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Storie ▼ Storielle * Vere e/o Significative

Ultimo Aggiornamento: 16/05/2013 23:32
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24/02/2009 19:05
 
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... storie riflessive sulla Bibbia o qualche versetto biblico ' riflessive e toccanti '

Grazie anticipatamente
24/02/2009 19:13
 
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Re: ... storie riflessive sulla Bibbia o qualche versetto biblico ' riflessive e toccanti '
partecipoalforum, 2/24/2009 7:05 PM:


Grazie anticipatamente



Condividi con noi, quello che ti tocca di piu' [SM=g8263]


24/02/2009 22:45
 
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Liberamente tratto da Giudici 16:28


Il capo chino. In eterni attimi, istanti che si dilatano verso l’infinito, avverto quella sensazione di umido. Nel fragore del più grande sforzo la mia anima si svuota in quel rivolo di amaro rimorso che mi abbandona cadendo inesorabile. Solca la mia gota portando con sé tutto il carico e la potenza dei miei ricordi. Il tempo si ferma dilatandosi in un istante infinito. La goccia indugia sullo zigomo come la rugiada di un alba invernale sulla riva dell’erba, infine si recide dalle sue compagne precipitando al polveroso suolo. Osservo la sua indefessa corsa, s’infrange sulla pietra di granito del lastrico principale e si divide in infinite parti. In quel momento le urla trionfanti della folla mutano in grida di terrore. Solo in quel momento divengo consapevole che quella lacrima non è caduta invano… l’ho solo immaginata, perché i miei occhi non possono più vederla, ma nella mia mente è cristallina e quell‘istante rimarrà per sempre…

“Invincibile e speciale, ragazzo, sono invincibile e speciale. Lo sono stato per tutta la vita, ancor prima che nascessi. Mia madre mi raccontò spesso di quel messaggero divino e io volevo sempre che mi raccontasse quella storia da bambino. Capii che era vero quando cresciuto divelsi con facilità la mascella di un giovane leone. Vidi nascere il dolce da qualcosa di forte e da colui che mangia qualcosa da mangiare, come fili di lino spezzai funi nuove, con una mascella d’asino mietei mille anime, divelsi dai cardini la porta della città di Gaza trasportandola per sessanta chilometri sul monte Ebron, ammucchiai gambe su cosce dei miei nemici per molto tempo, fino a quando una donna mi tradì.”

“Un solo errore, ragazzo, uno solo può costarti molto caro. Confidai il segreto della mia forza perché il mio cuore gridò più forte del mio senno. Ed ora sono quì davanti a questa folla assetata di vendetta, nel tempio del tuo dio, un falso dio, chiamato per dare spettacolo e rintuzzare d’orgoglio le anime dei filistei che si sono oggi qui riuniti in gran numero. Li senti biasimare i figli d’Israele? Li senti biasimare il mio Dio e osannare il loro?
Ascolta attentamente ragazzo, va via di quì, perché oggi questa giornata di gloria si muterà in una giornata di dolore e cordoglio per le tue genti. Mentre languivo in prigione, accecato e deriso come un cane tu sei stato l’unico a trattarmi con dignità e oggi io ti risparmio. Come vedi il segreto della mia forza è ricresciuto velocemente sul mio capo, ed ora concedimi questo ultimo favore, ragazzo, permettimi di toccare le colonne dove la casa è fermamente stabilita e fammi appoggiare ad esse. Ecco, sì, bravo ragazzo, ora va via e non voltarti mentre lasci questo luogo. Ricordati per sempre chi è il vero Dio e temilo sempre, sempre. Ora va, allontanati, fuggi, senza indugio.”

La folla insulta, bestemmia, come in preda al delirio, si agita, scalpita, acclama, le loro urla isteriche e vanagloriose riempiono le orecchie e il frastuono satura il tempio.
Per qualche attimo mi sembra d’intravederli nella loro cupidigia, nel loro orgoglio.
Poi chino il capo e dentro di me, nel silenzio della mia mente, invoco il mio Dio.

“Sovrano Signore Geova, ricordati di me, ti prego, e rafforzami, ti prego solo questa volta, o tu, il vero Dio, lascia che mi vendichi per uno dei miei occhi.”

Mi appoggio con tutto il mio spirito e la mia forza contro le due colonne di mezzo, sul lastricato principale. Faccio presa su di esse con una delle mie mani per parte. Oggi morirò, ma tutta questa folla mi seguirà nello Sheol. Mi curvo con potenza, inarco la schiena in uno sforzo senza precedenti. Avverto il marmo stridere e creparsi. Sento le fondamenta tremare e il suolo muoversi prima impercettibilmente poi sempre più intensamente.

Il capo chino. In eterni attimi, istanti che si dilatano verso l’infinito, avverto quella sensazione di umido. Nel fragore del più grande sforzo la mia anima si svuota in quel rivolo di amaro rimorso che mi abbandona cadendo inesorabile. Solca la mia gota portando con sé tutto il carico e la potenza dei miei ricordi. Il tempo si ferma dilatandosi in un istante infinito. La goccia indugia sullo zigomo come la rugiada di un alba invernale sulla riva dell’erba, infine si recide dalle sue compagne precipitando al polveroso suolo. Osservo la sua indefessa corsa, s’infrange sulla pietra di granito del lastrico principale e si divide in infinite parti. In quel momento le urla trionfanti della folla mutano in grida di terrore. Solo in quel momento divengo consapevole che quella lacrima non è caduta invano… l’ho solo immaginata, perché i miei occhi non possono più vederla, ma nella mia mente è cristallina e quell‘istante rimarrà per sempre…

25/02/2009 00:50
 
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Molto bello... davvero.

Shalom
--------------------------------------------------------------------
Sijmadicandhapajiee, gente per cui le arti stan nei musei - Paolo Conte

FORUM TESTIMONI DI GEOVA
24/05/2009 18:22
 
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MOTIVI PER CREDERE NELLE PROMESSE DELLA BIBBIA

Credete nelle promesse bibliche? Come prediceva la Bibbia,molti non ci avrebbero creduto: "Negli ultimi giorni verranno degli schernitori....che procederanno secondo i propri desideri e diranno:`Dov'è questa sua promessa presenza? Infatti,dal giorno che i nostri antenati si addormentarono nella morte,tutte le cose continuano esattamente come dal principio della creazione`".(2 Pietro 3:3,4) Ma questi schernitori si sbagliano di grosso.Cito almeno 4 motivi per cui possiamo credere in quello che dice la Bibbia.

(1)Dio è già intervenuto negli affari umani.Il diluvio dei giorni di Noè ne è un rimarchevole esempio.-2Pietro 3:5-7.

(2)La Parola di Dio prediceva accuratamente le attuali condizioni del mondo.

(3)Le cose non "continuano esattamente come dal principio della creazione". Oggi si assiste a un degrado sociale,morale e ambientale del pianeta che non ha precedenti.

(4)La "buona notizia del regno" viene predicata in tutta la terra,a indicare che presto "verrà la fine".-Matteo 24:14.

E' in serbo per l'umanità un futuro meraviglioso. [SM=g8147] Ci attendono tempi migliori,i migliori che possiamo immaginare.


