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Confutazione servizi denigratori sui tdG delle Iene (2016)

Ultimo Aggiornamento: 12/03/2016 21:35
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10/03/2016 18:30
 
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I) Le Iene e le "storie tese"

Il piatto forte del servizio-trash delle Iene ci aspetta alla fine: Pelazza intervista, come al solito anonimamente, una donna che accusa il proprio padre di vari crimini. Gli eventi narrati - ovviamente non riscontrabili - sono abbastanza scioccanti; l'abuso sessuale in questo caso non sarebbe stato consumato, ma il medesimo personaggio, all'epoca dei fatti un anziano di congregazione, nel racconto anonimo sfogava le proprie frustrazioni malmenando i propri figli (anche a bastonate) e in altri modi. Inoltre si riferisce che, mentre il tentativo di violenza sessuale sulla figlia (verificatosi, abbastanza stranamente, una sola volta) non era andato in porto, l'uomo aveva però molestato altri membri della famiglia.

Dispiace dirlo, ma la vicenda presenta diversi punti non chiari o contraddittori; per cui, se non è inventata, è quanto meno lacunosa e soprattutto - questa è una certezza - non riesce a dimostrare le tesi precostruite del Pelazza, ovvero che fra i testimoni di Geova esisterebbe un sistema di silenziamento omertoso della pedofilia.


Andiamo con ordine. In questa storia sono presentate due accuse (fra l'altro poco coerenti). Della prima parliamo subito, della seconda diremo poi.

1) Nessuna raccomandazione da parte degli anziani di denunciare il pedofilo. L'appunto è differente da quello cui abbiamo già risposto (in due parti: primo link e secondo link), per il quale gli anziani dovrebbero addirittura provvedere personalmente alla denuncia di abusi subiti e perpetrati da terzi. Qui siamo in presenza di una critica un po' più 'soft': se non lo fanno direttamente, che almeno incoraggiassero le vittime a farlo.

Pelazza dice infatti: "Gli anziani sono venuti a conoscenza negli anni di diversi abusi, molestie, però nessuno ha mai detto alla famiglia: ‘vai a denunciare’". A questa pretesa insensata abbiamo dedicato addirittura un intero 3D (link), del quale riprendo alcuni punti. Come è chiaro, prendersi la briga di sporgere denuncia ai danni di qualcuno equivale ad assumersi una grave responsabilità, incluso il rischio (in caso di accuse infondate o non dimostrabili) di beccarsi una controquerela per diffamazione.

Ma anche se così non fosse, le denunce penali non sono 'passeggiate di salute', costano tempo, denaro e risorse emotive. Agli hobbisti della polemica sfugge evidentemente il fatto che portare un minore in tribunale può significare sottoporlo ad un elevato stress psicologico, incluso quello che deriva dal rivivere, e dal descrivere ad altri, i propri traumi. Si noti questo contributo (Laila Fantoni, Il minore sessualmente abusato: vicende processuali e trattamento terapeutico, Università di Firenze, 2003; il grassetto è mio):


"Il primo e più significativo rapporto tra minore e struttura giudiziaria è quello dell'interrogatorio e dell'audizione del minore, in cui il bambino viene ascoltato in qualità di testimone in un procedimento penale e, nei casi in cui il giudice ritenga opportuno, in un procedimento civile o amministrativo.

Le disposizioni giuridiche previste dal nostro paese, che regolano l'audizione del minore in ambito penale, sono rappresentate dalle norme del Codice di Procedura Penale. Con l'introduzione del Codice del 1988, il problema dell'audizione del minore è diventato ancora più significativo: infatti, rispetto al sistema precedente, l'adozione del modello accusatorio prevede la formazione della prova nella fase dibattimentale, cosicchè le indagini precedentemente esperite e le testimonianze ottenute dagli organi di polizia giudiziaria o dal pubblico ministero devono essere necessariamente riproposte nel corso del dibattimento. Infatti, quando in dibattimento, nel corso di un esame, un testimone rende dichiarazioni diverse da quelle rese in momenti precedenti, la parte che lo interroga può contestargli la difformità.

Questo sistema, se da un lato consente, in linea generale, una duplice verifica delle dichiarazioni testimoniali, dall'altro, nei processi in cui vittima sia un minore, comporta che quest'ultimo venga sottoposto a più esperienze traumatiche per diversi motivi, in quanto è chiamato ad esporre e a rivivere per più volte la propria dolorosa esperienza".




A questo argomento ne va accompagnato un altro, e cioè: l'illusione secondo la quale adire le vie legali equivalga necessariamente a ottenere giustizia.

