PARS I
Per Felio
“Palo della corrente elettrica “
Caro Felio, non so cosa tu volessi intendere con le immagini che hai postato, dovrò risponderti basandomi sull'esegesi che mi ha dato Barnabino, e spero per te che non volessi intendere l'interpretazione che lui ha dato, perché se così fosse il tuo mezzo di ragionamento sarebbe altamente illogico. Ti vorrei chiedere se esiste una parola in italiano per descrivere la forma del palo della luce che hai postato: la risposta ovviamente è no, visto che è un oggetto estremamente irregolare. Barnabino ne ha dedotto che, esattamente come un palo elettrico è chiamato palo anche se non è un palo, così lo stauros è chiamato palo anche qualora non fosse un palo, e similmente la traduzione "palo di tortura" della TNM sarebbe in grado di rendere la possibilità che ci fosse una “croce” anche traducendo con "palo". Tutto questo ragionamento ovviamente non ha nessun senso. Il palo che hai postato come ho appena detto è senza forma, o almeno non ha una forma che sia descrivibile con una parola in italiano; ci troviamo dunque, per spiegare come mai sia chiamato palo, nella stessa situazione in cui ci trovavamo per spiegare come mai i greci abbiano chiamato stauros la croce: la spiegazione è esattamente la stessa, cioè che, esattamente come i greci non avevano una parola per dire la forma della croce, almeno in greco classico, così anche noi non abbiamo una parola per definire un oggetto così irregolare come quello che hai postato, motivo per cui continuiamo a chiamarlo palo. Questo non significa che il pali e le croci non siano diversi in italiano, significa semplicemente che non abbiamo una parola per designare la forma che hai postato e dunque la chiamiamo palo.
Vorrei poi ricordare a tutti la mia menzione al fatto che non bisogna tener conto soltanto della lingua di partenza ma anche della lingua di arrivo; il fatto cioè che un palo elettrico possa essere chiamato palo anche se non ha esattamente la forma di un palo, in quanto non abbiamo parole per definire la forma che viene ad assumere, non toglie invece il fatto che abbiamo una parola per definire la forma della croce.
Non bisogna poi confondere i contesti traduttivi. Una parola può avere un significato più largo in un determinato campo, e un significato più ristretto in un altro ambito. Se ad esempio stiamo parlando di libri, e ci riferiamo al campo dell'editoria, ancora oggi troviamo usata la parola "manoscritto". Questa parola si usa per indicare il testo che l'autore consegna al suo editore affinché lo pubblichi: immaginiamo una frase come "ho consegnato il manoscritto al mio editore 10 giorni fa". In questo campo, cioè in un'accezione moderna, manoscritto indica qualcosa di molto più ampio rispetto al significato che il termine assume se state facendo un esame universitario di paleografia o di codicologia. Infatti nella nostra lingua di tutti giorni quando usiamo la parola manoscritto, non ci interessa nulla del fatto che l'autore abbia consegnato dei fogli effettivamente scritti a mano all'editore, infatti chiamiamo manoscritto anche ciò che è dattiloscritto usando il computer o una macchina da scrivere.
Al contrario nelle scienze codicologiche con manoscritto si intende specificamente qualcosa scritto a mano contrapposto al libro a stampa. Vale a dire che una parola che in italiano ha in un contesto un campo semantico più ampio, mentre ha in un altro contesto un campo semantico più ristretto. Allo stesso modo se stiamo parlando di pali della luce allora la parola “palo” ha nella lingua italiana la possibilità di esprimere oggetti di varie forme, che tra l'altro non avremmo nessuna parola per esprimere, mentre non ha in campo penale il potere di esprimere qualunque forma, perché lì le parole esistono. Vale a dire che il fatto che sentendo la parola "palo della luce" un italiano si possa immaginare strumenti di qualunque forma, non implica che in un campo penale, dove si parla di supplizi capitali, se una persona dice la parola "palo" essa si possa immaginare qualcosa di diverso da un semplice palo.
