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Libro anti testimoni di Geova di 1000 pagine

Ultimo Aggiornamento: 27/02/2019 11:17
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24/01/2019 11:44
 
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Il 'lavoro straordinario' inevitabilmente fa dei cenni anche al grande tema del momento, quello degli abusi sessuali sui minori. L'occasione era troppo ghiotta per farsela sfuggire. E' noto che, per dirla con il prof. Jorgensen, "i timori legati alla salvaguardia dei bambini all’interno dei culti hanno cominciato a giocare un ruolo più centrale nelle accuse dei movimenti antisette indirizzate alle attività delle nuove religioni”. “Sono soggetti per i quali il pubblico mostra un appetito vorace" (link).

Purtroppo però il livello di qualunquismo e di approssimazione con cui l'autore (che non vuole che la sua opera sia espressamente citata) tratta l'argomento è semplicemente imbarazzante.

Per sommi capi:

- anche costui stigmatizza il fatto che la Società non obblighi gli anziani, o altri, a denunciare gli abusi laddove non esplicitamente imposto dalle autorità. Abbiamo palesato innumerevoli volte la grottesca superficialità di questo genere di giudizi. Un estratto dall'articolo di tdgonline sugli abusi (link):


Chi sostiene questo principio dovrebbe chiedersi perché l’obbligo di denuncia non è sempre previsto nei moderni ordinamenti civili, anche in alcuni fra i paesi più evoluti dal punto di vista dei diritti sociali. La verità è che proprio la delicatezza estrema della questione rende poco credibile l’idea di una norma morale valida in assoluto (‘un presunto abuso va denunciato sempre e comunque’), e più confacente a certa retorica da rotocalco che alla realtà. [39] O forse dovremmo dire: più confacente ad uno stato di dittatura che alla democrazia. Si può affermare infatti che, laddove esistesse in effetti un obbligo di denuncia, ci si dovrebbe adattare senz’altro? Ciò sarebbe necessariamente “etico” o “umano”? Poniamo il caso di quei paesi islamici in cui l’omosessualità viene sanzionata con la pena di morte: se degli anziani testimoni di Geova dovessero venire a sapere di un conservo che ha una relazione omosessuale, che anche la Bibbia condanna, dovrebbero sentirsi dunque in obbligo di segnalarlo alle autorità del paese?

Tornando alla questione abusi, anzitutto ripetiamo, e non si ripeterà mai abbastanza, che il fatto che gli anziani non presentino denuncia non significa necessariamente che questa non avrà luogo e il colpevole non subirà conseguenze, dato che la vittima e la sua famiglia hanno piena libertà di portarlo in tribunale. Se si pone il problema che gli abusi siano eventualmente denunciati dagli anziani, può essere solo perché la famiglia della vittima non ha voluto farlo. E se non l’ha fatto, è indispensabile interrogarsi sul perché di tale omissione.

È verosimile che solo chi ne abbia avuto esperienza diretta comprenderebbe la tempesta di emozioni che può scatenarsi nella psicologia di un essere umano in un caso come questo: emozioni difficilmente conciliabili con l’assurda idea di un gruppo religioso concepito come una specie di confidente della polizia. Consideriamo ad esempio il caso in cui le molestie siano state perpetrate una o due volte dal fratello maggiore di una ragazzina. Si può pretendere che la madre vada difilato dalle forze dell’ordine a denunciare il proprio figlio molestatore? Se essa rifiuta di prendere in considerazione tale alternativa, sarebbe d’accordo che lo facessero gli anziani o chiunque altro?