NOI CI SAREMO? Molto dipende da ognuno di noi. [SM=g7413]
14/05/2013 16:09
 
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Re: Liberamente tratto da Giudici 16:28
Methatron, 24/02/2009 22:45:



Il capo chino. In eterni attimi, istanti che si dilatano verso l’infinito, avverto quella sensazione di umido. Nel fragore del più grande sforzo la mia anima si svuota in quel rivolo di amaro rimorso che mi abbandona cadendo inesorabile. Solca la mia gota portando con sé tutto il carico e la potenza dei miei ricordi. Il tempo si ferma dilatandosi in un istante infinito. La goccia indugia sullo zigomo come la rugiada di un alba invernale sulla riva dell’erba, infine si recide dalle sue compagne precipitando al polveroso suolo. Osservo la sua indefessa corsa, s’infrange sulla pietra di granito del lastrico principale e si divide in infinite parti. In quel momento le urla trionfanti della folla mutano in grida di terrore. Solo in quel momento divengo consapevole che quella lacrima non è caduta invano… l’ho solo immaginata, perché i miei occhi non possono più vederla, ma nella mia mente è cristallina e quell‘istante rimarrà per sempre…

“Invincibile e speciale, ragazzo, sono invincibile e speciale. Lo sono stato per tutta la vita, ancor prima che nascessi. Mia madre mi raccontò spesso di quel messaggero divino e io volevo sempre che mi raccontasse quella storia da bambino. Capii che era vero quando cresciuto divelsi con facilità la mascella di un giovane leone. Vidi nascere il dolce da qualcosa di forte e da colui che mangia qualcosa da mangiare, come fili di lino spezzai funi nuove, con una mascella d’asino mietei mille anime, divelsi dai cardini la porta della città di Gaza trasportandola per sessanta chilometri sul monte Ebron, ammucchiai gambe su cosce dei miei nemici per molto tempo, fino a quando una donna mi tradì.”

“Un solo errore, ragazzo, uno solo può costarti molto caro. Confidai il segreto della mia forza perché il mio cuore gridò più forte del mio senno. Ed ora sono quì davanti a questa folla assetata di vendetta, nel tempio del tuo dio, un falso dio, chiamato per dare spettacolo e rintuzzare d’orgoglio le anime dei filistei che si sono oggi qui riuniti in gran numero. Li senti biasimare i figli d’Israele? Li senti biasimare il mio Dio e osannare il loro?
Ascolta attentamente ragazzo, va via di quì, perché oggi questa giornata di gloria si muterà in una giornata di dolore e cordoglio per le tue genti. Mentre languivo in prigione, accecato e deriso come un cane tu sei stato l’unico a trattarmi con dignità e oggi io ti risparmio. Come vedi il segreto della mia forza è ricresciuto velocemente sul mio capo, ed ora concedimi questo ultimo favore, ragazzo, permettimi di toccare le colonne dove la casa è fermamente stabilita e fammi appoggiare ad esse. Ecco, sì, bravo ragazzo, ora va via e non voltarti mentre lasci questo luogo. Ricordati per sempre chi è il vero Dio e temilo sempre, sempre. Ora va, allontanati, fuggi, senza indugio.”

La folla insulta, bestemmia, come in preda al delirio, si agita, scalpita, acclama, le loro urla isteriche e vanagloriose riempiono le orecchie e il frastuono satura il tempio.
Per qualche attimo mi sembra d’intravederli nella loro cupidigia, nel loro orgoglio.
Poi chino il capo e dentro di me, nel silenzio della mia mente, invoco il mio Dio.

“Sovrano Signore Geova, ricordati di me, ti prego, e rafforzami, ti prego solo questa volta, o tu, il vero Dio, lascia che mi vendichi per uno dei miei occhi.”

Mi appoggio con tutto il mio spirito e la mia forza contro le due colonne di mezzo, sul lastricato principale. Faccio presa su di esse con una delle mie mani per parte. Oggi morirò, ma tutta questa folla mi seguirà nello Sheol. Mi curvo con potenza, inarco la schiena in uno sforzo senza precedenti. Avverto il marmo stridere e creparsi. Sento le fondamenta tremare e il suolo muoversi prima impercettibilmente poi sempre più intensamente.

Il capo chino. In eterni attimi, istanti che si dilatano verso l’infinito, avverto quella sensazione di umido. Nel fragore del più grande sforzo la mia anima si svuota in quel rivolo di amaro rimorso che mi abbandona cadendo inesorabile. Solca la mia gota portando con sé tutto il carico e la potenza dei miei ricordi. Il tempo si ferma dilatandosi in un istante infinito. La goccia indugia sullo zigomo come la rugiada di un alba invernale sulla riva dell’erba, infine si recide dalle sue compagne precipitando al polveroso suolo. Osservo la sua indefessa corsa, s’infrange sulla pietra di granito del lastrico principale e si divide in infinite parti. In quel momento le urla trionfanti della folla mutano in grida di terrore. Solo in quel momento divengo consapevole che quella lacrima non è caduta invano… l’ho solo immaginata, perché i miei occhi non possono più vederla, ma nella mia mente è cristallina e quell‘istante rimarrà per sempre…



[SM=g2037512] bellooo scritto tu?ne hai altri?

15/05/2013 08:53
 
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Re: Liberamente tratto da Giudici 16:28
Methatron, 24/02/2009 22:45:


Il capo chino....


Senza parole, complimenti.
[SM=g8925]


15/05/2013 11:57
 
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bellooo scritto tu?ne hai altri?



Si.
15/05/2013 13:53
 
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Re:
Methatron, 15/05/2013 11:57:


bellooo scritto tu?ne hai altri?



Si.




I miei più sinceri complimenti.
15/05/2013 14:04
 
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Liberamente tratto da 1 Cronache 11:12-14 e 2 Samuele 23:9-10


Ricordo ancora il sapore ferroso del sangue nella bocca, la gola secca, l’arsura del sole cocente, le urla dei miei fratelli in fuga, le bestemmie del nemico. Ricordo il mio fiato rotto, il lento incedere del pensiero, le mie gambe stanche. Il cuore pompava all’impazzata nel petto, lo sguardo attonito, la mente incredula.

Eravamo sconfitti, battemmo in ritirata, i cadaveri sul campo gridavano una vendetta che non avremmo potuto compiere. Le lame delle nostre spade chiedevano di placare il digiuno di sangue, ma solo quelle del nemico appagarono la loro mai satolla sete di morte.

Fu in quel momento che ebbi un sussulto, in quel campo di aureo orzo dove il mio signore un dì abbatté il gigante dei refaim, oggi come allora ammantato da infiniti riflessi aurei, il mio spirito si fermò. I miei compagni mi sollecitarono, ma le mie gambe rimasero immobili. Le urla continuavano a mischiarsi e a sovrapporsi convulse, i miei fratelli scappavano impauriti dalle orde del nemico. Il suo indefesso incedere calcava con sprezzante odio il nostro sacro suolo. Non potevo permetterlo.

I miei compagni mi abbandonarono. Fu un onore combattere al loro fianco, ma oggi non li avrei seguiti nella ritirata. Oggi il mio sangue non era ancora stato versato a sufficienza. Degluttii ancora una volta e il sapore ferroso riempì il mio palato. Le grida dei miei fratelli uccisi nel campo risuonavano nelle mie orecchie e non potei non prestare attenzione.

Calcai col palmo della mano le auree spighe. Sotto di esso avvertii un piacevole formicolio, non si piegarono alla pressione, offrirono resistenza. Avrei fatto lo stesso. Ad un tratto i suoni della battaglia si attutirono, il silenzio mi avviluppò, una pace scese a colmare e sublimare il mio animo inquieto, l’abbraccio della determinazione fugò l’incertezza della paura. Il respiro si fece regolare, il cuore attenuò il suo celere battito. Il sudore smise di imperlarmi la fronte.