Nel campo degli strumenti di pena infatti i pali sono una cosa, e le croci un'altra. Questo lo sa bene anche la Watch Tower che infatti può scrivere che Cristo è morto su un palo e non su una croce. Se così non fosse, cioè se palo non avesse un significato ben preciso in italiano, tutta questa discussione non avrebbe nessun senso, giacché davanti alla vostra affermazione "Cristo è morto su un palo", anche chi credesse che Cristo è morto su una croce potrebbe tranquillamente assentire. Siccome invece sappiamo che non è così, questo prova che in italiano davanti alla traduzione "palo di tortura" (in un contesto di supplizi capitali) un italiano è incapace di figurarsi una croce. In conclusione tutto il tuo ragionamento è privo di senso. Lo testimonia non solo la constatazione che stiamo discutendo ( e dunque palo e croce significano cose diverse), ma anche il fatto che la Watch Tower stessa usa la traduzione palo come fosse in contrapposizione a quella di croce, e non come fa Barnabino per sostenere che la traduzione palo include anche la croce.
Mentre i suoi capi usano l'accezione esclusivista di palo, lui invece per salvarli attribuisce alla parola palo un senso inclusivo il che essa non possiede. Quando poi questa strategia non convince più nessuno, e deve spiegare perché la Watch Tower oltre a tradurre con palo sostenga anche che Cristo è effettivamente morto su un palo, allora si mette a sostenere un'altra, tesi tramite una strategia diversa, e cioè che si deve tradurre stauros con palo perché sarebbe il significato basilare del termine e non c'è alcuna prova che ci fosse una traversa. Questa strategia è profondamente diversa dalla prima, perché non si limita ad attribuire alla parola stauros una funzione indipendente dalla forma, ma vuole invece sottolineare che il termine significherebbe palo in primis, e dunque si deve tradurre con palo fino a prova contraria. In questo caso però, come già fatto osservare, non ha nessuna rilevanza stabilire se in ogni stauros ci sia dentro un palo, perché questo nessuno lo contesta, bensì bisogna stabilire se la maggioranza degli stauroi fosse un palo. Infatti se anche il significato base di stauros fosse palo, in quanto i greci non avevano un termine per significare la croce, tuttavia se poi in concreto la maggioranza di questi stauroi era composta da croci, allora non ha nessun senso tradurre con palo, visto che noi una parola per dire croce ce l'abbiamo, e anzi se traduciamo con palo diamo sicuramente l'idea sbagliata che abbiamo a che fare con dei pali e non con delle croci. Questo è sicuramente quello che la traduzione palo trasmetterebbe, come la Watch Tower stessa testimonia, infatti nessuno leggendo la traduzione dei testimoni di Geova potrebbe intendere che Cristo forse è morto su una croce. Bisogna dunque smetterla di indagare il presunto campo semantico di stauros, e metterci invece di indagare in cosa questo campo semantico si concretizzasse, perché se anche fosse vero che in greco classico non esiste una parola per designare la forma d'una croce, se però la forma è in realtà l'unica cosa di cui stiamo discutendo, e per di più la traduzione “palo” viene usata dalla Watch Tower proprio per veicolare una forma, allora non si può impunemente tradurre con "palo" come se questa traduzione fosse del tutto innocente, specie se venisse usata per veicolare una forma che nella maggior parte dei casi non corrisponderebbe alla realtà storica.
Per Simon
“Signori miei, i romani il "mos" ce l'avevano davvero e nei testi a nostra disposizione viene anche menzionato.
Eccolo qui nelle parole di Svetonio che, a proposito dell'imperatore Claudio dice:
"cum spectare antiqui moris supplicium Tiburi concupisset et deligatis ad palum noxiis carnifex deesset, accitum ab urbe vesperam usque opperiri perseveravit" vale a dire
"Essendo presso Tiburi e desiderando vedere un esecuzione secondo l'abitudine antica, i colpevoli erano legati al palo, notando che il carnefice mancava, lo attese fino alla sera mentre veniva dalla città (Roma)". Il testo è molto chiaro e il "mos antiquus" in fatto di esecuzioni viene indiscutibilmente menzionato: i poveretti erano legati al palo e venivano presi a mazzate fino a provocarne la morte.
Ora di fronte a tale chiara evidenza e descrizione sarebbe interessante sapere dove troviamo negli scritti un eventuale "mos" alternativo o un'evoluzione di questo "mos antiquus".”
