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nuovo articolo: I TESTIMONI DI GEOVA E GLI ABUSI SUI MINORI

Ultimo Aggiornamento: 15/02/2020 17:21
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24/06/2018 23:19
 
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La pervicacia con la quale fuoriusciti e altri detrattori insistono su questo punto, quando serissime motivazioni sembrano avvertire del contrario, può apparire bizzarra, ed è invece del tutto naturale. I detrattori dei testimoni di Geova, come dicevamo in premessa, non sono mossi da una reale intenzione di vedere rivendicati i diritti delle vittime né tantomeno di contenere il fenomeno degli abusi, che costituisce anzi un prezioso input alla cultura dell’odio, ma di fare più ‘rumore’ possibile. Un caso di abusi che nasce e muore nel silenzio delle mura domestiche perde tutto il proprio potenziale di discredito verso i testimoni di Geova, mentre uno che viene denunciato ha almeno qualche possibilità di riscontrare una certa eco sui media e dunque di condizionare negativamente l’opinione pubblica. È abbastanza auto-esplicativa di questa mentalità ‘forcaiola’ l’insistenza a sdoganare per ‘immorale’ l’omissione di una denuncia anche quando non obbligatoria - o addirittura quando tale omissione è tutelata - per legge, ma, guarda caso, solo se ha per oggetto gli abusi sessuali. Non ritroviamo la stessa veemenza quando si parla di reati quali l’uso di marmitte non omologate o la violazione del copyright, fatti che, se pur possono suscitare meno abominio degli abusi sessuali, hanno parimenti un impatto sociale non indifferente.

Corre comunque l’obbligo di evidenziare che le denunce penali non sono 'passeggiate di salute', costano tempo, denaro e soprattutto risorse emotive. Agli hobbisti della polemica sfugge evidentemente il fatto che portare un minore in tribunale può significare sottoporlo ad un elevato stress psicologico, incluso quello che deriva dal rivivere, e dal descrivere ad altri, i propri traumi. Si noti questo contributo di una specialista:


"Il primo e più significativo rapporto tra minore e struttura giudiziaria è quello dell'interrogatorio e dell'audizione del minore, in cui il bambino viene ascoltato in qualità di testimone in un procedimento penale e, nei casi in cui il giudice ritenga opportuno, in un procedimento civile o amministrativo.

Le disposizioni giuridiche previste dal nostro paese, che regolano l'audizione del minore in ambito penale, sono rappresentate dalle norme del Codice di Procedura Penale. Con l'introduzione del Codice del 1988, il problema dell'audizione del minore è diventato ancora più significativo: infatti, rispetto al sistema precedente, l'adozione del modello accusatorio prevede la formazione della prova nella fase dibattimentale, cosicché le indagini precedentemente esperite e le testimonianze ottenute dagli organi di polizia giudiziaria o dal pubblico ministero devono essere necessariamente riproposte nel corso del dibattimento. Infatti, quando in dibattimento, nel corso di un esame, un testimone rende dichiarazioni diverse da quelle rese in momenti precedenti, la parte che lo interroga può contestargli la difformità.

Questo sistema, se da un lato consente, in linea generale, una duplice verifica delle dichiarazioni testimoniali, dall'altro, nei processi in cui vittima sia un minore, comporta che quest'ultimo venga sottoposto a più esperienze traumatiche per diversi motivi, in quanto è chiamato ad esporre e a rivivere per più volte la propria dolorosa esperienza". [43]




L’argomento si accompagna con un altro, e cioè: l'illusione secondo la quale adire le vie legali equivalga necessariamente a ottenere giustizia. La realtà dei fatti dice purtroppo il contrario. Secondo Nadia Somma, "nel luogo che dovrebbe restituire dignità alle vittime di violenza spesso si consuma il tradimento della fiducia nella giustizia". "Ancora oggi, il trauma del bambino e il suo essere testimone della violenza viene messo continuamente in discussione e Gloria Soavi, presidente del Cismai, ha detto che, a volte, viene considerata un’attenuante la presenza della bambina in rete con profili che sono giudicati seduttivi dagli inquirenti e dai giudici". "L’approccio alla testimonianza della parte lesa continua ad essere la ripetizione di un racconto dettagliatissimo fin nei minimi particolari delle violenze subite, esponendo le vittime ad una sorta di prova ordalica (può accadere anche a bambine o bambini) e a ciò si aggiunge l’esperienza terribile di sentire stravolgere nel processo la narrazione di ciò che in prima persona si è vissuto." [44] E, nel corso dei lavori della Royal Commission australiana (2015-2017), si riconobbe che “la risposta della giustizia criminale agli abusi sessuali sui minori comporta un procedimento lungo e difficile di segnalazione, investigazione, accusa, ricerca delle prove e prescrizione. La sentenza è uno degli stadi finali di tale processo; comunque il numero di persone giudicate e condannate per abusi sessuali su minori rappresenta una quantità piccolissima di quanti commettono tali delitti. Il tasso dei rilasci è molto alto e di conseguenza pochissimi colpevoli sono chiamati a rispondere, e solo una piccola parte delle vittime può ottenere giustizia dal processo” [45] .


La famiglia della vittima potrebbe inoltre ritenere che l’intervento delle autorità nella propria vicenda personale recherebbe una pubblicità indesiderata alla medesima, e dunque preferire che il fatto non venga reso pubblico. Le vittime degli abusi, per triste paradosso, possono essere ‘ghettizzate’ nella loro presunta condizione di persone ‘segnate a vita’ da eventi sgradevoli e ciò può comprometterne il normale inserimento nella comunità, nell’ampia gamma delle possibilità che la vita offre all’individuo sociale, dall’inserimento nel mondo del lavoro alla prospettiva di farsi una famiglia e avere dei figli. Non è strano che dei genitori mettano in campo ogni sforzo per dimenticare l’accaduto come parte del percorso di superamento del medesimo e che ciò passi talvolta anche per l’opzione della rinuncia alle vie legali.

Esistono insomma molte valide ragioni per le quali la famiglia della vittima potrebbe essere riluttante a prendere la via dei tribunali. In tutti i casi, agire d’iniziativa, o forzare o anche solo persuadere le vittime a rivolgersi alle autorità costituisce per gli anziani, come si è visto, un evidente azzardo e un attentato al sacrosanto diritto personale di decidere da sé il da farsi.



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NOTE IN CALCE

[43] Laila Fantoni, Il minore sessualmente abusato: vicende processuali e trattamento terapeutico, Università di Firenze, 2003.

[44] Nadia Somma, Abusi sessuali, in tribunale le vittime non trovano né giustizia né solidarietà, Il Fatto Quotidiano, articolo del 18/02/2016.

[45] Citazione originale: “A criminal justice response to CSA entails a long and difficult process of reporting, detection, prosecution, trial and disposition. Sentencing is one of the final stages of this process, however the number of people convicted and sentenced of CSA represents a very small proportion of those who commit such offences. Attrition rates are very high and accordingly very few offenders are held to account, and only a small number of victims can be vindicated through this process.” - Royal Commission into Institutional Responses to Child Sexual Abuse - Submissions on behalf of Watchtower Bible and Tract Society of Australia & Others, 9/11/2015, § 9.207 nt.
[Modificato da EverLastingLife 24/06/2018 23:39]
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