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7) Simone Arnold Liebster (1930-vivente)
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paese: Francia
Riferimento nella letteratura Watch Tower: Svegliatevi! 22/9/1993, pagg.15-19
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Verosimilmente, Simone Arnold è la più nota perseguitata testimone di Geova (donna) della storia di questa religione. E' titolare di una fondazione che porta il suo nome (la Arnold-Liebster, che reca anche il cognome del marito), con un sito internet disponibile in cinque lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo, italiano). Ha scritto un libro autobiografico di grande successo, Facing The Lion - Memoirs of a Young Girl In Nazi Europe ( sito ufficiale) oggetto di numerose ristampe e tradotto anche in italiano col titolo Sola di fronte al leone. Ospite d'onore di conferenze universitarie, seminari educativi, esposizioni museali, tavole rotonde, manifestazioni storiche a tema e altre iniziative didattiche e culturali, intervistata a ripetizione dalla stampa, occupa un posto di primo piano in varie associazioni alla memoria delle vittime del nazismo, quali l' US Holocaust Memorial Museum e l' Holocaust Memorial Day Trust.
Nata in un villaggio alsaziano, figlia unica di Adolphe ed Emma, a 3 anni si trasferisce insieme ai genitori a Mulhouse dove il lavoro del padre assicura alla famiglia Arnold un buon tenore di vita. La madre inizia a studiare la Bibbia coi Bibelforscher; il padre, dopo un iniziale periodo di contrarietà, finisce con il condividerne la nuova fede. L'intera famiglia Simone si battezza poco prima che l'esercito nazionalsocialista di Hitler invadesse la regione francese dell'Alsazia. Nel 1941 Adolphe viene arrestato e condotto in un campo da lavoro, seguito entro breve da altri componenti maschi della famiglia; di lì a poco anche Emma verrà internata.
Due foto di Simone Arnold bambina.
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Nel frattempo l'adolescente Simone era stata destinata a vari istituti scolastici, dove, a causa delle sue credenze religiose, subì svariate umiliazioni psicologiche e corporali. Infine un giudice del tribunale dei minori decise di affidarla ad un riformatorio, con il risultato di sottoporla a due terribili anni di maltrattamenti, incluso il divieto assoluto di parlare. Unico conforto le rare visite di una zia Testimone, che le portava di nascosto della letteratura biblica.
Si può bene immaginare la gioia della famiglia Arnold allorché, alla fine della guerra, i suoi tre membri scoprirono di essere sopravvissuti e riuscirono a riunirsi e inizare una nuova vita. Simone imparò l'inglese e fu chiamata a frequentare la scuola di Galaad. Nel 1956 sposò Max Liebster.
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Simone Arnold ha narrato la sua vita nella Svegliatevi! del 22 settembre 1993, pagine 15-19, che si riporta di seguito.
Esperienza di Simone Arnold (Svegliatevi! 22/9/1993, pagg.15-19 - CLICCA PER VISUALIZZARE
“O Geova, aiuta la mia bambina a rimanere fedele!”
SONO nata nel 1930 nella regione francese dell’Alsazia, in una famiglia di artisti. Ricordo che alla sera papà, seduto in poltrona con il mio cagnolino che dormiva ai suoi piedi, leggeva qualche libro di geografia o di astronomia. Ogni tanto papà raccontava a mamma qualche punto interessante di ciò che leggeva mentre lei sferruzzava per la famiglia. Quanto mi piacevano quelle serate!
La religione aveva una parte molto importante nella nostra vita. Eravamo ferventi cattolici, tanto che la gente, quando ci vedeva andare in chiesa la domenica mattina, diceva: “Sono le nove. Gli Arnold stanno andando in chiesa”. Ogni giorno, prima di andare a scuola, andavo in chiesa. A motivo della cattiva condotta del sacerdote, però, mamma mi proibì di andarci da sola. A quel tempo avevo sei anni.
Dopo aver letto solo tre opuscoli dei Bibelforscher (Studenti Biblici, ora noti come testimoni di Geova), mia madre cominciò a predicare di casa in casa. Questo irritò molto papà. Egli stabilì che non si dovesse mai parlare di religione in mia presenza. ‘E che non si legga quella robaccia!’ Mamma, però, era talmente entusiasta della verità che decise di leggermi parti della Bibbia. Si procurò una Bibbia cattolica e cominciò a leggermene qualche brano ogni mattina senza fare commenti, per ubbidire a papà.