Carissimo Simon, purtroppo per te non hai capito nulla di quello che stai leggendo, ma questo succede spesso a chi si mette a giocare con delle citazioni senza avere come sfondo una conoscenze antichistiche in generale. Il testo che tu presenti non c'entra assolutamente nulla con la crocifissione. Come è noto a Roma c'erano diverse modalità di pena previste per diversi crimini, e qui nel forum stiamo tentando di ricostruire la modalità di quello che era il servile supplicium, cioè la crocifissione. La ricostruzione che hanno fatto gli storici è che siamo davanti al mos romanorum della crocifissione ogniqualvolta vediamo che c'è un trasporto di un patibulum, o di una forca, la differenza seppur esiste è poca, e questa barra trasversale viene portata su un luogo di esecuzione dove c'era un palo già conficcato che aspettava, perché gli venisse issato sopra il condannato attaccato al patibulum. Questo grosso Roma è esattamente quello che vediamo descritto nei Vangeli, nei quali leggiamo che Gesù portò qualcosa, e poi viene crocifisso.
Il tuo grande equivoco caro Simon è che hai capito che gli storici da me citati starebbero dicendo che i romani non avrebbero fatto altro che appendere a “croci” e non ha dei pali, quando nessuno ha detto questo. Nessuna antichista ha mai negato che i romani abbiano affisso a dei pali e abbiano continuato ad affiggere a dei pali, semplicemente però in quel caso
non abbiamo a che fare con il mos romanorum della crocifissione, infatti nei casi in cui è evidente che la persona è stata appesa ad un semplice palo, non è mai detto che il condannato abbia portato quel palo, o qualcos'altro. Vale a dire che nessuno storico si è mai sognato di negare che i romani abbiano continuato ad attaccare a dei pali, semplicemente si sta dicendo che se, come avvene nel caso di Gesù, il testo specifica che il condannato è stato obbligato a portare qualcosa sulle spalle fino al luogo dell'esecuzione, allora siamo dentro a un rituale specifico, cioè una pratica abitudinaria che era quella con cui veniva crocifissa la gente su creces latinae.
Se i romani non facevano la prima parte del rituale, e affiggevano direttamente al palo, nessuno gli impediva di farlo. Quello che si sta dicendo alla Watch Tower e che non è mai attestato che qualcuno abbia portato il palo verticale della croce, e poi a quello stesso palo sia stato crocifisso, per giunta con la perdita di tempo derivante dal doverlo piantare. Non esiste cioè in letteratura una sola fonte che possa attestare univocamente il trasporto di qualcosa, e poi l’essere appesi al semplice palo verticale.
Questo è anche un motivo per cui siamo abbastanza certi che quella di Gesù fosse una croce, infatti il trasporto del palo verticale, e la crocifissione a quello stesso palo è una cosa che non è mai, e ripeto mai attestata. Questo tuttavia, come ripeto, non ha nulla a che vedere con il fatto che la gente potesse essere attaccata a dei pali: tuttavia questo non è catalogato come mos della crocifissione, perché, a differenza del caso di Gesù, in quel caso non veniva fatto trasportare assolutamente nulla. Chiarito l’equivoco su che cosa si intende per mos? Non si vuole escludere la pena dell’appendere al palo, si vuole solo dire che, qualora ci sia il pre-trasporto di qualcosa da parte del cruficer, allora siamo dentro un rituale che finiva con una crocifissione su crux latina, e questo è precisamente lo stesso rituale che vediamo nei Vangeli. La messa al palo esiste, ma è altra cosa rispetto a quello che leggiamo nel NT.