Brandii l’elsa della mia spada, ne strinsi con decisione l’impugnatura, fini legamenti di cuoio intrecciati dalla mia accorata moglie, ne contemplai il taglio perfetto della sua lama e mi specchiai nel suo lucente acciaio terso. Alzai il mio scudo, ne osservai compiaciuto l’integrità non ancora compromessa. Mi cinsi la corazza aggiustandone l’inclinazione, mi calcai l’elmo alla testa e mi voltai, lentamente, verso il sole morente di quel infausto giorno. Nefaste le ombre fugavano lentamente la luce così come il nemico che avanzava verso di me. Il vento della sera spazzava i campi color dell’oro, disegnando informe linee che mutavano direzione repentinamente, un colore che non avrei mai più dimenticato saturava quell’ambiente, il colore della mia morte. Decisi di stagliarmi contro l’esercito nemico a discapito della mia anima, non potevo sopportare le loro bestemmie, non tolleravo che quel campo di terra promessa cedesse al loro incedere. Non potevo permettere che la loro nequizia inquinasse la mia terra, che la loro albagia riducesse al silenzio la mia speme. Non potevo tornare alla mia casa e guardare ancora negli occhi, fiero e orgoglioso, la mia accorata moglie né volgere lo sguardo al mio signore.

L’avanguardia si fece avanti, un drappello di uomini in avanscoperta per braccare le ultime file del nemico in fuga e finire chi sul campo, gravemente ferito, giaceva abbandonato a se stesso. S’imbatté infine nella mia anima inquieta. Lentamente mi accerchiarono e la loro favella vomitò bestemmie contro il mio Dio e vituperò la mia famiglia. Mi irrisero con le parole più disgustanti prima di apprestarsi ad uccidermi. Si scagliarono contro di me, due di loro con due superficiali affondi. Il tempo non fu calcolato con esattezza, il loro esporsi gli fu fatale. La loro spada colpì l’aria, mentre la mia affondò nelle loro carni. Un urlo strozzato fece vacillare i loro compagni, mentre si spegnevano al suolo. Ripresi posizione, ora sarebbero stati più attenti e i loro colpi più avveduti.

La paura del nemico si fece palpabile, quel sentore fece vibrare le corde delle mie emozioni, i muscoli erano tesi, le scariche di adrenalina mi preparavano all’azione, raccolsi le ultime energie per concentrarmi esclusivamente sul mio obiettivo, quando improvvisamente tutto svanì intorno a me, ogni rumore si attenuò, ogni figura si dissolse, ogni emozione sì dissipò e l’unica visione chiara fu quella del mio avversario. Un violento affondo smosse l’aria, con greve intensità si diresse all’altezza del mio zigomo sinistro, ma con la leggerezza d’una farfalla piegai con eleganza la gamba destra, il busto, in perfetta sincronia, effettuò una torsione e mentre il mio sguardo rimase fisso sugli occhi increduli del mio avversario, egli pericolosamente si sbilanciò alla mia sinistra, sinuoso mi spostai dietro di lui e con leonino coraggio esposi il capo al raggio d’azione della sua tagliente daga, che non tardò a cercare il mio volto. Ma ancora una volta, con la velocità di un cerbiatto, mi sottrassi al letale colpo di taglio, ritirai il volto, il celere passo felpato mi permise un rapidissimo gioco di gambe, essenziale per evitare un affondo e un fendente e un montante, che, in sinistra successione, cercarono invano d’infrangersi sulla mia fugace figura. Poi colgo l’attimo, percepisco il momento e con perfetto e freddo tempismo esplodo in una vorticosa serie di sgualembri, tondi, stoccate, insieme eleganti e tremendi, sinuosi e precisi, leggeri e letali per la perfezione e l’efficacia della loro esecuzione, uno dopo l’altro s’infrangono sul bersaglio che ineluttabilmente si piega, impotente, al cospetto di cotanta terribile grazia. L’occhio vitreo dell’ultimo uomo sbatte ancora aperto ai piedi delle alte spighe. Il rosso vermiglio dipinge a macchie l’oro dell’orzo. Sono ancora vivo. Ringrazio il mio Dio per la momentanea vittoria e per aver vendicato parte dei miei fratelli.

Ma ora la prima fila dell’esercito filisteo si appropinqua a distruggermi. Il clangore dei loro passi copre quello del vento che incessante soffia al rosso tramonto portando l’eco di funeste gesta.
La prima divisione si ferma dinanzi a me. Incita alla resa con melliflue promesse di celere morte. La mia anima non proferisce parola. Si concentra allo scontro, raccoglie ciò che rimane delle mie energie. Con atto di sfida alzo la lama intrisa del vitale vermiglio liquido in direzione degli uomini d'arme che in cinque contemporaneamente rompono i ranghi della divisione e si scagliano furenti su di me.

All’attacco del primo uomo un’imbroccata ferma la sua lama recidendone l’aorta e spirandone ulteriori ambizioni, un tondo riverso spacca il fegato del secondo soldato mentre un dritto ridoppio amputa di netto il bicipite femorale del terzo recidendone i legamenti e spezzandone l’osso. Una stoccata lacera il ventre del quarto e simultaneamente una punta riversa, inflitta con la piccola daga brandita a sinistra, finisce la sua corsa conficcandosi nel rene del quinto. Con sordo tonfo cadono a terra esangui. Il soldato con l’aorta femorale recisa vomita il purpureo liquido vitale al suolo contorcendosi dal dolore. Urla soccorso, ma impietriti dalla paura che comincia a serpeggiare tra i ranghi nessuno si fa avanti.

Poi prendono coraggio. Sono solo e solo un uomo, un uomo solo contro un esercito. Iniziano a marciare sempre più veloce. Come un’onda compatta vogliono spazzarmi via. Prendo posizione per quella che penso sia la mia ultima battaglia, voglio portarne con me più che posso, voglio che il mio ricordo non si dissolva e che le mie gesta possano recare onore al mio Dio, al mio signore e ai miei fratelli. Coraggiosamente non indietreggio di un passo. A ripetizione le loro daghe, affamate della mia carne, cercano d’infrangersi in modo letale su di me. Ma ho ancora qualche energia da spendere. Schivo, colpisco, ritorno, scanso, paro di scudo, salto, impatto col ferro. Mieto morte a destra e a sinistra, ma sono in troppi, più ne abbatto più ne salgono assetati di vendetta. Le energie mi stanno lasciando, lo scudo è sempre più pesante, la spada sempre più lenta, le gambe iniziano a piegarsi, la concentrazione a svanire.

E’ la fine.

Mentre l’acciaio stride e lo scudo frena i colpi avversari prego il mio Dio, nel silenzio della mia mente.

