superiori alle nostre tre dimensioni conosciute.

Ciao
anto_netti



Se il nostro universo è una parte di uno a 4 dimensioni o anche oltre

si colloca bene la scrittura di Genesi 1:26
26 E Dio proseguì, dicendo: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza,

IMMAGINE in realtà è OMBRA

L'uomo quale OMBRA tridimensionale di DIO Quadrimensionale o oltre!?!?!
Potrebbe anche essere la giusta interpretazione

Ciao,


26/01/2016 12:26
 
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Re: Re: Re: Re:
Random2520, 26/01/2016 09:44:



L'uomo quale OMBRA tridimensionale di DIO Quadrimensionale o oltre!?!?!
Potrebbe anche essere la giusta interpretazione




Forse!

Però dobbiamo evidenziare una cosa molto importante. Che Dio non proviene né da realtà quadridimensionali né da realtà oltre quelle quadridimensionali. Bensì, siccome vive in una luce inaccesibile, la sua dimora è molto probabilmente adimensionale e atemporale. E' quella dell'infinito assoluto. Dio è al di sopra di tutte le realtà che possono esistere. Dio è al di sopra della matematica e al di sopra delle varietà di fisica che ogni universo del multiverso potrebbe avere.

Forse le sue creature angeliche possono far parte di realtà pluridimensionali o extradimensionali. Essendo i messaggeri di Dio, possono spostarsi da una realtà all'altra. E possono anche vedere Dio e stare davanti alla Sua presenza.

Naturalmente prendile come speculazioni metafisiche.

Ciao
anto_netti
[Modificato da anto_netti 26/01/2016 12:27]
15/04/2017 11:39
 
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A distanza di più di un anno, finalmente posso postare la II parte e la III parte sul multiverso. Pubblicato da fantascienza.com.

12/09/2016

di Roberto Paura

Il migliore degli universi possibili: la “scoperta” del multiverso – Parte II

Una rubrica per scoprire e meravigliarsi della scienza e della tecnologia

Nell’aprile del 1919 Albert Einstein ricevette a Berlino la lettura di uno sconosciuto collega dell’università di Königsberg. Un mese dopo, le osservazioni dell’eclisse solare del 29 maggio da parte degli astronomi guidati da Arthur Eddington avrebbero reso la teoria della relatività generale celebre in tutto il mondo, ma allora Einstein era un nome noto solo nei circoli di fisica. Da poco aveva iniziato a cimentarsi nell’impresa che lo avrebbe ossessionato fino alla morte, il tentativo di unificazione dell’unica forza quantistica allora conosciuta, quella elettromagnetica, con la gravità. La lettera di Theodor Kaluza lo lasciò pertanto senza parole. Kaluza dimostrava infatti che, aggiungendo un’altra dimensione alle quattro ordinarie di cui è composta la nostra realtà (tre spaziali e una temporale), dal formalismo matematico di Einstein per descrivere la gravità si ottengono naturalmente le equazioni dell’elettromagnetismo. Il “tensore di Einstein”, che descrive lo spazio-tempo nella relatività generale, è una matrice 4x4. Aggiungendo una quinta dimensione, la matrice 5x5 produceva cinque equazioni extra, quattro delle quali erano esattamente le equazioni di Maxwell per l’elettromagnetismoi. Einstein seguì i calcoli di Kaluza e li trovò corretti, ma esitò a lungo prima di raccomandare l’articolo per una pubblicazione; e ciò per un motivo molto semplice: non abbiamo alcuna prova dell’esistenza di una quinta dimensione. Alcuni anni dopo, nel 1926, il matematico Oscar Klein rifece la stessa scoperta di Kaluza, introducendo la meccanica quantistica per rendere possibile l’esistenza della quinta dimensione: essa non doveva infatti essere più grande della lunghezza di Planck, la minima grandezza possibile in natura, pari a 10^-33 centimetri. La teoria che postulava l’esistenza di cinque dimensioni fu ribattezzata “teoria di Kaluza-Klein”, ma perse ben presto interesse agli occhi dei fisici, più interessati ad esplorare in quegli anni le straordinarie conseguenza della fisica delle particelle che a stare dietro a una bizzarria matematica. Le cose cambiarono nel 1970: un gruppo di fisici teorici, tra cui l’italiano Gabriele Veneziano e l’americano Leonard Susskind, elaborarono un modello in cui le particelle elementari, fino ad allora considerate puntiformi, venivano sostitute da corde unidimensionali, o stringhe. Ipotizzando che le diverse particelle non fossero altro che modi di vibrazione di una stringa, si poteva riuscire a ottenere anche il “gravitone”, la presunta particella responsabile del campo gravitazionale. In tal modo la gravità descritta dalla relatività generale come geometria dello spazio-tempo veniva ricondotta alla meccanica quantistica, che descrive il mondo in termini di particelle di energia (“quanti”). Sembrava la realizzazione del sogno di Einstein, solo che per funzionare questa nuova teoria – la “teoria delle stringhe” – richiedeva ventisei dimensioni invece delle quattro che conosciamo. Di fronte a un problema del genere, qualsiasi persona normale avrebbe abbandonato tutto il progetto, giudicandolo fallimentare. Ma quei fisici si ricordarono che l’idea di una o più dimensioni extra, forse così piccole da sfuggire ai nostri sensi, non era nuova: dopo decenni di oblio, la teoria di Kaluza-Klein tornò così in auge.
Lo spunto fondamentale offerto da Klein era stato quello di immaginare la possibilità di dimensioni estremamente piccole, non “estese” come le tre dimensioni spaziali che conosciamo ma “compattificate” in uno spazio ridottissimo. Dirlo è tuttavia molto più facile che farlo. In che modo si possono “compattificare” tutte le dimensioni previste dalla teoria delle stringhe? Agli inizi degli anni Ottanta gli sforzi di Michael Green, John Schwarz e Edward Witten – considerato il “guru” della teoria delle stringhe – erano riusciti a ridurre il numero di dimensioni previste da ventisei a dieci. Ma si trattava pur sempre di sei dimensioni spaziali in più rispetto alle tre che sperimentiamo normalmente (la decima resta quella temporale). D’altro canto, con un numero inferiore non sarebbe stato possibile descrivere il nostro universo attraverso la teoria delle stringhe. Per dirla sinteticamente, infatti, aumentando il numero di dimensioni aumentano i modi di vibrazione delle stringhe, attraverso cui otteniamo le particelle del Modello Standard. Per produrre tutte le particelle che conosciamo, abbiamo bisogno di uno spazio-tempo in dieci dimensioni.
Nel 1984 ancora Witten, insieme ad altri tre colleghi (Philip Candelas, Andrew Strominger, Gary Horowitz), arrivarono all’intuizione più luminosa. Così come negli anni Settanta la “riscoperta” della teoria di Kaluza-Klein aveva permesso di prendere in considerazione la possibilità di più dimensioni, nel 1984 i quattro riscoprirono una teoria che sembrava non avere nulla a che fare con la realtà, sviluppata dal matematico italiano Eugenio Calabi e ripresa poi dal sino-americano Shing-Tung Yau, utilizzata per descrivere particolari forme della geometria. Secondo Calabi, la congettura che porta il suo nome “non aveva niente a che fare con la fisica. Si trattava rigorosamente di geometria”ii. Era un modo per descrivere la curvatura di un oggetto topologico in uno spazio complesso: tali oggetti possono deformarsi in tutti i modi possibili senza perdere le loro proprietà (una ciambella si può trasformare, attraverso opportune manipolazioni, in una tazza: mantiene sempre la stessa proprietà, ossia la presenza di un buco, nel primo caso al centro, nel secondo caso nel manico). Witten e colleghi trovarono il modo di “compattificare” le dimensioni extra previste dalla teoria delle stringhe utilizzando le varietà di Calabi-Yau, che possono essere immaginate, nella metafora di Yau, “come un foglio di carta appallottolato, con piegature su piegature: solo che queste pieghe sono molto accurate, rispondono a leggi precise. Uno spazio compatto non contiene regioni infinitamente lunghe o larghe, anche se il sistema di piegature fa sì che il molto possa stare nel poco, come in una valigia preparata con cura”iii.