Quanto al brano che hai postato, quello che credi di scorgervi è completamente sbagliato. Non so se sia colpa tua o se stai copiando dallo svedese, in entrambi i casi l'errore si può capire. Sfortunatamente il globo è pieno di biblisti e teologi che per loro sfortuna hanno fatto solo studi biblici senza fare degli studi classici. Abbiamo così il mondo pieno di neotestamentaristi che sanno il greco unicamente perché l'hanno studiato sul Nuovo Testamento, ma che non hanno mai letto in vita loro una riga di Platone o di Erodoto, e magari non sanno neppure chi siano, esattamente come alcuni preti nell'Italia dell'ottocento sapevano a menadito il latino perché dovevano leggere la Vulgata di Girolamo, ma non avevano alcuna cultura classica ed ignoravano chi fossero Quintilliano e Marziale. Il testo che tu hai postato non si riferisce in alcun modo alla crocifissione ma un altro tipo di pena, che veniva comminata per il crimine di perduellio (lex horrendi carminis). Questa pena punisce crimini parzialmente diversi da quelli della crocifissione, è destinata ad un “ pubblico" diverso (nel senso che venivano giustiziati tendenzialmente ceti sociali diversi), e soprattutto non ti sei neppure reso conto che nel brano che hai postato la pena non è neppure descritta. Il brano di Svetonio vuole raccontare quanto fosse sanguinario e di mente cruenta l'imperatore Claudio. Lo storiografo narra che un giorno, passando per Tivoli, l’imperatore incappò in alcuni criminali che erano stati condannati ad essere giustiziati secondo il supplicium antiqui moris. Che cosa era questo supplizio? Innanzitutto dobbiamo notare che esso è descritto come una pena non abituale, rara, addirittura estinta. Esso infatti viene descritto dalla locuzione latina come una “pena arcaica”. Così arcaica che Claudio, trovandosi a Tivoli, poiché seppe che alcuni dovevano essere suppliziati in questo modo, vista la straordinarietà dell'evento, non volle perdersi lo spettacolo. Il testo va avanti dicendo che il carnefice tuttavia non era ancora arrivato, doveva venire da Roma, e pur di non perdersi quella scena così particolare, volta a soddisfare il suo gusto macabro, Claudio lo attese fino al tramonto. La frase dove si dice che i due criminali sono “ legati al palo" non si riferisce alla pena, infatti il testo dice che il carnefice doveva ancora arrivare. Semplicemente, intanto che si aspettava che arrivasse il boia, i due furono legati a un palo, e lì attendevano la loro sorte. Ma l'essere legati a quel palo non costituisce la loro pena, semplicemente è il luogo dove li hanno messi finché non fosse arrivato il giustiziere. Il supplizio di cui sta parlando Svetonio è la arbor infelix, che non c'entra nulla con la crocifissione, anche se da una certa scuola di pensiero era considerato l'antenato più prossimo da crocifissione. La tua lettura fa lo stesso errore di Mommsen, e cioè crede che il supplizio dell'arbor infelix per i crimini di perduellio fosse la crocifissione: il grande storico era partito da un'errata interpretazione di un passo della pro Rabirio di Cicerone per sostenere quest'identificazione, ma oggi essa è abbandonata. In realtà esso consisteva invece nel appendere una persona su una forca causata da dei rami disposti a forma di Y oppure su delle travi attaccate all'albero con la medesima forma, e in seguito inchiodarci lì la persona, col volto incappucciato, e poi prenderla a bastonate (verghe) finché la morte non fosse sopraggiunta. Dobbiamo innanzitutto notare che questa pena veniva sempre meno praticata, e quindi questo passo non può parlare della crocifissione. Lo vediamo da alcuni indizi, cioè dal fatto che Claudio si ferma apposta per aspettare di vedere l'esecuzione, cosa che non avrebbe fatto se fosse stata una banalissima crocifissione che poteva vedere ovunque ed era ancora largamente praticata, sia lo vediamo dal fatto che la pena viene definita una pena "secondo le usanze arcaiche" (trad. F. Casorati). Possiamo dunque dire che questo testo non ti serve assolutamente a nulla, sia perché il fatto che siano legati al palo non costituisce la pena di questi due poveretti, bensì soltanto la loro attesa del carnefice, sia perché se anche per ipotesi fosse stato l'essere legati al palo la loro pena, allora questa sarebbe la prova che i romani non utilizzavano più i pali, giacché questa viene definita un'usanza arcaica, e così poco praticata che l'imperatore si attarda fino a sera a Tivoli per aspettare di vedere il supplizio messi in pratica. Anche Cicerone dice in una sua orazione che questo supplizio non era più praticato, e sappiamo sempre da Svetonio, che quando il Senato condannò Nerone a morire "more maiorum", l'imperatore dovette addirittura chiedere in che cosa consistesse questo supplizio: gli si rispose che consisteva nell'inserire la cervice dell'uomo nella forca, e nel battere il suo corpo con dei bastoni finché non fosse sopraggiunta la morte (lo stesso autore dunque ci illumina, e nella stessa opera, su cosa voglia dire quell’espressione “antiqui moris”) . Questo come ripeto non ha nulla a che fare con la crocifissione, infatti Gesù non venne bastonato, bensì è una pena rarissima, la furca more maiorum, che era anche una specie di maledizione religiosa per i nemici pubblici in quanto la persona veniva consacrata alle divinità infere dopo che era stata appesa sull'albero sterile. Tu stesso hai scritto nel tuo intervento che il finale della pena avrebbe previsto il prendere il condannato a mazzate, dunque evidentemente tu o lo svedese eravate al corrente che questo supplizio non c'entra nulla con quanto successo a Gesù Cristo. Perché allora l'hai citato?