“Geova, mio Dio, Dio di Abraamo, Isacco e Giacobbe, possa la Tua magnifica gloria risplendere sul tuo servitore e il Tuo fulgore accecare l’albagia dei tuoi nemici. Possa la mia anima aver rallegrato il Tuo cuore col suo coraggio quest’oggi e possa questa vita che si sta spegnendo aver fatto qualcosa di degno per il mio Dio. Possa Tu ricordarti di me o Geova, nascondimi nello Sceol fino al giorno della grande resurrezione, e ti prego, conserva amorevole benignità per la mia famiglia e possa il mio seme ereditare la terra che ci hai promesso. Ascolta solo questa volta il tuo umile servitore, o Geova, e concedimi una morte onorevole, fa che io non tremi e che muoia sul campo, con onore, come i miei fratelli, come il mio avo Aoi e mio padre Dodo prima di me. Possa Tu, o eccelso Geova, ricordarti nella Tua infinita misericordia e nella Tua immeritata benignità di tutti noi.”

E’ finita.

Le gambe cedono, lo scudo è divelto, la corazza lacerata, l’elmo è squarciato, il taglio della spada è compromesso. La stanca mano non è più in grado di brandirne l’elsa, lentamente cede al peso insopportabile, mi piego di lato, mi preparo a morire, ma qualcosa di straordinario in quel momento accade.

Una forza di cui non comprendo la natura s’impossessa della spada. La mano non ce la fa a sollevarla, ma non si riesce a staccare dall’elsa. Non so come, ma vorticosamente si susseguono fendenti, stoccate e affondi più letali di prima, più veloci di prima. Uno dopo l’altro gli uomini d’arme cadono come mosche di fianco e di fronte. Mi muovo rianimato da qualcosa che non so spiegare, mi fletto, mi torco, mi piego, scatto, schivo, rotolo, salto più veloce e più armoniosamente di prima in una danza di morte che semina terrore tra il nemico. Lo Spirito opera in me, non c’è altra spiegazione. Il sole è ormai tramontato, l’esercito nemico in fuga, i miei fratelli ritornano dalla retroguardia, dapprima esterrefatti, poi gioiosi, avverto le loro grida, mentre tutto intorno a me è rosso vermiglio, la morte non ha lesinato vittime.

Stordito non riesco a credere a ciò che è accaduto. Sono vivo. Ringrazio il mio Dio. Oggi Geova ha salvato con una grande salvezza a Pas-Dammim come col mio signore Davide al tempo del gigante dei refaim. Oggi Geova mi ha salvato e ha salvato il Suo popolo.

Il mio nome significa “Geova ha aiutato”, il mio nome e' Eleazaro.



15/05/2013 14:31
 
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Da brividi! mi sembrava di vedere in slow motion un film girato in full hd

[SM=g1871116]


15/05/2013 14:35
 
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Calcai col palmo della mano le auree spighe. Sotto di esso avvertii un piacevole formicolio, non si piegarono alla pressione, offrirono resistenza. Avrei fatto lo stesso.



Fratello, ma tu hai del talento! sto rileggendo il tuo racconto con un nodo in gola...


15/05/2013 14:54
 
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Methatron, 15/05/2013 14:04:

Liberamente tratto da 1 Cronache 11:12-14 e 2 Samuele 23:9-10


Ricordo ancora il sapore ferroso del sangue nella bocca....

Il mio nome significa “Geova ha aiutato”, il mio nome e' Eleazaro.







Semplicemente e sinceramente complimenti, molto bello. [SM=g8920]
16/05/2013 09:39
 
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Re:
Methatron, 15/05/2013 14:04:

Liberamente tratto da 1 Cronache 11:12-14 e 2 Samuele 23:9-10


Ricordo ancora il sapore ferroso del sangue nella bocca, la gola secca, l’arsura del sole cocente, le urla dei miei fratelli in fuga, le bestemmie del nemico. Ricordo il mio fiato rotto, il lento incedere del pensiero, le mie gambe stanche. Il cuore pompava all’impazzata nel petto, lo sguardo attonito, la mente incredula.

Eravamo sconfitti, battemmo in ritirata, i cadaveri sul campo gridavano una vendetta che non avremmo potuto compiere. Le lame delle nostre spade chiedevano di placare il digiuno di sangue, ma solo quelle del nemico appagarono la loro mai satolla sete di morte.

Fu in quel momento che ebbi un sussulto, in quel campo di aureo orzo dove il mio signore un dì abbatté il gigante dei refaim, oggi come allora ammantato da infiniti riflessi aurei, il mio spirito si fermò. I miei compagni mi sollecitarono, ma le mie gambe rimasero immobili. Le urla continuavano a mischiarsi e a sovrapporsi convulse, i miei fratelli scappavano impauriti dalle orde del nemico. Il suo indefesso incedere calcava con sprezzante odio il nostro sacro suolo. Non potevo permetterlo.

I miei compagni mi abbandonarono. Fu un onore combattere al loro fianco, ma oggi non li avrei seguiti nella ritirata. Oggi il mio sangue non era ancora stato versato a sufficienza. Degluttii ancora una volta e il sapore ferroso riempì il mio palato. Le grida dei miei fratelli uccisi nel campo risuonavano nelle mie orecchie e non potei non prestare attenzione.

Calcai col palmo della mano le auree spighe. Sotto di esso avvertii un piacevole formicolio, non si piegarono alla pressione, offrirono resistenza. Avrei fatto lo stesso. Ad un tratto i suoni della battaglia si attutirono, il silenzio mi avviluppò, una pace scese a colmare e sublimare il mio animo inquieto, l’abbraccio della determinazione fugò l’incertezza della paura. Il respiro si fece regolare, il cuore attenuò il suo celere battito. Il sudore smise di imperlarmi la fronte.

Brandii l’elsa della mia spada, ne strinsi con decisione l’impugnatura, fini legamenti di cuoio intrecciati dalla mia accorata moglie, ne contemplai il taglio perfetto della sua lama e mi specchiai nel suo lucente acciaio terso. Alzai il mio scudo, ne osservai compiaciuto l’integrità non ancora compromessa. Mi cinsi la corazza aggiustandone l’inclinazione, mi calcai l’elmo alla testa e mi voltai, lentamente, verso il sole morente di quel infausto giorno. Nefaste le ombre fugavano lentamente la luce così come il nemico che avanzava verso di me. Il vento della sera spazzava i campi color dell’oro, disegnando informe linee che mutavano direzione repentinamente, un colore che non avrei mai più dimenticato saturava quell’ambiente, il colore della mia morte. Decisi di stagliarmi contro l’esercito nemico a discapito della mia anima, non potevo sopportare le loro bestemmie, non tolleravo che quel campo di terra promessa cedesse al loro incedere. Non potevo permettere che la loro nequizia inquinasse la mia terra, che la loro albagia riducesse al silenzio la mia speme. Non potevo tornare alla mia casa e guardare ancora negli occhi, fiero e orgoglioso, la mia accorata moglie né volgere lo sguardo al mio signore.

L’avanguardia si fece avanti, un drappello di uomini in avanscoperta per braccare le ultime file del nemico in fuga e finire chi sul campo, gravemente ferito, giaceva abbandonato a se stesso. S’imbatté infine nella mia anima inquieta. Lentamente mi accerchiarono e la loro favella vomitò bestemmie contro il mio Dio e vituperò la mia famiglia. Mi irrisero con le parole più disgustanti prima di apprestarsi ad uccidermi. Si scagliarono contro di me, due di loro con due superficiali affondi. Il tempo non fu calcolato con esattezza, il loro esporsi gli fu fatale. La loro spada colpì l’aria, mentre la mia affondò nelle loro carni. Un urlo strozzato fece vacillare i loro compagni, mentre si spegnevano al suolo. Ripresi posizione, ora sarebbero stati più attenti e i loro colpi più avveduti.