La realtà dei fatti dice, purtroppo, tutt'altro. Secondo Nadia Somma (Il Fatto Quotidiano), "nel luogo che dovrebbe restituire dignità alle vittime di violenza spesso si consuma il tradimento della fiducia nella giustizia". "Ancora oggi, il trauma del bambino e il suo essere testimone della violenza viene messo continuamente in discussione e Gloria Soavi, presidente del Cismai, ha detto che, a volte, viene considerata un’attenuante la presenza della bambina in rete con profili che sono giudicati seduttivi dagli inquirenti e dai giudici". "L’approccio alla testimonianza della parte lesa continua ad essere la ripetizione di un racconto dettagliatissimo fin nei minimi particolari delle violenze subite, esponendo le vittime ad una sorta di prova ordalica (può accadere anche a bambine o bambini) e a ciò si aggiunge l’esperienza terribile di sentire stravolgere nel processo la narrazione di ciò che in prima persona si è vissuto." (N.Somma, Abusi sessuali, in tribunale le vittime non trovano né giustizia né solidarietà, articolo del 18/02/2016; il grassetto è mio).


Per queste o altre ragioni, la famiglia della vittima potrebbe essere riluttante a prendere la via dei tribunali. In tutti i casi, forzare o anche solo persuadere qualcuno a rivolgersi alle autorità costituisce in generale un evidente azzardo.


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2) Gli anziani non denunciano gli abusatori (uff!...) Siamo costretti a ritornare sulla verbosa questione, perché Pelazza, servendosi della sua anonima, ce la rifila per la cinquantesima volta. Senza peraltro curarsi del fatto che questa istanza convive a fatica con la precedente (prima ci si lamentava perché gli anziani non incoraggiavano la vittima a rivolgersi all'autorità, ora del fatto che non vi si rivolgano essi stessi).

Dopo il tragico resoconto, Pelazza e l'anonima si organizzano per tendere un tranello (o almeno, questa era l'idea) a due anziani di congregazione, che a dire del Pelazza vengono ripresi a loro insaputa col solito sistema della telecamera nascosta, espediente tanto palesemente sleale quanto comune nel 'giornalismo' sensazionalistico. Due alternative: possiamo supporre che il tutto sia frutto della solita ricostruzione fasulla secondo un noto vizietto delle Iene (ecco il link ad un famoso 'tarocco', opera proprio del Pelazza), o che si tratti di una vera presa diretta.

Poniamoci in questo secondo caso. Ci si accorge che l'anonima tenta di infervorare la discussione alzando il tono e ricorrendo a espressioni forti, al limite della teatralità. I due anziani rispondono pacatamente, e le loro risposte, malgrado lo stupore artefatto del quale Pelazza è solito condire i propri 'reportage', sono del tutto logiche e condivisibili. Ecco la trascrizione del dialogo (si tratta purtroppo di un collage, perché quello che vediamo nel servizio è l'usuale sarabanda di tagli e stacchi di camera): rosso donna anonima (D), verde anziani (A) o presunti tali.



D: Qua dentro c’è stata una confessione da parte di mio padre, dettagliata ammissione…


A: All’epoca in cui è stato disassociato? Quindi quella cosa è stata trattata!

L’unico provvedimento che poteva essere preso è stato preso



D: Ma non vi sentite in dovere, in obbligo di denunciare?


A: Però perché la vittima non denuncia e dobbiamo denunciare noi?


D: (imbestialita) Chiedere e scaricare tutta la responsabilità su una minorenne che non ha denunciato!

Però quelle persone che erano qua e che hanno sentito tutto lo schifo che gli è uscito dalla bocca a mio padre? Questo senso di disperazione, non ci viene a nessuno qua dentro?



A: Il discorso è che noi impediamo alla persona di stare in compagnia diretta con bambini o con famiglie che hanno bambini perché è una nostra responsabilità




I due anziani dicono la sacrosanta verità: l'unico provvedimento attuabile, quello della disassociazione, che preclude ai malintenzionati ogni possibilità di azione, è stato preso e d'altra parte non si può pretendere che fossero loro ad andare alla polizia, se la vittima stessa - ovvero la sua famiglia - non aveva preso l'iniziativa di farlo.

Il motivo per cui abbiamo dovuto riprendere il dialogo, però, è che in questo passaggio qui Pelazza sembra aver tirato fuori il 'coniglio dal cilindro':


D: Ma non vi sentite in dovere, in obbligo di denunciare?

A: Però perché la vittima non denuncia e dobbiamo denunciare noi?

D: Chiedere e scaricare tutta la responsabilità su una minorenne che non ha denunciato!




[IMG]http://i64.tinypic.com/69m150.png[/IMG]


Poiché l'abusatore era proprio suo padre, non ci si poteva aspettare ovviamente che fosse quest'ultimo a presentare denuncia, e del resto lo si poteva pretendere dalla vittima minorenne? Pelazza rincara la dose verso la fine, quando dice: "e comunque a denunciare caso mai ci deve pensare una bambina di 13 anni abusata dal padre".


Ebbene: tutto ciò è falso ed è anzi un deliberato tentativo di ingannare i telespettatori.