Comunque per chi volesse delle maggiori informazioni sull'episodio raccontato da Svetonio a proposito dell'imperatore Claudio, e sul fatto che si tratti di una condanna al supplizio dell'arbor infelix, può leggere il testo classico, la maggiore monografia che abbiamo sulle pene capitali greche romane in Italia, cioè "I supplizi capitali in Grecia e a Roma" di Eva cantarella, a pp. 204-206.
“A quelle pagine trovo solo delle immaginette di altre cose.
Seneca compare a pag. 37 nel mio file. Questa citazione non è né elencata né spiegata.”
Ecco il testo latino di cui stiamo discutendo:
“
10 Inde illud Maecenatis turpissimum votum quo et debilitatem non recusat et deformitatem et novissimeacutam crucem, dummodo inter haec mala spiritus prorogetur:
11.debilem facito manu,
debilem pede coxo,
tuber adstrue gibberum,
lubricos quate dentes:
vita dum superest, benest;
hanc mihi, vel acuta
si sedeam cruce, sustine.
12. Quod miserrimum erat si incidisset optatur, et tamquam vita petitur supplici mora. Contemptissimum putarem si viverevellet usque ad crucem: 'tu vero' inquit 'me debilites licet, dum spiritus in corpore fracto et inutili maneat; depraves licet, dum monstroso et distorto temporis aliquid accedat; suffigas licet et acutam sessuro crucem subdas': est tanti vulnus suum premere et patibulo pendere districtum, dum differat id quod est in malis optimum, supplici finem? est tanti habere animamut agam?”
Non hai seguito il link che ti avevo postato, infatti sei andato a pagina 37 del pdf che avevo scritto Barnabino, mentre io ti avevo indicato il PDF scritto da Laolaia. Comunque la citazione di Seneca è presente ed è la numero nove. A questo proposito voglio dare ai lettori un piccolo saggio di come funziona l'esegesi dei testimoni di Geova, cioè darò un po' di letture alternative di questo passo che non implicano necessariamente l'idea che qui si parli di un palo. La cosa in realtà è molto semplice, basta citare dei commentari a caso, scegliere sui dizionari i significati che più ci aggradano nella lista dei 20 sensi elencati, fare un
collage di 10 traduzioni diverse. Questo come è noto è il metodo che i testimoni di Geova usano per difendere le loro traduzioni della Bibbia, e volevo far vedere cosa succede se questo metodo lo si usa contro di loro. Questo non significa che proporrò tesi scorrette, significa solo che mostrerò come si possa trarre fuori da un singolo brano una molteplicità di ipotesi, e non ho nessuna intenzione di dirvi se io creda o meno a qualcuna delle ipotesi che vi presenterò.
Ma prima di pronunciare queste ipotesi vorrei ribadire che questo tuo modo di obiettare è completamente senza senso. Se anche nel brano ci fosse scritto quello che tu credi di leggervi, non si vede in che senso potrebbe costituire un'obiezione. Innanzitutto non ho detto che il termine crux in epoca imperiale designa solo ed esclusivamente delle croci, ho detto invece che noi assistiamo ad una
speciazione del termine, cioè al fatto che tende a designare delle croci
più spesso che dei pali, e dunque va tradotto con croce a meno che il testo non specifichi qualcosa. Ovviamente dire che il termine crux ha avuto un'evoluzione, significa dire che nell'epoca più remota non designava specificatamente una forma, mentre nell'epoca più recente si è specializzato per designare le croci. Orbene, penso che siamo tutti d'accordo nel dire che il termine croce è arrivato a designare soltanto strumenti cruciformi, giacché noi stiamo parlando una lingua che è il diretto derivato del latino, e nella nostra lingua il termine croce designa soltanto oggetti creati dall'incrocio di due linee. Il problema è che i significati non cambiano dalla mattina alla sera, quasi che in un giorno all'alba una parola significasse qualcosa, e al tramonto avesse cessato quel significato assumendone immediatamente uno nuovo. È ovvio che se si passa da un significato ad un altro deve esistere
una fase intermedia tra questi due poli, cioè una fase dove il termine croce designa ancora quello che indicava in passato, ma inizia specializzarsi sempre più in un altro significato: solo in questo modo si spiega come un termine arrivi a significare una cosa sola. È dunque ovvio che esista un'epoca storica di passaggio in cui il termine crux, pur indicando più spesso una croce, può essere ancora usato per indicare dei pali, e nessuno l'ha mai negato. Infatti non ho mai detto che crux significhi solo croce, ho detto che in epoca imperiale
a livello frequenziale, cioè probabilistico, designa più spesso la croce del palo, e dunque va tradotto con croce fino a prova contraria e non con palo.