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anto_netti
15/04/2017 11:43
 
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Il diametro di uno spazio di Calabi-Yau è dell’ordine di 10^--30 cm. Non c’è da stupirsi dunque che le dimensioni extra sfuggano ai nostri sensi, eppure questi spazi di Calabi-Yau sono presenti in ogni punto dello spazio-tempo che conosciamo.
A questo punto l’ultimo passo necessario per ottenere una “teoria del tutto”, ossia una descrizione unitaria della natura in grado di superare l’irriducibile dicotomia tra fisica quantistica e relatività generale, consisteva nel trovare la giusta varietà di Calabi-Yau, ossia il modo di compattificare le dimensioni extra tale da consentire di ottenere tutte le famiglie di particelle previste del Modello Standard. Yau conosceva due sole varietà, ma quando si mise a calcolare il numero di varietà possibili, scoprì “che con tutta probabilità dovevano essere qualche decina di migliaia, ciascuna delle quali rappresenta una topologia diversa e una diversa soluzione delle equazioni della teoria delle stringhe”iv. Disastro. Come se non bastasse, più o meno nello stesso periodo i fisici teorici si resero conto che esistevano cinque versioni diverse della teorie delle stringhe, chiamate di tipo IA, tipo IIA, tipo IIB, eterotica O ed eterotica E. Finì tutto in un punto morto finché nel 1995 Witten non fece il miracolo, dimostrando che le cinque versioni non sono altro che diverse espressioni – basate su diversi valori della costante di accoppiamento – di un’unica teoria più ampia. Witten la battezzò “teoria M”, ed oggi sostituisce di fatto la teoria delle stringhe. Per cosa sta la M? Secondo alcuni, per “miracolo”, come quello compiuto da Witten nel 1995, rimettendo i fisici in carreggiata; secondo altri, per “mistero”. In realtà sta per “membrana”, perché la nuova teoria prevedeva due cose singolari: la prima è che, per funzionare, devono esistere non più dieci, ma undici dimensioni, quindi una dimensione spaziale extra in più, che non è compattificata, ma estesa; la seconda, ancora più importante, è che non esistono solo stringhe, ma anche membrane o brane, di dimensioni diverse. Una 2-brana è una brana a due dimensioni, praticamente uguale a un foglio di carta (se non si tiene conto dello spessore); il nostro mondo è una 3-brana, ossia un brana con tre dimensioni spaziali. Secondo la teoria M, le stringhe non sono altro che 1-brane, ossia brane unidimensionali. Tutte queste brane fluttuano e vibrano all’interno di uno spazio più ampio, che è l’undicesima dimensione, il bulk.
A questo punto si intuisce immediatamente una conseguenza, l’esistenza di un nuovo tipo di multiverso, il multiverso a brane. Può esistere un gran numero di 3-brane, ciascuno di estensione grosso modo simile al nostro universo. Tutte i mondi-brana rispetterebbero lo stesso set di leggi fondamentali della fisica, perché emergono tutte dalla stessa teoria, ma i valori delle costanti possono cambiare. Come spiega Brian Greene: “Alcuni mondi-brana potrebbero essere simili al nostro, pieni di galassie, stelle e pianeti, mentre altri potrebbero essere molto diversi”v. Naturalmente, questi mondi si trovano al di fuori della nostra portata. Tuttavia, c’è qualcosa che riuscirebbe a uscire dalla 3-brana che costituisce il nostro universo e interagire con le altre brane: la gravità. La teoria M afferma che le particelle che conosciamo sono stringhe unidimensionali vincolate a una brana, mentre così non può essere per la forza gravitazionale, perché la relatività generale la descrive come una proprietà dello spazio-tempo, pertanto essa si esercita su tutte le dimensioni, anche su quelle extra. Questo spiegherebbe perché la forza gravitazionale è così debole rispetto alle altre tre forze fondamentali (è vero infatti che ci tiene ben legati al suolo, ma sappiamo anche che la forza di un braccio che alza un carta caduta per terra è sufficiente a contrastare la forza gravitazionale).
L’ipotesi delle brane avanzata dalla teoria M risolse un problema, ma ne aggravò un altro, quello del numero di possibili spazi di Calabi-Yau. Si scoprì che le brane producevano un campo, esattamente come avviene per talune particelle: quelli che conosciamo più o meno tutti sono il campo magnetico, prodotto da un magnete, e il campo elettrico, prodotto da un elettrone. Ebbene, una brana produce un campo branico. Quando però uno spazio di Calabi-Yau interagisce con un campo branico si producono delle distorsioni. Per ogni regione aperta di uno spazio di Calabi-Yau (ossia per ogni “buco”), si possono avere dieci modi diversi in cui lo spazio viene distorto, quindi dieci nuove forme. Ma non bisogna dimenticare che gli spazi di Calabi-Yau devono compattificare ben dieci dimensioni spaziali, compito improbo, per cui danno vita a forme estremamente complicate, che possono arrivate ad avere fino a 500 regioni aperte. Ne consegue che possiamo avere la bellezza di 10^500 modi diversi di compattificare le dimensioni extra. Questa fu la stima a cui giunsero nel 2003 Shamir Kachru, Renata Kallosh, Andrei Linde e Sandip Trivedi, chiamati familiarmente dalle loro iniziali KKLT. Quando aveva parlato di qualche decina di migliaia di forme possibili, Yau era stato di gran lunga troppo ottimista. È chiaro che così diventa impossibile ottenere qualsiasi valore predittivo dalla teoria M/delle stringhe: non esiste una sola varietà di Calabi-Yau tale per cui le dimensioni extra si possono compattificare in modo che le vibrazioni di stringa (o meglio di brana) diano conto delle particelle previste dal Modello Standard, ma ne esistono 10500, un numero inimmaginabile (basti pensare che il numero di particelle che compongono l’universo è enormemente inferiore, appena 10^80). Ma ancora una volta questo risultato, che avrebbe scoraggiato chiunque altro, non convinse gli stringhisti a gettare la spugna. “Forse, secondo loro, i decenni di tentativi infruttuosi di definire la forma delle dimensioni extra indicano qualcosa”, scrive Brian Greene. “Forse, sempre secondo questi audaci stringhisti, dobbiamo prendere sul serio tutte le possibili forme e tutti i possibili flussi che emergono dalle equazioni della teoria delle stringhe. Forse, insistono, la ragione per cui le equazioni contengono tutte queste possibilità è che sono tutte reali, e ciascuna forma è la parte extradimensionale di un differente universo”vi.
Di fatto, ogni varietà di Calabi-Yau comporta diverse soluzioni delle equazioni della teoria delle stringhe, di conseguenza particelle e costanti fisiche diverse. Ciascuna di queste soluzioni, inoltre, corrisponde – spiega Yau – “a un universo caratterizzato da uno stato di vuoto diverso e, pertanto, da un’energia del vuoto diversa”vii. Si ritorna così alla stessa situazione da cui partirono Guth, Linde e Vilenkin quando ipotizzarono l’idea dell’inflazione (v. la prima parte di questa storia, www.fantascienza.com/20825/il-migliore-degli-universi-possibili-la-scoperta-del-multiverso-p... Il nostro universo possiede un certo livello di energia del vuoto, ma ce ne possono essere molti altri. Una palla che cade da un’altura in una vallata passa da uno stato di energia a un altro, considerato lo stato di energia minimo. Analogamente, spiega ancora Yau, “ciascuno degli avvallamenti sulla superficie corrisponde a una diversa soluzione della teoria delle stringhe: una diversa varietà di Calabi-Yau che occupa questo o quello stato di vuoto”viii. Leonard Susskind ha battezzato questo sterminato insieme di possibili varietà il paesaggio cosmico.