O immaginiamo che si senta parlare di un abuso ma ne manchino le prove: pretendereste che qualcuno, un anziano ad esempio, vada a denunciarlo? Supponete che l’autorità convochi la vittima e i suoi genitori e che questi ultimi neghino i gli abusi (in precedenza narrati nel corso di conversazioni occasionali) o affermino di non essere sicuri di cosa sia realmente accaduto. Quali pensate potrebbero essere le conseguenze per l’anziano che si è recato precipitosamente a denunciare i fatti, se non quella di subire a sua volta una reazione legale per diffamazione da parte dell’accusato, a causa di molestie che non è stato possibile dimostrare? [40] E che dire del minore e della sua famiglia, costretti a parlare alle forze dell’ordine di episodi spiacevoli e che avrebbero preferito rimanessero riservati? [41] E tutto ciò a causa di una iniziativa legale non concordata con i diretti interessati. Come si vede, l’idea per cui esisterebbe sempre e comunque l‘obbligo morale’ di denunciare gli abusi è quanto meno grossolana. Ed è una certezza ampiamente riconosciuta anche in ambito secolare. Ad esempio, secondo il NSW Health, un dipartimento australiano del Ministero della Salute (stato del Nuovo Galles), “Alle vittime si dovrebbe concedere il diritto di determinare se rivolgersi alle autorità oppure no, e la loro volontà dovrebbe essere rispettata” [42].

Non esiste dunque una indicazione unitaria data agli anziani di denunciare gli abusi, se non laddove imposto dalla vigente legislazione.




Si parla dunque di ‘informare’ di tale possibilità e non di ‘consigliarla’. Ma nemmeno tale chiara indicazione, per quanto discrepante con l’idea che fra i Testimoni vi sarebbe un problema di silenziamento omertoso dei casi di abusi, basta a soddisfare i bastian contrario della parte avversa, per i quali gli anziani dovrebbero appunto incoraggiare la denuncia e magari trascinare i genitori della vittima per il bavero della camicia alla più vicina caserma dei carabinieri per dare seguito all’azione giudiziaria: come se l’interesse primario di costoro fosse non il benessere della vittima, ma rifarsi legalmente sull’abusatore.

La pervicacia con la quale fuoriusciti e altri detrattori insistono su questo punto, quando serissime motivazioni sembrano avvertire del contrario, può apparire bizzarra, ed è invece del tutto naturale. I detrattori dei testimoni di Geova, come dicevamo in premessa, non sono mossi da una reale intenzione di vedere rivendicati i diritti delle vittime né tantomeno di contenere il fenomeno degli abusi, che costituisce anzi un prezioso input alla cultura dell’odio, ma di fare più ‘rumore’ possibile. Un caso di abusi che nasce e muore nel silenzio delle mura domestiche perde tutto il proprio potenziale di discredito verso i testimoni di Geova, mentre uno che viene denunciato ha almeno qualche possibilità di riscontrare una certa eco sui media e dunque di condizionare negativamente l’opinione pubblica. È abbastanza auto-esplicativa di questa mentalità ‘forcaiola’ l’insistenza a sdoganare per ‘immorale’ l’omissione di una denuncia anche quando non obbligatoria – o addirittura quando tale omissione è tutelata – per legge, ma, guarda caso, solo se ha per oggetto gli abusi sessuali. Non ritroviamo la stessa veemenza quando si parla di reati quali l’uso di marmitte non omologate o la violazione del copyright, fatti che, se pur possono suscitare meno abominio degli abusi sessuali, hanno parimenti un impatto sociale non indifferente.

Corre comunque l’obbligo di evidenziare che le denunce penali non sono ‘passeggiate di salute’, costano tempo, denaro e soprattutto risorse emotive. Agli hobbisti della polemica sfugge evidentemente il fatto che portare un minore in tribunale può significare sottoporlo ad un elevato stress psicologico, incluso quello che deriva dal rivivere, e dal descrivere ad altri, i propri traumi. Si noti questo contributo di una specialista:

“Il primo e più significativo rapporto tra minore e struttura giudiziaria è quello dell’interrogatorio e dell’audizione del minore, in cui il bambino viene ascoltato in qualità di testimone in un procedimento penale e, nei casi in cui il giudice ritenga opportuno, in un procedimento civile o amministrativo.