Se anche dunque interpretassi questo testo come se parlasse di un palo, non sarebbe certo una prova contro quello che sto dicendo: infatti sono solo le affermazioni universali che possono essere smentite da una singola affermazione contraria. Se una persona dice: "tutti gli italiani sono mori di capelli", allora basta un solo biondo a invalidare la frase. Se invece si dice: "la maggioranza degli italiani è scura di capelli", allora questa fase sarà vera anche se qualcuno vede per strada alcune persone che sono bionde. Siccome il mio genere di affermazioni appartiene al secondo gruppo, la tua strategia argomentativa è perdente. Gli studiosi infatti hanno da tempo vagliato tutte le testimonianze sulla crocifissione romana, e ben lungi dal sostenere una tesi idiota come quella che tu attribuisci loro, cioè che crux significhi sempre e solo croce in età imperiale, si sono limitati a sostenere che questo termine inizia a subire una speciazione, e in seguito, dopo una fase di compresenza dei due significati, viene a designare unicamente e solo le croci. Siccome siamo partiti da un punto della lingua latina in cui crux non significava croce, e siamo arrivati al fatto che la nostra parola "croce" significa soltanto un oggetto cruciforme, dobbiamo chiederci in che punto della storia della nostra lingua sia avvenuto questo mutamento semantico, visto che certamente è avvenuto e sono i due estremi della catena a confermarlo. Gli storici hanno individuato questo momento di compresenza di significati e slittamento nell'età imperiale. Il testo che hai citato appartiene a Seneca, cioè un filosofo romano del primo secolo, anche se in realtà il testo è più antico, perché Seneca nel pezzo che tu stai riferendo riporta una poesia di Mecenate, cioè un famosissimo
talent scout che raccolse intorno a sé i maggiori geni letterari del suo tempo e formò un circolo letterario chiamato per l'appunto "circolo di Mecenate”. La sua opera fu così meritoria che ancora oggi colui che finanzia gli artisti viene chiamato un mecenate. Non si tratta dunque di un testo dell'epoca di Seneca ma di un testo di un personaggio nato alla fine della Repubblica, di un testo di un secolo prima. Iniziamo dunque con ribadire alcuni concetti:1) questo testo non è di Seneca ma una citazione più antica, 2) questo testo è impossibile da utilizzare per confutare la mia tesi. Al massimo proverebbe una sopravvivenza dell'accezione di crux come palo nel primo secolo avanti Cristo, ma questa tesi non è stata negata mai da nessuno. Veniamo al sodo…
Questo testo parla forse della crocifissione? La risposta stando all'interpretazione che tu dai del testo dovrebbe essere un no, e non perché questo “palo” non è una “croce”, ma perché la persona non viene crocifissa bensì impalata. Il testo sembra descrivere una cosa chiamata “acuta crux” su cui una persona si dovrebbe sedere e dunque morire sventrata dal palo. Tutto ciò ovviamente non ha nulla a che fare né con quello che vediamo nell'esecuzione della sentenza capitale di Gesù, né con quella che in italiano si chiama crocifissione. Si dovrebbe dunque daccapo replicare che gli storici non hanno mai preteso di dire che i romani non utilizzassero più pali, che non c'appendessero la gente, o, come in questo caso, che non l'abbiano mai più impalata: gli storici si limitano invece a dire che esiste un rituale della crocifissione, seguito punto per punto nel caso di Gesù Cristo. Gli storici hanno ricostruito che questo rituale consisteva nel trasporto del patibulum che poi veniva issato sullo stipes. Quando invece siamo in casi come questi, dove abbiamo a che fare con uno che si siede su un palo appuntito, non siamo nel rituale della crocifissione descritto dagli storici, e dunque nemmeno rientra nel caso dell'esecuzione capitale di Gesù, perché qui non è stato trasportato un emerito nulla. Gli studiosi non dicono cioè che i romani non abbiano più appeso o impalato con dei pali, dicono semplicemente che quando veniva trasportato qualcosa dal condannato, questo era il patibulum, ed esso veniva issato su uno stipes già piantato per terra. È chiaro questo distinguo? Non è invece mai attestato quello che sostiene sia avvenuto la Torre di Guardia, cioè il trasporto del palo verticale, e che quest'ultimo sia stato piantato sul luogo.