La paura del nemico si fece palpabile, quel sentore fece vibrare le corde delle mie emozioni, i muscoli erano tesi, le scariche di adrenalina mi preparavano all’azione, raccolsi le ultime energie per concentrarmi esclusivamente sul mio obiettivo, quando improvvisamente tutto svanì intorno a me, ogni rumore si attenuò, ogni figura si dissolse, ogni emozione sì dissipò e l’unica visione chiara fu quella del mio avversario. Un violento affondo smosse l’aria, con greve intensità si diresse all’altezza del mio zigomo sinistro, ma con la leggerezza d’una farfalla piegai con eleganza la gamba destra, il busto, in perfetta sincronia, effettuò una torsione e mentre il mio sguardo rimase fisso sugli occhi increduli del mio avversario, egli pericolosamente si sbilanciò alla mia sinistra, sinuoso mi spostai dietro di lui e con leonino coraggio esposi il capo al raggio d’azione della sua tagliente daga, che non tardò a cercare il mio volto. Ma ancora una volta, con la velocità di un cerbiatto, mi sottrassi al letale colpo di taglio, ritirai il volto, il celere passo felpato mi permise un rapidissimo gioco di gambe, essenziale per evitare un affondo e un fendente e un montante, che, in sinistra successione, cercarono invano d’infrangersi sulla mia fugace figura. Poi colgo l’attimo, percepisco il momento e con perfetto e freddo tempismo esplodo in una vorticosa serie di sgualembri, tondi, stoccate, insieme eleganti e tremendi, sinuosi e precisi, leggeri e letali per la perfezione e l’efficacia della loro esecuzione, uno dopo l’altro s’infrangono sul bersaglio che ineluttabilmente si piega, impotente, al cospetto di cotanta terribile grazia. L’occhio vitreo dell’ultimo uomo sbatte ancora aperto ai piedi delle alte spighe. Il rosso vermiglio dipinge a macchie l’oro dell’orzo. Sono ancora vivo. Ringrazio il mio Dio per la momentanea vittoria e per aver vendicato parte dei miei fratelli.

Ma ora la prima fila dell’esercito filisteo si appropinqua a distruggermi. Il clangore dei loro passi copre quello del vento che incessante soffia al rosso tramonto portando l’eco di funeste gesta.
La prima divisione si ferma dinanzi a me. Incita alla resa con melliflue promesse di celere morte. La mia anima non proferisce parola. Si concentra allo scontro, raccoglie ciò che rimane delle mie energie. Con atto di sfida alzo la lama intrisa del vitale vermiglio liquido in direzione degli uomini d'arme che in cinque contemporaneamente rompono i ranghi della divisione e si scagliano furenti su di me.

All’attacco del primo uomo un’imbroccata ferma la sua lama recidendone l’aorta e spirandone ulteriori ambizioni, un tondo riverso spacca il fegato del secondo soldato mentre un dritto ridoppio amputa di netto il bicipite femorale del terzo recidendone i legamenti e spezzandone l’osso. Una stoccata lacera il ventre del quarto e simultaneamente una punta riversa, inflitta con la piccola daga brandita a sinistra, finisce la sua corsa conficcandosi nel rene del quinto. Con sordo tonfo cadono a terra esangui. Il soldato con l’aorta femorale recisa vomita il purpureo liquido vitale al suolo contorcendosi dal dolore. Urla soccorso, ma impietriti dalla paura che comincia a serpeggiare tra i ranghi nessuno si fa avanti.

Poi prendono coraggio. Sono solo e solo un uomo, un uomo solo contro un esercito. Iniziano a marciare sempre più veloce. Come un’onda compatta vogliono spazzarmi via. Prendo posizione per quella che penso sia la mia ultima battaglia, voglio portarne con me più che posso, voglio che il mio ricordo non si dissolva e che le mie gesta possano recare onore al mio Dio, al mio signore e ai miei fratelli. Coraggiosamente non indietreggio di un passo. A ripetizione le loro daghe, affamate della mia carne, cercano d’infrangersi in modo letale su di me. Ma ho ancora qualche energia da spendere. Schivo, colpisco, ritorno, scanso, paro di scudo, salto, impatto col ferro. Mieto morte a destra e a sinistra, ma sono in troppi, più ne abbatto più ne salgono assetati di vendetta. Le energie mi stanno lasciando, lo scudo è sempre più pesante, la spada sempre più lenta, le gambe iniziano a piegarsi, la concentrazione a svanire.

E’ la fine.

Mentre l’acciaio stride e lo scudo frena i colpi avversari prego il mio Dio, nel silenzio della mia mente.

“Geova, mio Dio, Dio di Abraamo, Isacco e Giacobbe, possa la Tua magnifica gloria risplendere sul tuo servitore e il Tuo fulgore accecare l’albagia dei tuoi nemici. Possa la mia anima aver rallegrato il Tuo cuore col suo coraggio quest’oggi e possa questa vita che si sta spegnendo aver fatto qualcosa di degno per il mio Dio. Possa Tu ricordarti di me o Geova, nascondimi nello Sceol fino al giorno della grande resurrezione, e ti prego, conserva amorevole benignità per la mia famiglia e possa il mio seme ereditare la terra che ci hai promesso. Ascolta solo questa volta il tuo umile servitore, o Geova, e concedimi una morte onorevole, fa che io non tremi e che muoia sul campo, con onore, come i miei fratelli, come il mio avo Aoi e mio padre Dodo prima di me. Possa Tu, o eccelso Geova, ricordarti nella Tua infinita misericordia e nella Tua immeritata benignità di tutti noi.”

E’ finita.

Le gambe cedono, lo scudo è divelto, la corazza lacerata, l’elmo è squarciato, il taglio della spada è compromesso. La stanca mano non è più in grado di brandirne l’elsa, lentamente cede al peso insopportabile, mi piego di lato, mi preparo a morire, ma qualcosa di straordinario in quel momento accade.

Una forza di cui non comprendo la natura s’impossessa della spada. La mano non ce la fa a sollevarla, ma non si riesce a staccare dall’elsa. Non so come, ma vorticosamente si susseguono fendenti, stoccate e affondi più letali di prima, più veloci di prima. Uno dopo l’altro gli uomini d’arme cadono come mosche di fianco e di fronte. Mi muovo rianimato da qualcosa che non so spiegare, mi fletto, mi torco, mi piego, scatto, schivo, rotolo, salto più veloce e più armoniosamente di prima in una danza di morte che semina terrore tra il nemico. Lo Spirito opera in me, non c’è altra spiegazione. Il sole è ormai tramontato, l’esercito nemico in fuga, i miei fratelli ritornano dalla retroguardia, dapprima esterrefatti, poi gioiosi, avverto le loro grida, mentre tutto intorno a me è rosso vermiglio, la morte non ha lesinato vittime.

Stordito non riesco a credere a ciò che è accaduto. Sono vivo. Ringrazio il mio Dio. Oggi Geova ha salvato con una grande salvezza a Pas-Dammim come col mio signore Davide al tempo del gigante dei refaim. Oggi Geova mi ha salvato e ha salvato il Suo popolo.

Il mio nome significa “Geova ha aiutato”, il mio nome e' Eleazaro.





bellissimo,ho i brividi davvero!!!
ancoraaaa!!:) [SM=g2037512] [SM=g1876480]

16/05/2013 12:16
 
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Ora tocca a voi... provate voi...
16/05/2013 12:50
 
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Ripropongo visto il tema,un mio scritto di 3 anni fà,tratta del significato originale della parola apostata che è :disertore.


freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9317727&p=1



Nulla è cambiato.