Un giorno lesse Salmo 115:4-8: “I loro idoli sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo terreno. . . . Proprio come loro diverranno quelli che li fanno, tutti quelli che in essi confidano”. Lo mise in relazione con il secondo comandamento, che dice: “Non devi farti immagine scolpita”. (Esodo 20:4-6) Immediatamente mi alzai e distrussi l’altare che avevo nella mia cameretta.
A scuola parlavo ai compagni di classe cattolici della mia lettura biblica quotidiana. Questo provocò un certo subbuglio nella scuola. Molto spesso i bambini mi seguivano per la strada chiamandomi “ebrea schifosa!” Tutto ciò accadeva nel 1937. Questa situazione indusse mio padre ad esaminare ciò che stavo imparando. Si procurò il libro La creazione, pubblicato dai testimoni di Geova, lo lesse e divenne lui stesso un Testimone!
Non appena l’esercito tedesco entrò in Francia attraverso il confine belga cominciammo a vedere bandiere con la svastica in cima alle chiese, anche se sul municipio sventolava ancora la bandiera francese. Il governo francese aveva chiuso la nostra Sala del Regno e vietato l’opera dei testimoni di Geova, per cui quando arrivarono i tedeschi operavamo già nella clandestinità. Gli sforzi per eliminare i Testimoni, però, si intensificarono. Due anni dopo mi battezzai: avevo 11 anni.
Un mese dopo, il 4 settembre 1941, alle due del pomeriggio suonarono alla porta. Papà doveva rientrare dal lavoro, per cui balzai in piedi, aprii la porta e mi gettai fra le sue braccia. Da dietro, un uomo gridò: “Heil Hitler!” Quando fui rimessa a terra mi resi conto che l’uomo che avevo abbracciato era un agente delle SS! Mi mandarono nella mia stanza e sottoposero mia madre a un interrogatorio di quattro ore. Quando se ne andarono, uno di loro gridò: “Non rivedrà mai più suo marito! Lei e la sua bambina farete la stessa fine!”
Quella mattina papà era stato arrestato. Aveva in tasca lo stipendio mensile. Le SS chiusero il nostro conto in banca e negarono a mia madre la tessera necessaria per trovare lavoro. Ora la loro politica era: “Nessun mezzo di sussistenza per questi parassiti!”
Persecuzione a scuola
Durante questo periodo le pressioni a scuola continuarono ad aumentare. Ogni volta che entrava in aula l’insegnante, tutti e 58 gli alunni dovevano alzarsi in piedi con il braccio teso e dire: “Heil Hitler”. Quando veniva il sacerdote per tenere la lezione di religione, entrava in aula e diceva: “Heil Hitler: benedetto colui che viene nel nome del Signore”. La classe rispondeva: “Heil Hitler, Amen!”
Io mi rifiutavo di dire “Heil Hitler”, e questo fatto giunse agli orecchi del direttore. Fu scritta una lettera di avvertimento che diceva: “Una persona che frequenta questa scuola non si sta sottomettendo alle regole dell’istituto, e se entro una settimana questa persona non cambia atteggiamento, verrà espulsa”. In calce veniva specificato che questa lettera doveva essere letta alle oltre 20 classi.
Arrivò il giorno in cui fui chiamata davanti alla classe per rendere nota la mia decisione. Il direttore mi concesse altri cinque minuti per pronunciare il saluto oppure prendere le mie cose e andarmene. Quei cinque minuti d’orologio mi sembrarono un’eternità. Mi cominciarono a tremare le gambe, mi sentivo scoppiare la testa e mi batteva forte il cuore. Il pesante silenzio dell’intera classe fu interrotto da uno stridente “Heil Hitler”, che l’intera classe ripeté tre volte. Io corsi al banco, presi le mie cose e uscii di corsa dall’aula.
Il lunedì seguente fui ammessa ad un’altra scuola. Il direttore disse che potevo frequentare le lezioni, a patto che non dicessi a nessuno il motivo per cui ero stata espulsa dall’altra scuola. I miei compagni di classe mi accolsero in modo ostile, dandomi della ladra e della delinquente, e dicevano che ero stata espulsa per questo. Non potevo spiegare il vero motivo.
Ero seduta in fondo all’aula, e a un certo punto la mia compagna di banco si accorse che non facevo il saluto. Pensava che appartenessi alla resistenza francese, per cui non potei fare a meno di spiegarle perché mi rifiutavo di gridare “Heil Hitler”: “Atti 4:12 dice che ‘non c’è salvezza in nessun altro, poiché non c’è sotto il cielo nessun altro nome dato fra gli uomini mediante cui dobbiamo essere salvati’. Solo Cristo è il nostro Salvatore. Visto che dicendo ‘heil’ si ascrive salvezza a qualcuno, non posso attribuire questa salvezza a nessun uomo, nemmeno a Hitler”. Questa ragazzina e sua madre cominciarono a studiare la Bibbia con i testimoni di Geova e diventarono a loro volta Testimoni!