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anto_netti
15/04/2017 11:48
 
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Nel 2003, quando il gruppo KKLT se ne venne su con quel drammatico numero, Susskind pensò che non era il caso di abbandonare la partita, ma anzi di trasformare questo nuovo vicolo cieco in un’opportunità. Sappiamo infatti che esiste in natura un gran numero di parametri arbitrari, i cui valori non possono cioè essere dedotti da princìpi primi: le masse delle particelle, le costanti di accoppiamento delle quattro forze fondamentali, la cosiddetta costante di natura fine (pari a 1/137) e così via. Variando solo di poco di questi valori, il nostro universo avrebbe caratteristiche completamente diverse, tali comunque da renderlo inospitale per forme di vita come la nostra. Ciò ha spinto alcuni teorici ad avanzare il cosiddetto “principio antropico”, che nella sua versione più tautologica sostiene semplicemente che i parametri arbitrari assumano quei particolari valori perché altrimenti noi non staremmo qui a parlarne. È evidente come una simile spiegazione non piaccia agi scienziati, per i quali è sempre necessario arrivare a sviluppare una teoria esplicativa che non abbia bisogno della nostra presenza per risultare valida. Susskind tuttavia non è dello stesso avviso. Dal suo punto di vista, se si accetta l’ipotesi che possono esistere 10^500 diversi possibili universi, ciascuno con valori diversi per i parametri arbitrari, allora non c’è nulla di strano nel fatto che in almeno uno di essi tali parametri assumano valori che rendono possibile l’esistenza della vita come la conosciamo. Mentre il “paesaggio cosmico” è semplicemente l’insieme delle possibili forme delle varietà di Calabi-Yau, Susskind definisce “paesaggio popolato” la concezione secondo cui esisterebbe un multiverso in cui tutte queste possibili forme si trasformano da possibilità matematiche a realtà fisiche, per tramite di quel meccanismo previsto dai teorici dell’inflazione eternaix. L’idea è seducente, perché utilizza la teoria M/delle stringhe per arrivare alle stesse conclusioni che, in campo cosmologico, hanno portato allo sviluppo della teoria dell’inflazione, la quale in tal modo assume una seconda possibile dimostrazione.
Tutto ciò si basa su un’ipotesi che non solo non è stata ancora verificata, ma che in linea teorica potrebbe essere inverificabile: se infatti le dimensioni extra sono compattificate al punto da avere una lunghezza quasi pari a quella di Planck, non c’è modo di individuarle con le attuali tecnologie, e nemmeno con quelle pensabili nei prossimi decenni. Esistono però modi indiretti con cui potremmo provare la teoria. Secondo diversi fisici che hanno sviluppato negli anni la teoria M/delle stringhe, non è solo il “gravitone” – ossia il bosone che veicola la forza gravitazionale – a possedere la proprietà di spostarsi nel bulk pluridimensionale in cui fluttuano i mondi-brana, ma anche altre tipologie di particelle che ancora non conosciamo. Queste particelle interagiscono con la nostra brana e con le altre, per cui dovrebbero lasciare qualche tipo di traccia. Quando si trovano all’interno della nostra 3-brana, assumono l’aspetto di particelle che si muovono in tre dimensioni, anche se in realtà sono extradimensionali. I fisici le chiamano “particelle di Kaluza-Klein”. La loro massa tiene conto della quantità di moto accumulata nei loro viaggi extradimensionali, mentre le loro cariche coincidono con quelle delle particelle che conosciamo. Poiché negli acceleratori di particelle come LHC non sono state finora individuate tracce di queste particelle di Kaluza-Klein (che si manifesterebbero appunto come partner di uguale carica ma di massa maggiore di quelle del Modello Standard), i fisici ne traggono la conclusione che effettivamente le dimensioni extra sono molto piccole, altrimenti le avremmo già scoperte. Lisa Randall, che è tra le principali sostenitrici di queste particelle, ritiene che dovrebbero possedere una massa intorno a 1 TeV (teraelettronvolt), per cui ora che l’acceleratore LHC è in grado di raggiungere l’energia di collisione di 13 TeV, avremmo dovuto osservarle abbastanza facilmentex. Invece così non è stato. Ciò sembra essere un colpo piuttosto forte per la teoria M, perlomeno per alcune versioni di essa che prevedono interazioni tra le diverse brane del bulk (come appunto il modello sviluppato da Lisa Randall insieme a Raman Sundrum). Esistono tuttavia altri tipi di tracce che le brane potrebbero lasciare in seguito a una loro interazione; per osservarle non dovremmo cercare all’interno degli acceleratori di particelle, ma nel cielo.
(continua…)

i Cfr. Ian Stewart, L’eleganza della verità. Storia della simmetria, Einaudi, Torino, 2008, p. 251.
ii Shing-Tung Yau e Steve Nadis, La forma dello spazio profondo, Il Saggiatore, Milano, 2013, p. 118.
iii Ivi, p. 192.
iv Ivi, p. 204.
v Brian Greene, La realtà nascosta. Universi paralleli e leggi profonde del cosmo, Einaudi, Torino, 2012, p. 147.
vi Ivi, p. 162.
vii Yau e Nadis, op. cit., pp. 310-311.
viii Ivi, p. 311.
ix Cfr. Leonard Susskind, Il paesaggio cosmico. Dalla teoria delle stringhe al megaverso, Adelphi, Milano, 2007, p. 279.
x Cfr. Lisa Randall, Paesaggi curvi. I misteri delle dimensioni nascoste dell’universo, Il Saggiatore, Milano, 2008, pp. 366-425.

www.fantascienza.com/21658/il-migliore-degli-universi-possibili-la-scoperta-del-multiverso-...

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24/03/2017

di Roberto Paura

Il migliore degli universi possibili: la “scoperta” del multiverso – parte III

Una rubrica per scoprire e meravigliarsi della scienza e della tecnologia.