Quando si arruolarono nell’esercito romano sapevano che non avrebbe avuto vita facile,lunghe marcie su strade sterrate ,in ambianti malsani,in foreste inestricabili o in aridi deserti,al gelo o flagellati dai venti….

Cominciarono l’addestramento che durò diversi mesi,impararono a maneggiare una spada,a parare un colpo,a lanciare un giavellotto a difendersi con uno scudo.

Gli fu insegnato come affilare un’arma,come preservarla dalla caligine dalla ruggine…..impararano a ubbidire agli ordini degli ufficiali superiori sul campo di battaglia……..come formare una falange…..un cuneo……come difendersi e come attaccare………..

Appresero a come lucidare un elmo da parata una caligha…….a come rendere lucente una corazza segmentata.

Erano poche le volte in cui il rancio era buono,spesso era solo una brodaglia di farro e ceci solo se accasermati nel loro accampamento invernale vedevano la testa di qualche gallina.


Ora erano pronti per la guerra.

Per quella guerra che li avrebbe accompagnati per tutta la vita ai Campi Elisi o dopo 25 anni di servizio ad avere un congedo con cittadinanza e un pezzo di terra da coltivare……….

Il primo scontro della loro vita non lo dimenticarono mai…………il nemico lo vedevano chiaramente proprio li di fronte a loro……numeroso…aggressivo ,sicuro di sé.

Un nemico violento,sanguinario….truce ,un nemico da sconfiggere per non essere inghiottito dalla morte.

L’urlo di guerra interuppe un silenzio gelido e orde di barbari si avventarono sulla prima linea…….l’impatto fu violentissimo il cozzare di scudi il barrito di guerra di migliaia di uomini le urla di dolore dei primi feriti raggelavano il sangue per chi come loro erano in seconda linea insieme a soldati più anziani che li incoraggiavano che li sostenevano che li assicuravano che sarebbero stati al loro fianco …….che gli dicevano che la paura non esiste e che il dolore come il piacere nasce dallo stesso seme.

La colonna di cui fanno parte non si spezza sostiene l’urto immane di quell’attacco feroce…….si allunga si compatta e dopo un iniziale sbandamento tenuto l’ordine e la compattezza comincia il contrattacco……..giavellotti,freccie baliste seminano la morte nel campo avversario……quei barbari così numerosi e fieri vacillano davanti a quel muro così disciplinato.

Gli è stato ripetuto molte volte che il successo non dipende dal numero ma dall’organizazzione dal sapere fare ciò che è richiesto al momento giusto dal non aver timore perché il segreto è non abbandonare quella squadra serrata e arcigna che della volontà e della difesa fa il suo punto di forza.

La prima battaglia è stata vinta…….si contano i feriti…….si piangono i compagni morti ma alla fine davanti alle pire funebri si pensa che a bruciare forse domani potresti essere tu.

IL NEMICO ha saggiato la tua unità,ha sacrificato parecchi dei suoi per capire il punto debole ha visto che davanti a quel muro di scudi e di lancie così serrate c’è dietro la volontà di migliaia di uomini……..

Adesso non ti assalirà di fronte ma ti logorerà tagliandoti i rifornimenti,attaccando le tue salmerie…allontanandoti sempre più dai campi invernali ha capito scaltramente che solo separandoti dai tuoi può vincenti…..può batterti.


Qualche tuo compagno non c’è più….semplicemente lo si pensa disperso ……il suo corpo non è stato trovato e ti chiedi dove sia………si dove sia quel caro compagno d’armi con cui hai diviso la tenda…….il bottino……la vita e la morte.

Nella veglia notturna quando tutti dormono e tu sei di guardia vedi un’ombra……..non lo riconosci subito……alzi lo scudo sguaini la spada e chiedi che si identifichi………..è lui lo distingui nella notte pallida di una luna piena………non indossa più l’armatura non ha più la spada ne lo scudo………si avvicina e ti abbraccia.

Ti parla e ti racconta di come il nemico barbaro sia feroce di quanta distruzione e morte vedrai domani ……..insinua nel tuo cuore la certezza della morte che sacrificherà domani su quel campo di sangue la tua vita per una battaglia persa in partenza.

Ti dice di andare con lui di salvarsi la vita di darsi una possibilità di salvezza davanti a morte certa……gli ha spiegato che domani il terreno di battaglia costeggerà una fitta radura e di stare vicino al bosco dove poter scomparire in caso di rotta……..

Non dai molto peso alle sue parole anzi……gli dici di tornare per evitare l’accusa di diserzione per non incorrere nella punizione mortale…….hai imparato la guerra e le tattiche del nemico adesso non hai più molta paura e presto i rinforzi arriveranno.

Lui ti dice che ha visto il campo avversario la sua grandezza la sua immensità………5 di loro contro uno di voi è la proporzione………non c’è strategia che tenga..piano di battaglia efficace……..se non scappi domani morirai………il nemico è fortissimo ed ha molti alleati che confluiscono tra le sue file ingrossato come un fiume in piena.

Lo saluti dicendogli che domani sarà una battaglia come un’altra ,che hai già visto la morte in faccia 1000 volte e che anche domani la sua mano gelida ti sfiorerà ma non ti afferrerà saldamente…………scompare nella notte da dove era venuto.

L’aurora viene presto……il campo si stà svegliando…….gli ufficiali superiori impartiscono i primi ordini i reparti cominciano a prendere posizione……….anche tu segui il tuo manipolo e ti posizioni al centro dello schieramento.

Sai che la marea urlante e feroce si abbatterà su di tè con una violenza tale che i leoni dell’arena in confronto ti sembrano cuccioli impauriti ……….il tempo passa….le staffette portano ordini, tu dalla mattina presto piantato a terra aspettando il segnale che la battaglia cominci.

Il nemico appare dalla nebbia………come un demone della notte………bardato pesantemente, cavalli nitriscono un brusio di migliaia di voci ti riempie le orecchie………..davanti a tè……..l’intero esercito nemico che ti sembra immenso………dieci volte più numeroso dell’ultima volta…….meglio armato ……più fiero che mai……le loro grida di guerra ti gelano il sangue…..cominci a pensare che oggi su questo campo di battaglia la disciplina non servirà……che scudi e lance e spade non basteranno a contenere quella marea umana ebbra di sangue che presto si abbatterà su di tè……ti guardi intorno e vedi qualche altro soldato che comincia a dare segni di nervosismo……qualcuno prega…….qualcuno urla di rabbia quasi tutti però sono in silenzio.

Li vedi muoversi e avvicinarsi……..scendono dal pendio e sembra che la collina ne vomiti all’infinito……..il tuo orizzonte è pieno di questa folla immensa e baldanzosa che stasera banchetterà sulla tua testa staccata e issata su una picca.

Adesso non sei più sicuro di farcela…….cominci a pensare che forse il tuo vecchio compagno aveva ragione che era meglio una vita da schiavi forse che una vita da morto……meglio una catena che una fossa o esser mangiato dagli uccelli.

Le tue mani adesso sono fredde…….la spada è pesante………lo scudo non lo sopporti più……..la corazza è stretta e vorresti togliertela……..si accavallano 1000 pensieri a come restare vivo ma ora è tardi……..la tromba annuncia che l’orda scatenata punta dritta a rompere il fronte dove sei tù…..spazzata la prima linea e sconquassato lo schieramento sarà facile poi che la truppa si sbandi e che cominci la carneficina.