Pochi minuti prima, infatti, l'anonima si era tradita, lasciandosi sfuggire che aveva, oltre al padre snaturato, anche una madre, che costei era a conoscenza dei fatti e che aveva anche pensato di separarsi dal marito (e per giunta era testimone di Geova pure lei): notate il fotogramma seguente.

[IMG]http://i64.tinypic.com/2mmlmu.png[/IMG]


Non c'è quindi alcun motivo per immaginare che degli estranei (come i due anziani) prendessero iniziative legali, sia pure in un caso limite: avrebbe dovuto farlo, eventualmente, la madre.

C'è di più! Pelazza sostiene che molto prima di questo incontro con gli anziani 'era partita un'indagine' e che 'la ragazza era stata accolta in una casa-famiglia'. Questo lascia credere, quanto meno, ad un intervento degli assistenti sociali o di analoghi operatori del settore, e quindi di nuovo: perché, se una denuncia era opportuna / necessaria, non ci avevano pensato questi ultimi? E se invece una denuncia c'è stata ma non ha avuto conseguenze (Pelazza parla infatti di 'indagini', e dice: 'al padre non succede niente'), cosa dobbiamo pensare? Che qualcuno ha effettivamente provato a denunciare, ma ciò si è rivelato inutile? Che qualunque cosa sia accaduta, non aveva rilevanza penale?

Il racconto, quindi, fa acqua da tutte le parti. Di nuovo è forte il sospetto che Pelazza & i suoi abbiano, se non proprio creato a tavolino fatti immaginari, raccontato solo una parte di fatti reali, adattando qualcosa che può essere eventualmente avvenuto alle loro tesi preconfenzionate e insindacabili.


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3) La 'Iena' tira le somme (e sbaglia). In coda agli anziani ripresi (come sembra) di nascosto, che dicono giustamente che, disassociando, 'impediscono alla persona di stare in compagnia diretta con bambini', sentiamo fare due goffe affermazioni:

a) "l’unica responsabilità che sentono questi anziani è avvisare queste famiglie che hanno bambini che quell’uomo può essere pericoloso";

b) "parliamo solo delle famiglie che fanno parte di quella congregazione. Tutte le altre non sapranno mai il pericolo che corrono a frequentare quell’uomo".


Pelazza è in preda al delirio.

a) nell'intervista oscurata della donna si dice chiaramente che il padre viene disassociato. Non v'è alcun bisogno che gli anziani 'avvisino le famiglie che l'uomo è pericoloso', col rischio magari di dimenticarne qualcuna: la disassociazione avviene attraverso un annuncio pubblico alla congregazione di appartenenza del molestatore (e, in qualche caso, anche in altre), che costituisce il segnale per i suoi ormai ex-fratelli di smettere di frequentarlo. E' vero (ed è inevitabile, per ovvie ragioni) che non venga annunciata la causa del provvedimento espulsivo, ma non si può pensare che, in una tale situazione, essa non sia ampiamente nota a tutta la congregazione.

b) non esiste alcuna possibilità che 'solo le famiglie di quella congregazione lo vengano a sapere'. Se è disassociato, la disassociazione vale per tutte le congregazioni e non solo per la sua. Se il disassociato pedofilo si trasferisce, la sua malsana reputazione lo segue a ruota, a meno che, s'intende, si abbia a che fare con un corpo di anziani a digiuno delle direttive ufficiali:


Quando un individuo conosciuto come molestatore di bambini si trasferisce in un’altra congregazione, il comitato di servizio della congregazione di origine dovrebbe inviare una lettera di presentazione descrivendo in maniera esauriente i suoi precedenti e la sua situazione attuale. Eventuali lettere della filiale riguardanti il molestatore non dovrebbero essere fotocopiate né inviate alla nuova congregazione. Tuttavia la nuova congregazione dovrebbe essere chiaramente informata di eventuali restrizioni imposte dalla filiale. Si dovrebbe inviare alla filiale una copia della lettera di presentazione. - Pascete il gregge, 12:20; il grassetto è mio.



Gli anziani della vecchia congregazione scriveranno dunque una lettera a quelli della nuova informandoli della situazione; si noti che ciò vale anche se l'individuo noto come molestatore non è disassociato. Le direttive impongono agli anziani (circolare 01/10/2012, § 16) di scrivere una lettera alla congregazione di trasferimento persino se il pedofilo è detenuto e viene spostato da un carcere a un secondo carcere che si trova nel territorio della nuova congregazione, malgrado in queste condizioni sia evidentemente impossibilitato a far danni.



"Le Iene" pasticciano senza ritegno, commettendo tre gravi errori ogni due parole, violentando la verità e fuorviando la comprensione degli osservatori ignari; non una virgola del servizio di Pelazza è salvabile, tutto annega in un mare di approssimazione, disagio e ambiguità, rendendo il risultato finale un guazzabuglio imbarazzante.
[Modificato da EverLastingLife 15/12/2016 15:08]
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