In uno dei racconti più celebri di Isaac Asimov, da lui personalmente definito il suo migliore, L’ultima domanda, del 1956, due tecnici discutono del destino ultimo dell’Universo, sottoposto alla legge ferrea della crescita dell’entropia prevista dalla seconda legge delle termodinamica, e decidono di chiedere al più potente supercomputer esistente, il Multivac, se in futuro sarà mai possibile riuscire a invertire la crescita dell’entropia per dare vita a un nuovo Universo. Il computer ci pensa su e risponde di non avere elementi sufficienti per rispondere, ma che continuerà a cercare una soluzione. Passano gli anni, i millenni, le ere geologiche, l’umanità si è dispersa nell’Universo e ha assunto altre forme, ma i successori del Multivac continuano a rimuginare su quel problema posto molto tempo fa; infine, alla fine del tempo e dello spazio, il supercomputer AC, l’unica forma di intelligenza cosciente rimasta in quel che resta dell’Universo, arriva alla soluzione: «“La luce sia!”, disse AC. E la luce fu…»i.
Il fascino di questo racconto consiste nella sua capacità di metterci di fronte alla prospettiva, all’epoca ancora lontana dall’essere radicata, che il nostro Universo debba avere prima o poi una fine, a causa dell’aumento del disordine (l’entropia) previsto dalla seconda legge della termodinamica, per la quale tutti i sistemi finiscono per dissipare una parte della loro energia in radiazione termica inutilizzabile, finché l’intero Universo – per definizione un sistema chiuso – non raggiungerà l’equilibrio termodinamico, una situazione in cui non è più possibile estrarre energia per compiere un lavoro, per cui non potranno più accendersi stelle, non ci saranno più galassie, né pianeti, né vita. Questa prospettiva è diventata ancora più certa dopo la scoperta, nel 1998, di un’energia oscura responsabile dell’accelerazione dell’espansione cosmica; fino ad allora restava ancora possibile credere che, a un certo punto nella storia cosmica, l’espansione prodotta dal Big Bang si sarebbe arrestata per effetto della gravità, e l’Universo sarebbe collassato su se stesso in un Big Crunch, da cui forse avrebbe potuto emergere un nuovo Universo. Certo, c’è ancora la possibilità che l’energia oscura, in futuro, perda i suoi effetti, e che pertanto questo scenario, oggi implausibile, possa realizzarsi; ma pochi fisici sarebbero disposti a scommetterci qualcosa.
L’entropia è l’ostacolo più grande di qualsiasi modello di universo ciclico. Nel 1931 Albert Einstein prese in considerazione un simile modello, sostenuto dalle soluzioni alle equazioni della relatività generale trovate dal matematico russo Aleksandr Friedmann, il quale aveva previsto tanto un universo “aperto” quanto un universo “chiuso”, collassante su se stesso. Richard Tolman, eminente fisico del Caltech di Pasadena, incoraggiò Einstein elaborando un modello di “universo oscillatorio”, dimostrando che la relatività generale avrebbe limitato al minimo la crescita di entropia da un universo all’altro. Ben presto, tuttavia, si scoprì che anche questa minima crescita avrebbe richiesto pur sempre un inizio dell’universo nel tempo, proprio quel che Einstein, fedele all’idea tradizionale, voleva evitare: se l’entropia tra un ciclo e l’altro aumenta, ogni Universo sarà più grande del precedente, per effetto della pressione positiva impressa dalla radiazione termica; pertanto, scorrendo il tempo a ritroso, si arriverà a un Universo tanto piccolo da concentrare valori infiniti di densità e curvatura in un punto di dimensioni nulle, la singolarità spazio-temporale che oggi chiamiamo Big Bang.
C’è tuttavia un altro problema che l’universo oscillatorio di Einstein, Friedmann e Tolman non risolveva, al di là del fatto di continuare a prevedere un origine dello spazio-tempo: il Big Bang ha la peculiare caratteristica di possedere entropia minima, esattamente come un uovo che si trova sull’orlo di un tavolo. Quando l’uovo cade e si frantuma al suolo, l’entropia del sistema – il suo “disordine” – aumenta, come è avvenuto con l’Universo a partire dal Big Bang. Crediamo che il Big Bang rappresenti uno stato di minima entropia per il semplice fatto che, se l’entropia aumenta nel tempo (la seconda legge della termodinamica orienta anche la freccia del tempo, che scorre solo in avanti, mai indietro), allora tutto deve aver avuto origine da uno stato di entropia più bassa. Se quindi vogliamo avere un universo ciclico, come quello che suggerisce il finale del racconto di Asimov, abbiamo bisogno di trovare un modo per ridurre nuovamente l’entropia a un livello minimo, così da far “ripartire il nastro” da capo.
Nel 1999 due fisici e cosmologi, Paul Steinhardt e Neil Turok, trovarono una possibile soluzione. Steinhardt era stato uno principali teorici dell’ipotesi dell’inflazione cosmica introdotta da Alan Guth e Andrei Linde, la quale, come si è detto (v. www.fantascienza.com/20825/il-migliore-degli-universi-possibili-la-scoperta-del-multiverso-p... prevede tra l’altro come conseguenza la nascita continua di nuovi “universi-bolla” al di là del nostro orizzonte cosmico. Questo effetto collaterale metteva a disagio Steinhardt: l’inflazione sembrava risolvere un problema e introdurne un altro, di dimensioni ben maggiori. Era possibile trovare un modo di spiegare quelle stranezze dell’universo primordiale – la sua uniformità, la sua piattezza, le piccole disomogeneità da cui hanno avuto vita la galassie – alternativo all’inflazione, senza cioè prevedere anche al tempo stesso il multiverso? Una possibilità emergeva dalla teoria M, la versione più avanzata della teoria delle stringhe, la quale, oltre a prevedere dieci dimensioni spaziali, implica l’esistenza di “brane”, superfici multidimensionali all’interno di un “bulk”, uno spazio dotato di dimensioni extra (per i dettagli v. www.fantascienza.com/21658/il-migliore-degli-universi-possibili-la-scoperta-del-multiverso-pa... Seguendo una proposta dello stringhista Burt Ovrut, Steinhardt e Turok immaginarono due universi-brana, legati tra loro solo da una stringa chiusa che veicola la forza di gravità (l’unica forza interagente tra i due universi-brana), ciascuno di 9 dimensioni spaziali, solo tre delle quali “distese” come nel nostro universo, le altre “compattificate”, e immersi in un “bulk” a dieci dimensioni. A dividere le due brane c’è quindi una dimensione extra: e se, si chiesero, questa dimensione extra potesse contrarsi e far periodicamente scontrare le due brane? L’effetto, calcolarono, sarebbe stato identico al Big Bang: l’energia cinetica prodotta si sarebbe trasformata in materia e radiazione in un’enorme “vampata” di fuoco che avrebbe distrutto gli universi-brana precedenti e dato vita a due nuove brane. Chiamarono questo modello “universo ecpirotico”, dal greco ekpyrosis, ossia “uscire dal fuoco”, termine che nella filosofia degli Stoici indicava appunto il momento di creazione-distruzione tra un ciclo e l’altro della realtà.
Diversamente dai modelli tradizionali di universo oscillatorio, l’universo ecpirotico non prevede una contrazione e quindi un’inversione della freccia nel tempo per ridurre l’entropia. Non assisteremmo, dunque, all’inquietante scenario descritto da Philip K. Dick nel romanzo In senso inverso, dove i morti resuscitano dalle tombe e iniziano a ringiovanire fino allo stadio fetale. Spiegano gli autori: «Nel nuovo modello ciclico si contrae soltanto la dimensione extra. L’entropia si crea nelle brane – per esempio, quando le brane collidono o quando si ha la formazione delle galassie e delle stelle – quindi si diffonde finemente durante il resto del periodo di espansione. L’accelerazione dell’espansione dovuta all’energia oscura fa sì, in modo particolarmente efficace, che la gravità possa far posto alla nuova entropia, così la concentrazione di entropia sulle brane rimase bassa. Quindi le brane continuano a espandersi anche durante la fase di contrazione – nella quale, ricordiamo, si contrae soltanto la dimensione extra – e l’entropia sulle brane non è mai concentrata»ii.
La teoria M, come si è visto nel precedente capitolo di questa serie, include l’ipotesi del multiverso, sia perché può comunque prevedere l’inflazione, sia perché si fonda sull’idea che possano esistere numerose brane multidimensionali che fluttuano nel “bulk”. Viceversa, il modello cosmologico di Steinhardt e Turok fa a meno dell’inflazione e prevede solo due brane, una delle quali è quella su cui viviamo, ossia il nostro universo, mentre l’altra sarebbe composta sostanzialmente di materia oscura, probabilmente molto diversa rispetto al nostro universo, quasi certamente invivibile. Quando si scontrano, le due brane non creano un universo-figlio, ma subiscono una riconfigurazione del tutto identica alla situazione del nostro universo subito dopo il Big Bang, dominato da materia e radiazione ad altissima temperatura e densità. Gradualmente, l’espansione comporta una diminuzione delle temperature e una diluizione della densità, mentre l’energia oscura – che in questo modello è spiegata come l’energia potenziale elastica che tiene insieme le due brane in un eterno balletto cosmico – assume a un certo punto il predominio, spingendo l’universo all’interno della brana verso un’espansione accelerata, quella che noi stiamo attualmente sperimentando. Nel modello dell’universo ecpirotico, tuttavia, l’energia oscura è destinata a decadere, quando l’energia potenziale di cui è espressione scenderà a zero, nel momento di massima distanza delle due brane. A quel punto inizierà il loro graduale avvicinamento, sotto l’effetto della reciproca attrazione gravitazionale; l’espansione residua ha l’effetto di “stirare” le brane fino a renderle piatte e uniformi, cosicché queste proprietà sono ereditate dal nuovo ciclo cosmico (in tal modo sono spiegabili senza far ricorso all’inflazione), mentre l’energia cinetica che si scatena dal graduale avvicinamento viene convertita in nuova materia e radiazione nel momento dello scontro. Poiché inoltre le brane non sono rigide, ma fluttuano come un lenzuolo mosso dal vento, non si scontreranno nello stesso momento su tutta la loro superficie: in alcuni punti questo scontro avviene prima, in altri dopo. Nei punti in cui la collisione è avvenuta prima, materia e radiazione risultanti hanno avuto il tempo di diradarsi sotto l’effetto dell’espansione; nei punti in cui è avvenuta più tardi, invece, si sviluppano quegli addensamenti da cui nascono le galassie e tutto ciò che contengono. Questo meccanismo spiega dunque la disomogeneità dell’universo primordiale senza far ricorso all’ipotesi dell’inflazione.