Arrivano……..sempre più vicini……il tuo ufficiale superiore vi incoraggia a serrare i ranghi a stare vicini a non permettere che vi dividano o vi separino dalla vostra unità se non volete trovarvi a lottare da soli per essere sicuramente uccisi………….

Il silenzio dei tuoi pensieri viene interrotto dal fragore degli scudi che cozzano con una violenza tale che solo i soldati dietro di tè impediscono che tu possa essere sbalzato lontano………..ti arrivano fendenti da tutte le parti……..dietro il tuo grande scudo ti difendi e con il tuo gladio affilato affondi qualche colpo nella speranza che la pressione sul tuo reparto allenti………..la battaglia si fa più dura….l’orda barbarica come una marea montante sembra non finire…….benchè i tuoi compagni lottano valorosamente dentro di te pensi che non vedrai la notte……..adesso cominci a pensare, in quel turbine di giavellotti e grida ,il modo per salvarti la vita……ti allontani dal tuo schieramento in un attimo con la scusa di cambiare posizione di combattimento, ti avvicini alla radura impenetrabile e fitta certo che ti salverai……..abbandoni le tue armi per essere più veloce……..butti il tuo scudo…la tua corazza la tua spada e adesso corri …..corri lontano da quel campo di battaglia e morte dove sei certo che ammazzeranno tutti ……corri con quanto fiato hai in gola vai veloce come una lepre pensando già che a quest’ora della sera i tuoi compagni saranno tutti morti.

Passi lunghe ore da solo nel buio della notte ……..non accendi il fuoco per paura che qualcuno ti veda………..torni al campo di battaglia per prendere una spada un’arma con cui tu possa difenderti…….i barbari oramai saranno lontani……..

Non trovi però sterminato il tuo esercito…….la battaglia non è stata vinta ma nemmeno persa……i fuochi del campo li riconosci nitidamente……….
Vorresti andare ora nel campo, sincerarti dei tuo compagni che stiano bene chiedere come hanno fatto a sopravvivere a quello sforzo immenso a quel nemico invincibile ma ti trattieni stai lontano......... hai paura che non ti accettino…..speri piuttosto che ti considerino morto piuttosto che quello che in realtà sei…….. ….un vigliacco……….dopo 2000 anni ti chiamano apostata
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
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Nella vita non ci sono problemi ma.....soluzioni.
16/05/2013 13:07
 
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Re:
Methatron, 16/05/2013 12:16:

Ora tocca a voi... provate voi...




nooo tu sei bravooo [SM=g7364]
16/05/2013 18:54
 
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Methatron, 15/05/2013 14:04:

Liberamente tratto da 1 Cronache 11:12-14 e 2 Samuele 23:9-10


Ricordo ancora il sapore ferroso del sangue nella bocca, la gola secca, l’arsura del sole cocente, le urla dei miei fratelli in fuga, le bestemmie del nemico. Ricordo il mio fiato rotto, il lento incedere del pensiero, le mie gambe stanche. Il cuore pompava all’impazzata nel petto, lo sguardo attonito, la mente incredula.

Eravamo sconfitti, battemmo in ritirata, i cadaveri sul campo gridavano una vendetta che non avremmo potuto compiere. Le lame delle nostre spade chiedevano di placare il digiuno di sangue, ma solo quelle del nemico appagarono la loro mai satolla sete di morte.

Fu in quel momento che ebbi un sussulto, in quel campo di aureo orzo dove il mio signore un dì abbatté il gigante dei refaim, oggi come allora ammantato da infiniti riflessi aurei, il mio spirito si fermò. I miei compagni mi sollecitarono, ma le mie gambe rimasero immobili. Le urla continuavano a mischiarsi e a sovrapporsi convulse, i miei fratelli scappavano impauriti dalle orde del nemico. Il suo indefesso incedere calcava con sprezzante odio il nostro sacro suolo. Non potevo permetterlo.

I miei compagni mi abbandonarono. Fu un onore combattere al loro fianco, ma oggi non li avrei seguiti nella ritirata. Oggi il mio sangue non era ancora stato versato a sufficienza. Degluttii ancora una volta e il sapore ferroso riempì il mio palato. Le grida dei miei fratelli uccisi nel campo risuonavano nelle mie orecchie e non potei non prestare attenzione.

Calcai col palmo della mano le auree spighe. Sotto di esso avvertii un piacevole formicolio, non si piegarono alla pressione, offrirono resistenza. Avrei fatto lo stesso. Ad un tratto i suoni della battaglia si attutirono, il silenzio mi avviluppò, una pace scese a colmare e sublimare il mio animo inquieto, l’abbraccio della determinazione fugò l’incertezza della paura. Il respiro si fece regolare, il cuore attenuò il suo celere battito. Il sudore smise di imperlarmi la fronte.

Brandii l’elsa della mia spada, ne strinsi con decisione l’impugnatura, fini legamenti di cuoio intrecciati dalla mia accorata moglie, ne contemplai il taglio perfetto della sua lama e mi specchiai nel suo lucente acciaio terso. Alzai il mio scudo, ne osservai compiaciuto l’integrità non ancora compromessa. Mi cinsi la corazza aggiustandone l’inclinazione, mi calcai l’elmo alla testa e mi voltai, lentamente, verso il sole morente di quel infausto giorno. Nefaste le ombre fugavano lentamente la luce così come il nemico che avanzava verso di me. Il vento della sera spazzava i campi color dell’oro, disegnando informe linee che mutavano direzione repentinamente, un colore che non avrei mai più dimenticato saturava quell’ambiente, il colore della mia morte. Decisi di stagliarmi contro l’esercito nemico a discapito della mia anima, non potevo sopportare le loro bestemmie, non tolleravo che quel campo di terra promessa cedesse al loro incedere. Non potevo permettere che la loro nequizia inquinasse la mia terra, che la loro albagia riducesse al silenzio la mia speme. Non potevo tornare alla mia casa e guardare ancora negli occhi, fiero e orgoglioso, la mia accorata moglie né volgere lo sguardo al mio signore.

L’avanguardia si fece avanti, un drappello di uomini in avanscoperta per braccare le ultime file del nemico in fuga e finire chi sul campo, gravemente ferito, giaceva abbandonato a se stesso. S’imbatté infine nella mia anima inquieta. Lentamente mi accerchiarono e la loro favella vomitò bestemmie contro il mio Dio e vituperò la mia famiglia. Mi irrisero con le parole più disgustanti prima di apprestarsi ad uccidermi. Si scagliarono contro di me, due di loro con due superficiali affondi. Il tempo non fu calcolato con esattezza, il loro esporsi gli fu fatale. La loro spada colpì l’aria, mentre la mia affondò nelle loro carni. Un urlo strozzato fece vacillare i loro compagni, mentre si spegnevano al suolo. Ripresi posizione, ora sarebbero stati più attenti e i loro colpi più avveduti.