Attività clandestina
Durante tutto questo periodo continuammo a predicare clandestinamente. La prima domenica di ogni mese andavamo in un posto fra i monti dove ricevevamo l’edizione francese della Torre di Guardia da tradurre in tedesco. Mamma mi aveva fatto un reggicalze speciale con una tasca nascosta per portarvi La Torre di Guardia. Un giorno fummo fermate da due soldati che ci portarono in una baita e ci perquisirono. Mi sentii talmente male che mi fecero sdraiare sul fieno, e così non trovarono La Torre di Guardia. In un modo o nell’altro, sembrava che Geova mi liberasse sempre.
Un giorno mi fu ordinato di presentarmi a uno “psichiatra”: in realtà si trattava di due agenti delle SS. C’erano anche altri figli di Testimoni. Mi chiamarono per ultima. I due “dottori” stavano seduti dietro un tavolo, mentre io avevo una luce intensa negli occhi. Ebbe così inizio l’interrogatorio. Un “dottore” mi faceva domande di geografia o di storia, e prima che potessi rispondere l’altro interveniva facendo domande relative all’opera clandestina. Chiedeva anche i nomi degli altri Testimoni. Stavo per non farcela più quando all’improvviso una telefonata interruppe l’interrogatorio. Com’era meraviglioso il modo in cui Geova veniva sempre in mio aiuto!
Quando il direttore della scuola venne a sapere che avevo spiegato le nostre credenze a una compagna fui arrestata, portata in tribunale e condannata ad andare in riformatorio. La sentenza diceva: ‘[L’imputata] è stata allevata secondo gli insegnamenti dell’Associazione Internazionale degli Studenti Biblici, che sono proibiti dalla legge, e diverrà un soggetto corrotto e pericoloso’. Per me che avevo 12 anni, stare in quell’austera aula di tribunale fu una prova tremenda! Tuttavia, grazie all’aiuto di un amico comprensivo che lavorava in un ufficio amministrativo la sentenza non fu eseguita immediatamente.
Circa un mese dopo la mia classe fu scelta per trascorrere due settimane in un campo di addestramento della Gioventù hitleriana. Non ne feci parola con mia madre. Non volevo che nessuna responsabilità ricadesse su di lei per il fatto che avevo deciso di non andarci. Prima del giorno della partenza il direttore della scuola mi avvertì: “Se lunedì non sei alla stazione ferroviaria o nel mio ufficio, ti faccio prelevare dalla polizia!”
Il lunedì mattina passai davanti alla stazione ferroviaria, diretta a scuola. Tutti i miei compagni mi chiamavano perché andassi con loro, ma io ero decisa ad andare nell’ufficio del direttore. Arrivai in ritardo, per cui lui era già convinto che fossi salita sul treno con gli altri. Quando mi vide andò in bestia. Mi portò nella sua classe e tormentò l’intera scolaresca per quattro ore. Ad esempio, chiamava tutti gli alunni ad uno ad uno di fronte alla classe, e anziché consegnare loro il quaderno li schiaffeggiava con esso, dopo di che puntava il dito verso di me e diceva: “È tutta colpa sua!” Tentava di aizzare contro di me i 45 alunni, che avevano solo 10 anni. Ma alla fine della lezione essi vennero a congratularsi con me perché avevo continuato a rifiutarmi di cantare inni militari.
In seguito ebbi l’incarico di raccogliere carta, scatolette e ossa. Mi rifiutai di farlo perché le scatolette venivano usate per scopi militari. Fui picchiata finché non persi conoscenza. In seguito i miei compagni di classe mi aiutarono a rimettermi in piedi.
Quando tornai a scuola ebbi la sorpresa di trovare tutte le classi, circa 800 alunni, in piedi nel cortile attorno all’asta della bandiera. Mi misero nel mezzo. Fu fatto un lungo discorso sulla libertà e su ciò che attende i traditori, seguito da tre grida di Sieg heil! (vittoria e salvezza). Fu cantato l’inno nazionale, mentre io rimanevo immobile, rabbrividendo. Geova mi sostenne; rimasi integra. In seguito, rientrando nell’appartamento in cui abitavamo, trovai i miei vestiti sul letto e una lettera che diceva: “Simone Arnold si deve presentare alla stazione ferroviaria domani mattina”.