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15/04/2017 12:21
 
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The Ekpyrotic Universe: Colliding Branes and the Origin of the Hot Big bang (“L’Universo Ecpirotico: brane in collisione e l’origine del Big bang caldo”) fu pubblicato per la prima volta nel novembre del 2001iii. Sebbene i proponenti fossero nomi di grande spessore nel panorama della fisica e della cosmologia (Turok, più giovane, ha proseguito una brillante carriera che l’ha portato oggi a dirigere il prestigioso Perimeter Institute di Waterloo, in Canada), le critiche non si contarono. Ad Andrei Linde, tra i padri della teoria dell’inflazione, lo scisma del suo collega Steinhardt non andò proprio giù. Con i colleghi Renata Kallosh (sua moglie) e Lev Kolfman firmò un articolo molto duro fin dal titolo (Pyrotechnic Universe, “Universo pirotecnico”, prendendo in giro a un tempo gli scenari cataclismatici proposti nel modello e la sua denominazione)iv. L’articolo dimostrava che il modello ecpirotico non era coerente con la teoria M (in particolare assegnava alle brane una tensione negativa laddove le brane nella teoria M devono avere tensione positiva), inseriva elementi inventati appositamente per spiegare l’origine dell’energia potenziale delle due brane, non spiegava da nessuna parte cosa accadesse in dettaglio nel momento della collisione tra le brane, richiedeva un eccessivo fine-tuning, ossia una “sintonia fine” dei parametri per far funzionare tutto il meccanismo.
Steinhardt e Turok respinsero le accuse al mittente, ma al tempo stesso si misero al lavoro con i loro colleghi per aggiungere dettagli più precisi (e anche per migliorare l’appeal del modello cambiandone il nome: oggi si chiama “universo-fenice”). Recentemente si sono concentrati, in particolare, sulla descrizione di ciò che avviene nel momento della collisione, ribattezzata variamente “Big Splat” o “Big Bounce” (“grande rimbalzo”). Gli scenari possibili sono due. Il primo è quello proposto da Neil Turok in collaborazione con il fisico teorico Steffen Gielen dell’Imperial College di Londrav: in questo scenario, si ipotizza che l’universo primordiale possa essere descritto come un unico sistema quantistico, per via del fatto che in quell’epoca (fino a 50.000 anni dopo il Big Bang) vigeva una geometria di tipo conforme, ossia non dipendente dalla scala. La luce, per esempio, è conforme, perché pur potendo assumere qualsiasi lunghezza d’onda (da quella delle onde radio ai raggi X, quasi ai due estremi dello spettro elettromagnetico) sarà sempre descritta dalle equazioni di Maxwell. Poiché la fisica quantistica prevede, tra le sue peculiarità, un fenomeno detto “effetto tunnel”, secondo il quale una particella può emergere al di là di una barriera fisica altrimenti invalicabile, per il fatto che la particella non possiede, nel reame quantistico, una posizione specifica nello spazio, ma solo una probabilità di trovarsi in una determinata posizione, anche l’intero universo primordiale può essere trattato in questo modo ed emergere al di là dell’apparente singolarità: l’universo del ciclo precedente compie questo passaggio critico attraverso la “soglia” e riemerge nel nuovo universo.
Il secondo scenario è stato sviluppato da Steinhardt e non fa ricorso alla gravità quantistica ma solo alle equazioni della relatività generale, dimostrando che anche in un modello classico è possibile evitare la singolarità e ottenere un Big Bounce, grazie a un campo particolare che trasforma la contrazione in espansione ben prima che l’universo raggiunga la densità critica che produce la singolaritàvi. Queste soluzioni, tuttavia, sono state accolte da rinnovato scetticismo dai sostenitori dell’inflazione. Renata Kallosh ha espresso un giudizio tranchant commentandone i risultati su Scientific American: «Non mi piace il fatto che non ammettano che tutti i loro articoli precedenti dovrebbero essere ignorati. Ora fanno una nuova affermazione, alla quale non credo»vii.
C’è però una possibilità di mettere fine alla querelle. Nonostante il fatto che entrambi riescano a spiegare le proprietà note dell’universo primordiale, il modello cosmologico inflazionario (che prevede il multiverso) e quello dell’universo-fenice (che invece non lo prevede, sostituendolo con cicli cosmici periodici) si differenziano su un punto di rilevanza fondamentale. Nel modello inflazionario lo stiramento delle fluttuazioni quantistiche – normalmente di dimensioni microscopiche – a scale enormi, sotto l’effetto della spinta dell’inflazione, genera un gran numero di onde gravitazionali con caratteristiche particolari. I modelli non-inflativi, come l’universo-fenice, non prevedono questo tipo di onde gravitazionali primordiali. Se le rilevassimo, l’inflazione avrebbe vinto la gara, e non ci sarebbe più spazio per gli universi ciclici nella versione di Steinhardt e Turok.
Queste onde gravitazionali avrebbero lasciato un’impronta chiara sulla radiazione di fondo cosmica dell’Universo, emessa 400.000 anni dopo il Big Bang, quando l’universo è diventato “trasparente” alla radiazione elettromagnetica. Il concetto-chiave qui è quello della polarizzazione: la radiazione elettromagnetica può essere polarizzata o non polarizzata, per esempio quella emessa dal Sole non lo è, ma lo diventa quando entra in atmosfera e colpisce gli atomi che vi si trovano, venendo deviata nello scontro (il fenomeno è detto “dispersione”); il risultato è che il campo elettromagnetico dell’onda inizia a oscillare verticalmente od orizzontalmente in modo perpendicolare rispetto alla direzione di propagazione dell’onda. Anche la radiazione emessa all’epoca del disaccopiamento non era polarizzata, ma ma lo è diventata scontrandosi con l’enorme addensamento del plasma dell’universo primordiale. La presenza di disomogeneità in questo plasma ha permesso alla polarizzazione di preservarsi fino a oggi e lasciare un’impronta caratteristica sul fondo a microonde, di due tipi: quella di “modo E” è l’effetto delle fluttuazione della densità di energia nell’universo primordiale, quella di “modo B” è l’effetto di onde gravitazionali prodotte durante l’inflazione. Scoprire la polarizzazione di modo B del fondo cosmico a microonde costituirebbe la prova finale dell’inflazione e la sconfessione di tutti i modelli non-inflazionari. Nel marzo 2014 fece letteralmente il giro del mondo la notizia che uno degli esperimenti sviluppati per cercare questa prova, BICEP-2, aveva trovato la “pistola fumante”. Mentre Linde e Kallosh vennero ripresi in casa a brindare, e Steinhardt da bravo scienziato ammetteva il fallimento del suo modello, il colpo di scena: la scoperta non era che un abbaglio, dovuto all’interferenza della polvere galattica sulle osservazioni compiute dai palloni-sonda dell’esperimento. Oggi, quindi, i giochi sono ancora aperti ed entrambi i modelli ancora in gara.