Le disposizioni giuridiche previste dal nostro paese, che regolano l’audizione del minore in ambito penale, sono rappresentate dalle norme del Codice di Procedura Penale. Con l’introduzione del Codice del 1988, il problema dell’audizione del minore è diventato ancora più significativo: infatti, rispetto al sistema precedente, l’adozione del modello accusatorio prevede la formazione della prova nella fase dibattimentale, cosicché le indagini precedentemente esperite e le testimonianze ottenute dagli organi di polizia giudiziaria o dal pubblico ministero devono essere necessariamente riproposte nel corso del dibattimento. Infatti, quando in dibattimento, nel corso di un esame, un testimone rende dichiarazioni diverse da quelle rese in momenti precedenti, la parte che lo interroga può contestargli la difformità.

Questo sistema, se da un lato consente, in linea generale, una duplice verifica delle dichiarazioni testimoniali, dall’altro, nei processi in cui vittima sia un minore, comporta che quest’ultimo venga sottoposto a più esperienze traumatiche per diversi motivi, in quanto è chiamato ad esporre e a rivivere per più volte la propria dolorosa esperienza“.
[43]

L’argomento si accompagna con un altro, e cioè: l’illusione secondo la quale adire le vie legali equivalga necessariamente a ottenere giustizia. La realtà dei fatti dice purtroppo il contrario. Secondo Nadia Somma, “nel luogo che dovrebbe restituire dignità alle vittime di violenza spesso si consuma il tradimento della fiducia nella giustizia”. “Ancora oggi, il trauma del bambino e il suo essere testimone della violenza viene messo continuamente in discussione e Gloria Soavi, presidente del Cismai, ha detto che, a volte, viene considerata un’attenuante la presenza della bambina in rete con profili che sono giudicati seduttivi dagli inquirenti e dai giudici”. “L’approccio alla testimonianza della parte lesa continua ad essere la ripetizione di un racconto dettagliatissimo fin nei minimi particolari delle violenze subite, esponendo le vittime ad una sorta di prova ordalica (può accadere anche a bambine o bambini) e a ciò si aggiunge l’esperienza terribile di sentire stravolgere nel processo la narrazione di ciò che in prima persona si è vissuto.” [44] E, nel corso dei lavori della Royal Commission australiana (2015-2017), si riconobbe che “la risposta della giustizia criminale agli abusi sessuali sui minori comporta un procedimento lungo e difficile di segnalazione, investigazione, accusa, ricerca delle prove e prescrizione. La sentenza è uno degli stadi finali di tale processo; comunque il numero di persone giudicate e condannate per abusi sessuali su minori rappresenta una quantità piccolissima di quanti commettono tali delitti. Il tasso dei rilasci è molto alto e di conseguenza pochissimi colpevoli sono chiamati a rispondere, e solo una piccola parte delle vittime può ottenere giustizia dal processo” [45].

La famiglia della vittima potrebbe inoltre ritenere che l’intervento delle autorità nella propria vicenda personale recherebbe una pubblicità indesiderata alla medesima, e dunque preferire che il fatto non venga reso pubblico. Le vittime degli abusi, per triste paradosso, possono essere ‘ghettizzate’ nella loro presunta condizione di persone ‘segnate a vita’ da eventi sgradevoli e ciò può comprometterne il normale inserimento nella comunità, nell’ampia gamma delle possibilità che la vita offre all’individuo sociale, dall’inserimento nel mondo del lavoro alla prospettiva di farsi una famiglia e avere dei figli. Non è strano che dei genitori mettano in campo ogni sforzo per dimenticare l’accaduto come parte del percorso di superamento del medesimo e che ciò passi talvolta anche per l’opzione della rinuncia alle vie legali.



- Costui ignora evidentemente che la denuncia, in molti ordinamenti giuridici compreso quello italiano, oltre a non essere sempre obbligatoria in alcuni casi è addirittura non possibile.