Nel riformatorio
La mattina dopo mamma ed io eravamo alla stazione. Due signore mi presero in custodia. Sul treno mamma mi ripeté le sue raccomandazioni: “Sii sempre educata, buona e gentile, anche quando subisci dei torti. Non essere mai ostinata. Non rispondere mai in maniera impertinente o insolente. Ricordati che rimanere integri non ha nulla a che vedere con l’essere testardi. Sarà un addestramento che ti servirà per il futuro. È volontà di Geova che subiamo prove per il nostro bene futuro. Tu sei ben preparata. Sai cucire, cucinare, lavare e curare il giardino. Ormai sei una signorina”.
Quella sera, in una vigna fuori del nostro albergo, mamma ed io ci mettemmo in ginocchio, cantammo un cantico del Regno sulla speranza della risurrezione e pronunciammo una preghiera. Con voce ferma, mamma supplicò a mio favore: “O Geova, aiuta la mia bambina a rimanere fedele!” Per l’ultima volta mamma mi rimboccò le coperte e mi baciò.
Il giorno dopo, quando arrivammo al riformatorio, gli avvenimenti si susseguirono in fretta e non ebbi nemmeno modo di salutare la mamma. Una ragazzina mi mostrò il pagliericcio su cui avrei dormito. Mi tolsero le scarpe: dovevamo camminare scalze fino al primo novembre. Il primo pranzo fu difficile da mandar giù. Mi diedero sei paia di calzini da rammendare, altrimenti non avrei ricevuto niente da mangiare. Per la prima volta mi misi a piangere. Quei calzini si inzupparono di lacrime. Piansi quasi tutta la notte.
La mattina dopo mi alzai alle 5,30. Il mio letto era sporco di sangue: da poco mi erano cominciate le mestruazioni. Tremante, andai dalla prima maestra che incontrai, la signorina Messinger. Lei chiamò una ragazzina che mi mostrò come lavare il lenzuolo nell’acqua fredda. Il pavimento di pietra era gelido, e i dolori aumentarono. Ricominciai a piangere. A quel punto la signorina Messinger disse con un sorrisetto caustico: “Dì al tuo Geova che ti lavi lui il lenzuolo!” Era proprio quello che avevo bisogno di sentirmi dire. Mi asciugai gli occhi, e da allora in poi non riuscirono più a farmi versare una sola lacrima.
Ogni mattina dovevamo alzarci alle 5,30 per pulire la casa prima della colazione, che consisteva in una ciotola di brodo alle 8. Le lezioni scolastiche per i 37 bambini, che avevano dai 6 ai 14 anni, si tenevano nell’istituto. Nel pomeriggio facevamo lavori di lavanderia, cucito e giardinaggio, visto che non c’era nessun uomo per fare i lavori pesanti. Nell’inverno tra il 1944 e il 1945 io e un’altra ragazzina dovemmo segare, con una sega da taglialegna, alberi il cui diametro raggiungeva i 60 centimetri. Ai bambini non era permesso parlarsi né stare da soli, neanche per andare al gabinetto. Facevamo il bagno due volte l’anno, e ci lavavamo i capelli una volta l’anno. Le punizioni consistevano nel rimanere senza mangiare o nell’essere picchiati.
Fui incaricata di pulire la camera della signorina Messinger. Lei esigeva che andassi ogni giorno sotto il letto per pulire le molle. Io possedevo una piccola Bibbia che avevo portato di nascosto nell’istituto, e riuscii a incastrarla fra le molle. In seguito, ogni giorno riuscii a leggere qualche brano della Bibbia. Non a caso dicevano che ero la bambina più lenta che avessero mai avuto!
La domenica le bambine protestanti andavano alla loro chiesa, e le tre bambine cattoliche alla loro, mentre io dovevo cucinare per tutti e 37 i bambini. Ero così piccola che per rimestare la minestra dovevo stare in piedi su una panca e tenere il mestolo con due mani. Per le quattro maestre dovevo cucinare la carne, preparare torte e pulire la verdura. La domenica pomeriggio dovevamo ricamare tovaglioli. Non c’era tempo per giocare.
Diversi mesi dopo, con evidente piacere, la signorina Messinger mi diede la notizia che la mia cara mamma era stata arrestata e si trovava in un campo di concentramento.
Nel 1945 la guerra cessò. I campi di concentramento si aprirono, riversando in tutto il paese coloro che erano sopravvissuti alle torture, per cui migliaia di persone cominciarono a girare in cerca di eventuali familiari superstiti.