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anto_netti
15/04/2017 12:27
 
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Uno dei limiti del modello dell’universo-fenice è tuttavia dovuto al fatto di fondarsi sulla teoria M, quindi sulla teoria delle stringhe, le brane e le dieci dimensioni spaziali al posto delle tre che conosciamo. Sebbene la maggior parte dei fisici teorici accetti questi presupposti, negli ultimi anni sta crescendo il fronte di coloro che mettono in dubbio la bontà della teoria delle stringhe come modello descrittivo della realtà e stanno acquistando maggiore credito ipotesi alternative, come la gravità quantistica a loop, che prevede a sua volta un Big Bounce, sebbene non sia in grado di dettagliare un modello cosmologico in cui l’entropia venga mantenuta basso al momento del “rimbalzo”. Un’alternativa seducente è stata invece proposta da Sir Roger Penrose, che è stato uno dei primi teorici delle singolarità gravitazionali insieme a Stephen Hawking, nonché tra i primissimi a studiare le teorie di gravità quantistica con un approccio diverso da quello delle stringhe (la cosiddetta “teoria dei twistors”, o “torsori”). Nel suo libro del 2010 Cycles of Time, tradotto in Italia con il titolo Dal Big Bang all’eternità, Penrose propone un modello denominato “cosmologia ciclica conforme” (CCC) che non prevede nessuno degli esotismi della cosmologia quantistica, e che pertanto può funzionare a prescindere dalle diverse ipotesi di gravità quantistica (teoria delle stringhe, loop o twistors).
Tutto il modello poggia sull’entropia. Per Penrose, la ciclicità dell’Universo è possibile solo se si trova un meccanismo in base al quale l’altissima entropia che avremo alla fine del tempo, quando l’Universo sarà in equilibrio termodinamico dato dall’evaporazione di tutti i buchi neri, potrà ridursi allo stato di minima entropia del Big Bang, senza violare la seconda legge termodinamica prevedendo contrazioni che facciano invertire la freccia del tempo. Penrose mostra che il principale apporto alla crescita dell’entropia nell’Universo è dato dai buchi neri: di fatto, il Sole e le altre stelle, così come la Terra e gli altri pianeti, sono sistemi molto ordinati rispetto al plasma di quark e gluoni che dominava l’Universo primordiale; se l’entropia della fase attuale è maggiore di quella della fase primordiale è per il contributo dei buchi neri, all’interno dei quali materia e radiazione sono distrutti e ridotti a uno stato di estremo disordine. Gradualmente, i buchi neri assorbiranno tutta la materia e la radiazione dell’universo, aumentando di conseguenza sensibilmente l’entropia.
Proprio perché soggetti all’entropia, tuttavia, i buchi neri – scoprì Stephen Hawking negli anni Settanta – possono emettere calore. In un’epoca molto remota, quindi, gradualmente tutti i buchi neri evaporeranno per effetto della radiazione di Hawking (un effetto di natura quantomeccanica), emettendo radiazione termica. Questo fenomeno ha destato grande scalpore negli anni, perché sembra violare un principio fondamentale della fisica quantistica, quello per cui l’informazione non può mai andare distrutta: se un libro viene gettato in un camino, è sempre possibile, in linea di principio, ricostruirne l’informazione dalle ceneri e dalla radiazione termica prodotta; viceversa, la radiazione emessa da un buco nero è identica a quella di un corpo nero, la cui proprietà è che l’unica informazione estraibile è la sua temperatura. Il buco nero, quindi, non è in grado di restituirci alcuna informazione sulla materia che vi è finita dentro. Per Penrose, questo meccanismo è di capitale importanza per il modello CCC: mentre Hawking, recentemente, ha fatto marcia indietro, sostenendo che sia possibile comunque estrarre informazione dalla radiazione emessa dai buchi neri (e su questo punto si basa anche la proposta di Big Bounce della gravità quantistica a loop), Penrose crede che invece la perdita d’informazione nei buchi neri sia reale.
Ma perché questo punto è così importante? Penrose sostiene che la minima entropia del Big Bang sia dovuta al fatto che su di esso non si applichino i gradi di libertà gravitazionali, ossia le proprietà che caratterizzano tutti i corpi soggetti a gravità (tra cui anche le singolarità al centro dei buchi neri). Poiché è la gravità ad aumentare l’entropia, il fatto che essa non si applichi alla singolarità iniziale è ciò che permette alla sua entropia di restare bassa. Ora, quando la materia finisce in un buco nero, perde tutta la sua informazione, tra cui i gradi di liberà gravitazionali che ne descrivono il comportamento. Quel che esce dal buco nero dopo la sua evaporazione, quindi, è radiazione a bassissima entropia.
Resta il fatto, tuttavia, che l’Universo alla fine del tempo sia enormemente esteso e di ben altra natura rispetto a quello che emerge dalla singolarità iniziale. Ma solo apparentemente, secondo Penrose. L’evaporazione dei buchi neri lascerà l’Universo al suo stadio finale riempito solo di particelle senza massa, come i fotoni e i gravitoni. Per particelle prive di massa il tempo non esiste (se fossimo un fotone, che viaggia alla velocità della luce, vedremmo l’intera storia dell’Universo scorrere davanti a noi in un attimo); e se non esiste il tempo, non esiste nemmeno lo spazio. In quest’epoca finale, non c’è nulla che ci permette di calcolare il tempo o la dimensione dell’universo: si applica ad esso la geometria conforme, che come si è detto è invariante per scala. Una situazione identica a quella dopo il Big Bang, in cui «l’energia cinetica dei moti delle particelle doveva essere così gigantesca da surclassare nel modo più completo le loro rispettive energia riposo, che al confronto erano minuscole (E=mc2, per una particella di massa a riposo m)» nota Penrose, che aggiunge: «Pertanto, la massa a riposo delle particelle doveva essere di fatto ininfluente: in pratica, per quanto concerne i processi dinamici rilevanti, era come se fosse pari a zero. Nei suoi primissimi momenti di vita, l’universo era quindi pieno di particelle che risultavano effettivamente prive di massa», esattamente come nello stadio finale dell’Universo precedente viii. Come volevasi dimostrare.
Il modello della CCC di Penrose fa una serie di predizioni: innanzitutto, dev’essere vero che la radiazione di Hawking non restituisce l’informazione del contenuto del buco nero; in secondo luogo, tutte le particelle dotate di massa devono decadere sul lunghissimo periodo, perché è sempre possibile che qualche elettrone, protone o particella di materia oscura sfugga agli enormi buchi neri alla fine del tempo, per cui è necessario che perdano anche loro massa, fatto questo non osservato finora in nessun esperimento, ma che potrebbe risultare verso su un tempo lunghissimo (ciascun “eone”, come Penrose definisce i cicli dell’Universo, durerebbe 10^100, ossia un googol di anni). Infine, le onde gravitazionali prodotte dalla collisione tra i giganteschi buchi neri che domineranno alla fine del precedente eone dovrebbero giungere fino a noi, imprimendosi sulla radiazione cosmica di fondo sotto forma di anelli concentrici a temperature inferiori rispetto alla media: Penrose e il suo collega Vahe Gurzadyan ritengono di averle individuate nella mappa del fondo cosmico a microonde prodotta dal satellite WMAPix.
Quel che colpisce di questi due modelli è che, pur se entrambi spiegano le proprietà dell’universo primordiale facendo a meno dell’inflazione, e quindi del principale meccanismo alla base della teoria del multiverso, nondimeno prevedono l’esistenza di altri Universi, non contigui al nostro, ma esistiti in epoche precedenti e nel futuro. In tal modo diventa possibile anche spiegare il dilemma antropico, ossia il fatto che le costanti fondamentali dell’Universo possiedano valori che, se differissero di pochi decimali, renderebbero impossibile la vita: in ciascun ciclo, l’Universo subisce una lieve variazione di questi valori, cosicché la maggior parte degli universi del passato e del futuro sono di fatto invivibili, e noi non siamo che i fortunati vincitori di una lotteria cosmica che si ripete ogni googol di anni…

(continua).

Note

i Isaac Asimov, L’ultima domanda, in Id., Il meglio di Asimov, Mondadori, Milano, 1975.
i Paul J. Steinhardt, Neil Turok, Universo senza fine. Oltre il big bang, il Saggiatore, Milano, 2010, p. 202.
iii Justin Khoury, Burt A. Ovrut, Paul J. Steinhardt, Neil Turok, “Ekpyrotic universe: Colliding branes and the origin of the hot big bang”, Physical Review D, vol. 64, novembre 2001.
iv Renata Kallosh, Lev Kofman, Andrei Linde, “Pyrotechninc Universe”, Physical Review D, vol. 64, 28 novembre 2001.
v Steffen Gielen, Neil Turok, “Perfect Quantum Cosmological Bounce”, Physical Review Letters, vol. 117, 8 luglio 2016.
vi Anna Ijjas, Paul J. Steinhardt, “Classically stable non-singular cosmological bounces”, Physical Review Letters, vol. 117, 16 settembre 2016.
vii Clara Moskowitz, “Did the Universe Boot Up with a «Big Bounce?», Scientific American, 3 agosto 2016; tr. it. “L’universo è nato da un grande rimbalzo?”, Le Scienze, 6 agosto 2016.
viii Roger Penrose, Dal Big Bang all’eternità. I cicli temporali che danno forma all’universo, Rizzoli, Milano, 2011, p. 181.
ix Vahe G. Gurzadyan, Roger Penrose, “On CCC-predicted concentric low-variance circles in the CMB sky”, European Physical Journal Plus, vol. 128 n. 22, 2013.

www.fantascienza.com/22270/il-migliore-degli-universi-possibili-la-scoperta-del-multiverso-p...

