Il Pontefice: non era in programma, però era importante andare.
Il Pontefice: non era in programma, però era importante andare. Poi non ho più smesso: è faticoso ma per quei sorrisi ne vale la pena
andrea tornielli
città del vaticano
Esce nelle librerie martedì 10 gennaio il libro «In viaggio» (Piemme edizioni, pagg. 348, 18 euro), il racconto dei viaggi internazionali di Papa Francesco scritto da Andrea Tornielli, giornalista della Stampa e coordinatore del sito web Vatican Insider. La prima sorprendente trasferta a Lampedusa, poi il Brasile, la Terra Santa, l’Asia, l’America Latina, Cuba e gli Stati Uniti, la Porta Santa aperta anticipatamente in Africa, Asia, ma anche la sorpresa dell’isola di Lesbo con la visita al campo profughi e i viaggi-lampo a Tirana, Sarajevo, Lund… Territori affascinanti e città emblematiche, luoghi complessi e popolazioni eterogenee, che hanno visto il Pontefice denunciare con decisione il narcotraffico, la vendita di armi, la corruzione, addirittura lo schiavismo in certi settori dell’economia, e definire tragedia umanitaria la questione delle migrazioni dal Sud al Nord del mondo. Un Papa pellegrino di pace, ma anche un profeta scomodo, che invita le Chiese locali a essere vicine ai settori più emarginati della società.
Il libro è un diario di viaggio, con retroscena, episodi inediti e il racconto in presa diretta degli incontri di Bergoglio avvenuti attorno al mondo dal 2013 ad oggi. E si apre con un capitolo che contiene un lungo colloquio con Francesco sui suoi viaggi. Pubblichiamo un ampio stralcio dell’intervista.
Santità, lei ama viaggiare?
«Sinceramente no. Non mi è mai piaciuto molto viaggiare. Quando ero vescovo nell’altra diocesi, a Buenos Aires, venivo a Roma soltanto se necessario e se potevo non venire, non venivo. Mi è sempre pesato stare lontano dalla mia diocesi, che per noi vescovi è la nostra “sposa”. E poi io sono piuttosto abitudinario, per me fare vacanza è avere qualche tempo in più per pregare e per leggere, ma per riposarmi non ho mai avuto bisogno di cambiare aria o di cambiare ambiente».
Si aspettava, all’inizio del pontificato, che avrebbe viaggiato così tanto?
«No, no, davvero! Come ho detto, non mi piace molto viaggiare. E mai avrei immaginato di fare così tanti viaggi...».
Come ha cominciato? Che cosa le ha fatto cambiare idea?
«Il primissimo viaggio è stato quello a Lampedusa. Un viaggio italiano. Non era programmato, non c’erano inviti ufficiali. Ho sentito che dovevo andare, mi avevano toccato e commosso le notizie sui migranti morti in mare, inabissati. Bambini, donne, giovani uomini... Una tragedia straziante. Ho visto le immagini del salvataggio dei superstiti, ho ricevuto testimonianze sulla generosità e l’accoglienza degli abitanti di Lampedusa. Per questo, grazie ai miei collaboratori, è stata organizzata una visita lampo. Era importante andare là. Poi c’è stato il viaggio a Rio de Janeiro, per la Giornata Mondiale della Gioventù. Si trattava di un appuntamento già in agenda, già stabilito. Sempre il Papa è andato alle GMG (...). Il viaggio non è mai stato in discussione, bisognava andare, e per me è stato il primo ritorno nel continente latinoamericano».