Riunioni commoventi
Perlomeno mia madre sapeva dov’ero! Quando venne a prendermi, però, non la riconobbi. Non era strano, dopo tutto quello che aveva passato! Quando fu arrestata, mamma fu mandata nello stesso campo in cui già si trovava papà, Schirmeck, solo nella sezione femminile. Essendosi rifiutata di rammendare le uniformi dei soldati fu tenuta in isolamento per mesi in un bunker sotterraneo. Poi fu messa insieme a delle donne che avevano la sifilide perché si ammalasse. Mentre la trasferivano a Ravensbrück contrasse una grave forma di tosse che la debilitò parecchio. Fu allora che i tedeschi si diedero alla fuga, e le prigioniere dirette a Ravensbrück, tra cui mia madre, si ritrovarono improvvisamente libere. Mia madre si diresse verso Costanza, dov’ero io, ma in un bombardamento aereo aveva riportato delle ferite al volto e sanguinava.
Fui condotta davanti a lei, ma era così cambiata! Era emaciata per la fame, si vedeva che era malata, era ferita al volto e perdeva sangue, e la sua voce si udiva a stento. Mi avevano insegnato a inchinarmi davanti ai visitatori e a mostrare loro tutto il mio lavoro di ricamo e cucito perché alcune signore venivano nell’istituto in cerca di domestiche. E fu così che trattai la mia povera mamma! Solo quando mi condusse da un giudice per ottenere il permesso legale di portarmi a casa capii che quella era mia madre! D’un tratto diedi sfogo a tutte le lacrime che avevo trattenuto per 22 mesi.
Le parole di commiato della direttrice, la signorina Lederle, furono come un balsamo per mamma: “Le restituisco sua figlia nella stessa condizione mentale in cui è venuta”. La mia integrità non era stata intaccata. Trovammo il nostro appartamento e cominciammo ad abitarvi. L’unica cosa che ancora ci rattristava era la mancanza di papà, che risultava morto negli elenchi della Croce Rossa.
A metà maggio del 1945 bussarono alla porta. Ancora una volta corsi ad aprire. Era un’amica, Maria Koehl, che mi disse: “Simone, non sono sola. Di sotto c’è tuo padre”. Papà non riusciva quasi a fare le scale, e aveva perso l’udito. Mi passò davanti e andò dritto verso la mamma! In quei lunghi mesi l’estroversa bambina undicenne che lui conosceva era cresciuta fino a diventare una timida adolescente, che lui non aveva nemmeno riconosciuto.
Le cose che aveva patito avevano lasciato il segno. Era stato dapprima a Schirmeck, un campo di concentramento speciale, e poi a Dachau, dove si era ammalato di tifo ed era rimasto senza conoscenza per 14 giorni. In seguito era stato usato per esperimenti medici. Da Dachau fu mandato a Mauthausen, un campo di sterminio peggiore di Dachau, dove fu messo ai lavori forzati, picchiato e aggredito da cani poliziotto. Ma era sopravvissuto, e finalmente era di nuovo a casa.
Quando compii 17 anni intrapresi il servizio a tempo pieno in qualità di ministro dei testimoni di Geova, e poi andai a Galaad, la scuola missionaria della Watch Tower Society che ha sede negli Stati Uniti. Nella sede mondiale della Società incontrai Max Liebster, un ebreo tedesco che era diventato Testimone in un campo di concentramento. Ci sposammo nel 1956, e con l’aiuto di Geova nostro Dio da allora svolgiamo il servizio a tempo pieno qui in Francia in qualità di ministri pionieri speciali.
Come si sono dimostrate vere le parole di quella preghiera che mamma pronunciò a mio favore tanti anni fa, la sera prima di lasciarmi nel riformatorio: “Ti supplico, o Geova, aiuta la mia bambina a rimanere fedele!”
Fino ad oggi, Geova ha fatto proprio questo! — Narrato da Simone Arnold Liebster.
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Il libro autobiografico Facing the Lion -
Memoirs of a Young Girl in Nazi Europe.
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Da Facing the Lion è stata tratta una impressionante opera cinematografica, metà documentario metà fiction, The Schoolgirl The Nazis and The Purple Triangles, per la regia di Jonny Lewis, vincitore nel 2013 del premio Best Documentary Ffresch Film Festival e con un contributo, fra gli altri, della prof.ssa Christine King della Staffordshire University. Ne proponiamo di seguito il trailer.
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[Modificato da EverLastingLife 11/02/2019 11:22] |