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anto_netti
04/10/2018 08:50
 
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Multiverso, ancora multiverso e ancora multiverso

Ormai se ne parla sempre di più. E viene ormai creduto dalla cosmologia quasi certo l'esistenza del multiverso.

L'universo nell'antichità, si pensava fosse composto, dalla Terra, che rivestiva un ruolo centrale. Da pianeti e stelle. Durarono per molti secoli i dibattiti se la Terra fosse situata al centro dell'universo, oppure se al centro dell'universo vi fosse il Sole. Solo con Copernico con le sue teorie e Galileo con le sue osservazioni si dimostrò che la Terra non era al centro dell'universo, ma vi era il Sole. Un universo molto limitato. Ai cui confini vi erano le stelle. La Terra faceva parte di un sistema solare, nel quale vi erano altri pianeti. La Terra manteneva però sempre un ruolo centrale nell'universo, perché sede della coscienza umana. Una coscienza umana che si poneva domande sull'universo.

Poi si scoprì che le stelle facevano parte di agglomerati chiamati galassie. Degli universi - isola. La galassia dove era situata la Terra e il sistema solare, venne chiamata Via Lattea. Si scoprirono miliardi di galassie. E si stima che ogni galassia possieda più di 100.000.000.000 di stelle.

Poi si scoprirono gli ammassi di galassie e i super ammassi di galassie. Poi si scoprì che esse costituivano un reticolato simile ad una ragnatela. Così sono disposte le galassie nel nostro universo. La Terra ha perso così il suo ruolo centrale in un'universo così immenso. E' un insignificante puntino immerso in una vastità enorme.

Ma ora? Anche l'universo non sarebbe che un punto infinitesimale in mezzo a qualcosa di ancora più immenso. Si è dato a questa «infinità» il nome di multiverso. E si è definito questo multiverso una mostruosa realtà composta da un numero inimmaginabile di cosmi. Si stima che esso sia composto da un qualcosa come 10^500 universi. Un numero veramente mostruoso.

Ma sono scettico sul fatto che siano degli universi copia, con copie di noi stessi. Dove esistano tutte le possibilità quantistiche della funzione d'onda quantistica. Così che in questo universo io sia un modesto impiegato, mentre in un altro universo, potrei essere un famoso cantante. Universi che non potranno mai venire in contatto data l'enorme distanza. E sono scettico anche che secondo il principio antropico il multiverso generi universi a caso, fino a che non generi universi adatti alla vita. Non è questa secondo me l'interpretazione del principio antropico. Il principio antropico è che il nostro universo è stato creato a misura d'uomo, per generare l'uomo.

Il multiverso, in quanto creazione di Dio, ha un suo scopo. Sta a noi scoprirlo.

Di seguito un articolo di il Giornale.it


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anto_netti
[Modificato da anto_netti 04/10/2018 08:55]
04/10/2018 09:08
 
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L'invasione dei "multi cosmi" e non è fantascienza


Esistono altri universi oltre al nostro. Dopo gli studi di Hawking, fisici e astronomi non hanno più dubbi

Gianluca Grossi

03/10/2018

Abbiamo iniziato a prendere seriamente la cosa quando Stephen Hawking, il più grande astronomo del Novecento, scomparso a marzo di quest'anno, ha dato alle stampe l'articolo «A Smooth Exit from Eternal Inflation».

Prima erano solo congetture di scienziati frustrati o scrittori con il pallino della fantascienza. Ora tutto cambia, e iniziamo a crederci anche noi. E anche l'intellighenzia scientifica; ché se chiediamo a un fisico qualunque se sia d'accordo o meno sull'esistenza di altri universi oltre al nostro, la risposta sarebbe quasi certamente affermativa. Dunque, punto a capo. Astronomia, tutto da rifare. E se fino a dieci anni fa anche a scuola si parlava in successione dimensionale di Terra, Sistema solare, Via Lattea, Superammasso locale, Universo, ora anche l'universo non sarebbe che un punto infinitesimale in mezzo a qualcosa di ancora più immenso, e oggettivamente imperscrutabile. Si è dato a questa «infinità» il nome di multiverso; definendo una mostruosa realtà composta da un numero inimmaginabile di cosmi.

Prima dell'articolo di Hawking si pensava a una semplice inflazione cosmica dovuta all'energia sprigionata in seguito al Big Bang, che deflagrò quel che c'era prima (il nulla?), per dare origine al tempo, allo spazio, all'universo nel quale viviamo 13,6 miliardi di anni fa. Ma adesso sempre più studi propendono per l'ipotesi alternativa: il Big Bang non sarebbe una prerogativa del nostro universo, ma di molti altri, situati chissà dove. Hawking riferisce di ondate di inflazione cosmica, che avrebbero determinato la nascita di «bolle cosmiche», con caratteristiche specifiche per ogni distretto spaziale e che mandano pertanto in soffitta l'interpretazione classica che contempla un'unica espansione lineare dell'universo post-Big Bang. Dunque, non un solo universo, ma tanti, la cui natura rimane un mistero.

Il multiverso patchwork, per esempio, prevede l'infinita ripetizione di universi solo in parte analoghi al nostro, che non possono comunicare fra loro. Il multiverso inflazionario contempla l'azione di una forza di gravità negativa in grado di generare il cosiddetto inflatone, particella di grande potenza, forse simile al fantomatico bosone di Higgs. All'Università di Cambridge indicano, invece, la possibilità che le tradizionali leggi fisiche in altri cosmi possano funzionare al contrario o comunque in modo diverso. Ancora più suggestiva l'idea che ogni potenziale forma di materia possa sussistere da qualche parte. Significa infinite copie di noi stessi, del nostro pianeta, del nostro Sistema solare, di tutto ciò che ci circonda. Anche se, da calcoli probabilistici, l'altro nostro «io» non potrà essere raggiungibile perché situato tanto lontano da rendere ridicola anche una navicella che viaggia alla velocità della luce.

Non sono concetti facili da comprendere, tuttavia l'immagine offerta a Hugh Everett III, fisico di Princeton, autore di «Relative State formulation of quantum mechanics», (nonché padre di Mark Oliver della nota band rock americana Eels), alla fine degli anni Cinquanta, offrì un esempio abbastanza eloquente per risolvere ogni dubbio. Prendiamo un dado e lanciamolo. Il risultato non si farà attendere: sarà un numero compreso fra 1 e 6. Nel campo della fisica spaziale, però, e in particolare della meccanica quantistica, arriveremmo a ottenere contemporaneamente le sei soluzioni: e dunque, riflettendo in termini cosmici, significherebbe ottenere un universo diverso per ogni faccia del dado.

Tutto ciò ha anche implicazioni di natura filosofica. Poiché in simili situazioni, fato, destino, e casualità, perderebbero il loro senso: ogni possibilità, di fatto, sarebbe lecita. E si arriva alla cosiddetta «teoria delle stringhe», che di nuovo riporta al genio di Hawking. Con essa diviene inevitabile l'esistenza di tanti universi leggermente diversi fra loro, ma riconducibili a un substrato comune. Prove dell'esistenza di universi paralleli? Siamo ancora lontani dalla verità, ma qualche dato inizia a essere raccolto. Ranga-Ram Chary, ricercatore presso il Planck Space Telescope, ha recentemente rivelato delle anomalie ai confini del nostro universo che potrebbero confermare l'esistenza di un mondo parallelo. Lo scienziato ha analizzato la radiazione di fondo (figlia dei primi istanti post Big Bang), individuando una anomalia sottoforma di radiazione inusuale; 4.500 volte più potente delle aspettative.