La paura del nemico si fece palpabile, quel sentore fece vibrare le corde delle mie emozioni, i muscoli erano tesi, le scariche di adrenalina mi preparavano all’azione, raccolsi le ultime energie per concentrarmi esclusivamente sul mio obiettivo, quando improvvisamente tutto svanì intorno a me, ogni rumore si attenuò, ogni figura si dissolse, ogni emozione sì dissipò e l’unica visione chiara fu quella del mio avversario. Un violento affondo smosse l’aria, con greve intensità si diresse all’altezza del mio zigomo sinistro, ma con la leggerezza d’una farfalla piegai con eleganza la gamba destra, il busto, in perfetta sincronia, effettuò una torsione e mentre il mio sguardo rimase fisso sugli occhi increduli del mio avversario, egli pericolosamente si sbilanciò alla mia sinistra, sinuoso mi spostai dietro di lui e con leonino coraggio esposi il capo al raggio d’azione della sua tagliente daga, che non tardò a cercare il mio volto. Ma ancora una volta, con la velocità di un cerbiatto, mi sottrassi al letale colpo di taglio, ritirai il volto, il celere passo felpato mi permise un rapidissimo gioco di gambe, essenziale per evitare un affondo e un fendente e un montante, che, in sinistra successione, cercarono invano d’infrangersi sulla mia fugace figura. Poi colgo l’attimo, percepisco il momento e con perfetto e freddo tempismo esplodo in una vorticosa serie di sgualembri, tondi, stoccate, insieme eleganti e tremendi, sinuosi e precisi, leggeri e letali per la perfezione e l’efficacia della loro esecuzione, uno dopo l’altro s’infrangono sul bersaglio che ineluttabilmente si piega, impotente, al cospetto di cotanta terribile grazia. L’occhio vitreo dell’ultimo uomo sbatte ancora aperto ai piedi delle alte spighe. Il rosso vermiglio dipinge a macchie l’oro dell’orzo. Sono ancora vivo. Ringrazio il mio Dio per la momentanea vittoria e per aver vendicato parte dei miei fratelli.

Ma ora la prima fila dell’esercito filisteo si appropinqua a distruggermi. Il clangore dei loro passi copre quello del vento che incessante soffia al rosso tramonto portando l’eco di funeste gesta.
La prima divisione si ferma dinanzi a me. Incita alla resa con melliflue promesse di celere morte. La mia anima non proferisce parola. Si concentra allo scontro, raccoglie ciò che rimane delle mie energie. Con atto di sfida alzo la lama intrisa del vitale vermiglio liquido in direzione degli uomini d'arme che in cinque contemporaneamente rompono i ranghi della divisione e si scagliano furenti su di me.

All’attacco del primo uomo un’imbroccata ferma la sua lama recidendone l’aorta e spirandone ulteriori ambizioni, un tondo riverso spacca il fegato del secondo soldato mentre un dritto ridoppio amputa di netto il bicipite femorale del terzo recidendone i legamenti e spezzandone l’osso. Una stoccata lacera il ventre del quarto e simultaneamente una punta riversa, inflitta con la piccola daga brandita a sinistra, finisce la sua corsa conficcandosi nel rene del quinto. Con sordo tonfo cadono a terra esangui. Il soldato con l’aorta femorale recisa vomita il purpureo liquido vitale al suolo contorcendosi dal dolore. Urla soccorso, ma impietriti dalla paura che comincia a serpeggiare tra i ranghi nessuno si fa avanti.

Poi prendono coraggio. Sono solo e solo un uomo, un uomo solo contro un esercito. Iniziano a marciare sempre più veloce. Come un’onda compatta vogliono spazzarmi via. Prendo posizione per quella che penso sia la mia ultima battaglia, voglio portarne con me più che posso, voglio che il mio ricordo non si dissolva e che le mie gesta possano recare onore al mio Dio, al mio signore e ai miei fratelli. Coraggiosamente non indietreggio di un passo. A ripetizione le loro daghe, affamate della mia carne, cercano d’infrangersi in modo letale su di me. Ma ho ancora qualche energia da spendere. Schivo, colpisco, ritorno, scanso, paro di scudo, salto, impatto col ferro. Mieto morte a destra e a sinistra, ma sono in troppi, più ne abbatto più ne salgono assetati di vendetta. Le energie mi stanno lasciando, lo scudo è sempre più pesante, la spada sempre più lenta, le gambe iniziano a piegarsi, la concentrazione a svanire.

E’ la fine.

Mentre l’acciaio stride e lo scudo frena i colpi avversari prego il mio Dio, nel silenzio della mia mente.

“Geova, mio Dio, Dio di Abraamo, Isacco e Giacobbe, possa la Tua magnifica gloria risplendere sul tuo servitore e il Tuo fulgore accecare l’albagia dei tuoi nemici. Possa la mia anima aver rallegrato il Tuo cuore col suo coraggio quest’oggi e possa questa vita che si sta spegnendo aver fatto qualcosa di degno per il mio Dio. Possa Tu ricordarti di me o Geova, nascondimi nello Sceol fino al giorno della grande resurrezione, e ti prego, conserva amorevole benignità per la mia famiglia e possa il mio seme ereditare la terra che ci hai promesso. Ascolta solo questa volta il tuo umile servitore, o Geova, e concedimi una morte onorevole, fa che io non tremi e che muoia sul campo, con onore, come i miei fratelli, come il mio avo Aoi e mio padre Dodo prima di me. Possa Tu, o eccelso Geova, ricordarti nella Tua infinita misericordia e nella Tua immeritata benignità di tutti noi.”

E’ finita.

Le gambe cedono, lo scudo è divelto, la corazza lacerata, l’elmo è squarciato, il taglio della spada è compromesso. La stanca mano non è più in grado di brandirne l’elsa, lentamente cede al peso insopportabile, mi piego di lato, mi preparo a morire, ma qualcosa di straordinario in quel momento accade.

Una forza di cui non comprendo la natura s’impossessa della spada. La mano non ce la fa a sollevarla, ma non si riesce a staccare dall’elsa. Non so come, ma vorticosamente si susseguono fendenti, stoccate e affondi più letali di prima, più veloci di prima. Uno dopo l’altro gli uomini d’arme cadono come mosche di fianco e di fronte. Mi muovo rianimato da qualcosa che non so spiegare, mi fletto, mi torco, mi piego, scatto, schivo, rotolo, salto più veloce e più armoniosamente di prima in una danza di morte che semina terrore tra il nemico. Lo Spirito opera in me, non c’è altra spiegazione. Il sole è ormai tramontato, l’esercito nemico in fuga, i miei fratelli ritornano dalla retroguardia, dapprima esterrefatti, poi gioiosi, avverto le loro grida, mentre tutto intorno a me è rosso vermiglio, la morte non ha lesinato vittime.

Stordito non riesco a credere a ciò che è accaduto. Sono vivo. Ringrazio il mio Dio. Oggi Geova ha salvato con una grande salvezza a Pas-Dammim come col mio signore Davide al tempo del gigante dei refaim. Oggi Geova mi ha salvato e ha salvato il Suo popolo.

Il mio nome significa “Geova ha aiutato”, il mio nome e' Eleazaro.






[SM=g2037512]

sei affascinato dalla chirurgia? [SM=g28002] [SM=g28002] [SM=g28002]
[Modificato da Lungosonno 16/05/2013 18:56]
16/05/2013 23:32
 
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(Gladio), 16/05/2013 12:50:

Ripropongo visto il tema,un mio scritto di 3 anni fà,tratta del significato originale della parola apostata che è :disertore...





Complimenti anche a te fratello Gladio. Mi viene da sorridere se penso che per qualcuno i TG sono un'accozzaglia di poveri ignoranti con le menti spente.
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