Questo approccio alla questione è l’unico possibile, in considerazione delle profonde differenze giuridiche esistenti da paese e paese. La definizione stessa di ‘abuso su minori’ non è universale, e può cambiare ad esempio in base all’età della vittima e del colpevole. L’ “età del consenso” per i rapporti sessuali è un parametro suscettibile di oscillazioni anche notevoli da un ordinamento all’altro [34]. Nel momento in cui scriviamo queste righe, in Italia l’età del consenso valida in tutti i casi è di 16 anni, ma una qualche forma di consenso può aversi anche a 13 in base alle circostanze (ad esempio, se un quindicenne ha rapporti con una tredicenne consenziente, non è punibile per legge). In paesi europei come Austria e Germania, l’età del consenso è di soli 14 anni.

A seconda dell’età dei soggetti coinvolti nel presunto abuso, la denuncia potrebbe dunque non solo non essere obbligatoria, ma addirittura non essere possibile. Ulteriori parametri che entrano in gioco nella materia, ovvero se vi siano l’obbligo e/o le basi per una denuncia penale, sono il ruolo professionale (es. operatore sanitario) di chi viene a sapere dell’abuso o il grado di parentela del molestatore, l’eventuale qualità di tutore di quest’ultimo e molti altri. E questo è uno dei motivi per cui si raccomanda agli anziani di contattare immediatamente i legali dell’Ufficio Centrale in casi di reati sessuali, che possono fornire la necessaria consulenza.



- naturalmente l'autore - come altri suoi pari - si coccola l'idea secondo cui i tdG sarebbero particolarmente afflitti da un problema di abusi sui minori, elevandola al rango di elemento caratterizzante di questo gruppo religioso, o giù di lì. L'idea è del tutto fasulla, non essendo corroborata dai dati disponibili, a meno che non si qualifichino per 'dati' gli articoli scandalistici e i forum di dissidenti anonimi.

Per sua sfortuna è proprio il caso australiano, che egli pure cita, a dimostrarlo alla grande. Nella nostra analisi (link) abbiamo provato analiticamente che i tdG hanno, fra i fedeli utilizzati in mansioni pastorali, un tasso di abusatori comparativamente quasi nullo rispetto ai sacerdoti cattolici:


Inutile dire che l’ammontare di 116 TdG australiani con incarichi di responsabilità che si suppongono implicati in abusi è di una pochezza ai limiti dell’inverosimile. Se restringiamo il campo di osservazione agli ultimi 10 anni dei complessivi 65, viene fuori addirittura che appena due anziani (sì, avete letto bene: due) avrebbero molestato dei minori. Come indicato da Rodney Spinks, portavoce della filiale australiana dei testimoni di Geova, in Australia, nello stesso periodo, hanno servito come anziani di congregazione 8.507 individui [96] . Abbiamo dunque un anziano accusato di abusi su oltre 4.000; in proporzione:

percentuale di anziani di congregazione coinvolti in molestie sessuali nel decennio 2005-2015:

0,024%


E cioè “una iota” insignificante. Per fare un confronto fra ruoli pastorali assimilabili si consideri che, come riferito dal periodico cattolico L’Avvenire, la Commissione Australiana ha rilevato che il 7% degli esponenti della Chiesa si sarebbe macchiato di tale reato, e per la precisione oltre il 2% (il 30% di 7) era costituito da sacerdoti [97] . Abbiamo dunque, in fatto di abusi perpetrati da ministri con analogo ruolo di responsabilità, una sproporzione colossale: il numero di sacerdoti accusati di atti di pedofilia è 100 volte superiore a quello degli anziani [98] . Risultati che ci piacerebbe definire ‘brillanti’ se non fosse per l’urticante tema cui fanno riferimento, ma che si devono sia allo scrupolo con il quale i corpi degli anziani e i sorveglianti viaggianti riguardano la questione quando si tratta di attribuire una nuova nomina, sia alla severità delle sanzioni.




In una squallida classifica della perversione fra ecclesiastici, i testimoni di Geova sarebbero certamente agli ultimissimi posti. La commissione trovò che in otto casi di associazioni religiose (tutte di derivazione cattolica) il tasso di molestatori fra i religiosi era superiore al 3%, in quattro dei quali superiore al 20%, e in uno (l’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, i famosi Fatebenefratelli) addirittura al 40% [99] .

[Modificato da EverLastingLife 24/01/2019 12:12]
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