Chary ipotizza che possa essere il risultato di una «ferita» dovuta a uno scontro con un'altra bolla universale, un universo straniero a tutti gli effetti. Ritiene che questa considerazione possa essere valida al 70%. Ma che ci vorranno altri studi per confermarla. Simile il risultato di un'indagine condotta dagli scienziati della Durham University; secondo i quali esiste una zona ai confini dell'universo (a 1,8 miliardi di anni luce da noi), dove la temperatura è di circa 0,00015 gradi centigradi minore rispetto alle aree circostanti. Tom Shanks, a capo dello studio, parla di una «macchia fredda» che confermerebbe un angolo lontanissimo dello spazio con tracce che rimanderebbero alla collisione con un altro universo. Tutti d'accordo tranne il matematico Peter Woit, da sempre contrario alla teoria delle stringhe, secondo il quale «il multiverso è solo una scusa sempre buona per non essere in grado di spiegare la fisica delle particelle».

www.ilgiornale.it/news/linvasione-dei-multi-cosmi-e-non-fantascienza-1583...

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anto_netti, 04/10/2018 09.08:

L'invasione dei "multi cosmi" e non è fantascienza


Esistono altri universi oltre al nostro. Dopo gli studi di Hawking, fisici e astronomi non hanno più dubbi

Gianluca Grossi

03/10/2018

Abbiamo iniziato a prendere seriamente la cosa quando Stephen Hawking, il più grande astronomo del Novecento, scomparso a marzo di quest'anno, ha dato alle stampe l'articolo «A Smooth Exit from Eternal Inflation».

Prima erano solo congetture di scienziati frustrati o scrittori con il pallino della fantascienza. Ora tutto cambia, e iniziamo a crederci anche noi. E anche l'intellighenzia scientifica; ché se chiediamo a un fisico qualunque se sia d'accordo o meno sull'esistenza di altri universi oltre al nostro, la risposta sarebbe quasi certamente affermativa. Dunque, punto a capo. Astronomia, tutto da rifare. E se fino a dieci anni fa anche a scuola si parlava in successione dimensionale di Terra, Sistema solare, Via Lattea, Superammasso locale, Universo, ora anche l'universo non sarebbe che un punto infinitesimale in mezzo a qualcosa di ancora più immenso, e oggettivamente imperscrutabile. Si è dato a questa «infinità» il nome di multiverso; definendo una mostruosa realtà composta da un numero inimmaginabile di cosmi.

Prima dell'articolo di Hawking si pensava a una semplice inflazione cosmica dovuta all'energia sprigionata in seguito al Big Bang, che deflagrò quel che c'era prima (il nulla?), per dare origine al tempo, allo spazio, all'universo nel quale viviamo 13,6 miliardi di anni fa. Ma adesso sempre più studi propendono per l'ipotesi alternativa: il Big Bang non sarebbe una prerogativa del nostro universo, ma di molti altri, situati chissà dove. Hawking riferisce di ondate di inflazione cosmica, che avrebbero determinato la nascita di «bolle cosmiche», con caratteristiche specifiche per ogni distretto spaziale e che mandano pertanto in soffitta l'interpretazione classica che contempla un'unica espansione lineare dell'universo post-Big Bang. Dunque, non un solo universo, ma tanti, la cui natura rimane un mistero.

Il multiverso patchwork, per esempio, prevede l'infinita ripetizione di universi solo in parte analoghi al nostro, che non possono comunicare fra loro. Il multiverso inflazionario contempla l'azione di una forza di gravità negativa in grado di generare il cosiddetto inflatone, particella di grande potenza, forse simile al fantomatico bosone di Higgs. All'Università di Cambridge indicano, invece, la possibilità che le tradizionali leggi fisiche in altri cosmi possano funzionare al contrario o comunque in modo diverso. Ancora più suggestiva l'idea che ogni potenziale forma di materia possa sussistere da qualche parte. Significa infinite copie di noi stessi, del nostro pianeta, del nostro Sistema solare, di tutto ciò che ci circonda. Anche se, da calcoli probabilistici, l'altro nostro «io» non potrà essere raggiungibile perché situato tanto lontano da rendere ridicola anche una navicella che viaggia alla velocità della luce.

Non sono concetti facili da comprendere, tuttavia l'immagine offerta a Hugh Everett III, fisico di Princeton, autore di «Relative State formulation of quantum mechanics», (nonché padre di Mark Oliver della nota band rock americana Eels), alla fine degli anni Cinquanta, offrì un esempio abbastanza eloquente per risolvere ogni dubbio. Prendiamo un dado e lanciamolo. Il risultato non si farà attendere: sarà un numero compreso fra 1 e 6. Nel campo della fisica spaziale, però, e in particolare della meccanica quantistica, arriveremmo a ottenere contemporaneamente le sei soluzioni: e dunque, riflettendo in termini cosmici, significherebbe ottenere un universo diverso per ogni faccia del dado.

Tutto ciò ha anche implicazioni di natura filosofica. Poiché in simili situazioni, fato, destino, e casualità, perderebbero il loro senso: ogni possibilità, di fatto, sarebbe lecita. E si arriva alla cosiddetta «teoria delle stringhe», che di nuovo riporta al genio di Hawking. Con essa diviene inevitabile l'esistenza di tanti universi leggermente diversi fra loro, ma riconducibili a un substrato comune. Prove dell'esistenza di universi paralleli? Siamo ancora lontani dalla verità, ma qualche dato inizia a essere raccolto. Ranga-Ram Chary, ricercatore presso il Planck Space Telescope, ha recentemente rivelato delle anomalie ai confini del nostro universo che potrebbero confermare l'esistenza di un mondo parallelo. Lo scienziato ha analizzato la radiazione di fondo (figlia dei primi istanti post Big Bang), individuando una anomalia sottoforma di radiazione inusuale; 4.500 volte più potente delle aspettative.

Chary ipotizza che possa essere il risultato di una «ferita» dovuta a uno scontro con un'altra bolla universale, un universo straniero a tutti gli effetti. Ritiene che questa considerazione possa essere valida al 70%. Ma che ci vorranno altri studi per confermarla. Simile il risultato di un'indagine condotta dagli scienziati della Durham University; secondo i quali esiste una zona ai confini dell'universo (a 1,8 miliardi di anni luce da noi), dove la temperatura è di circa 0,00015 gradi centigradi minore rispetto alle aree circostanti. Tom Shanks, a capo dello studio, parla di una «macchia fredda» che confermerebbe un angolo lontanissimo dello spazio con tracce che rimanderebbero alla collisione con un altro universo. Tutti d'accordo tranne il matematico Peter Woit, da sempre contrario alla teoria delle stringhe, secondo il quale «il multiverso è solo una scusa sempre buona per non essere in grado di spiegare la fisica delle particelle».

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anto_netti


Le implicazioni etiche non sono di poco conto perché anche se è vero che l'esistenza di infinite copie di noi stessi annullerebbe l'esistenza del destino, di fatto ridurrebbe ogni scelta ad una questione puramente probabilistica rendendo quasi nullo il valore del libero arbitrio della responsabilità e dell'individualità . Ciò che voglio dire è che se già un solo universo ci fa sentire piccoli e chiedere che valore hanno le nostre azioni , un 'infinita' di universi e di copie di noi come ci fa sentire ? Io mi sento un po' più un nulla. Non pongo limiti a Dio ma mi chiedo solo se una cosa del genere sia compatibile col suo amore e nel rispetto del valore del libero arbitrio da lui creato. Poi c'è la questione dell'unicità di ogni identità . Ad esempio di Cristo glorificato viene detto che è il "solo che ha immortalità" . Se ci fossero infinite copie di Cristo nei cieli questa dichiarazione non sarebbe molto vera. Ci sarebbe un Cristo venuto meno ? Un Cristo mai venuto sulla terra ? Un Cristo mai morto e risorto ? Capisci che se sono sacrifici di valore tutte queste sofferenze affidarle ad una sequenza quantistica di probabilità significa darle importanza solo rispetto al nostro universo ma quando realizzi che di universi ce ne sono un'infinita' come ci sono un'infinità di scelte possibili allora quelle sofferenze e quei sacrifici non ti sembrano più così importanti e necessari

Saluti✍
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