Bene, questa è la descrizione del supplizio come potrebbe apparire ad una lettura ingenua, ora possiamo iniziare a rimescolare tutte le carte giocando all’esesesi
more geovistico. Innanzitutto notiamo che le maggiori traduzioni in commercio delle Epistulae ad Lucilium, cioè quella della Utet e quella della BUR, quest'ultima curata dal grande Giuseppe Monti, non traducono questo crux con "palo", ma riferiscono il brano ad una croce. Come hanno fatto? Una prima risposta potrebbe essere nel fatto che non c'è scritto da nessuna parte che la persona condannata si sia seduta sulla punta appuntita dello stipes, qui vediamo semplicemente descritto una persona che si siede su una crux, e questa croce è detta appuntita, ma non si dice che la persona si è seduta sulla punta dello stipes.
Si potrebbe cioè dire che siccome la croce sia il solo stipes sono entrambi composti da un palo, allora il palo verticale, nel caso la sua estremità che svettava verso il cielo non fosse lavorata e sgrezzata, assumeva naturalmente una forma appuntita.
Acuta crux vorrebbe dunque semplicemente indicare una croce e non necessariamente un solo palo, cioè qualcosa con un patibulum, che però ha uno stipes appuntito in quanto non è stato livellato in cima e dunque si presenta per così dire al naturale. A questo punto possiamo chiederci che senso abbia l'espressione "sedersi sulla croce", visto che neghiamo si sia seduta sulla sommità appuntita dello stipes. Noi infatti c'immaginiamo una persona crocifissa con dei chiodi e dunque eretta, sebbene sospesa da terra. Questa difficoltà non ha nulla di insormontabile per chi adotti il metodo esegetico geovista nel commentare testi antichi. In questo momento sto immaginando di essere Barnabino e dunque di mettermi a sfogliare a caso dizionari di lingue morte che non conosco, e la soluzione è presto trovata. Facendo mio il suo modus operandi vado al verbo latino “sedeo” che usa Seneca, e ovviamente come primo significato trovo “ sedere”. Questo significato ovviamente non mi va bene, e dunque scorro affannosamente tutto il resto del lemma per trovare quello che mi può far comodo: trovo ad esempio sul dizionario Campanini-Carboni che il terzo significato di questo verbo è "posarsi". Ah, così va meglio! Ora posso tradurre il versetto senecano con la frase "se mi appoggio/se mi poso sulla croce". Il versetto dunque descrive semplicemente qualcuno che è posato\appoggiato sulla croce, e non necessariamente qualcuno che vi sia seduto sopra.
Ma ci sono altre ipotesi: il secondo significato è “andare a cavallo” oppure “cavalcare”, e credo che ne dedurrò il fatto che questa persona stava cavalcando la croce nel senso che era seduto a cavalcioni nell'incrocio tra lo stipes e il patibulum, con le tue cosce poggiate ciascuna sulla parte superiore dei due lati della traversa, e con le gambe a penzoloni verso il basso proprio come nella posizione di un cavallerizzo che stia montando la sua bestia.
Un’altra ipotesi suggestiva la ricavo dal dizionario Calonghi-Badellino , che tra l'altro è il migliore che abbiamo in Italia, in cui sta scritto che il verbo in questione è usato anche per indicare l'essere immobilizzati, cioè lo stare a lungo in un posto, evidentemente derivato dal fatto che si è seduto non si muove. Ne deduco dunque che il verso senecano sta semplicemente dicendo che la persona in questione “sta ferma sulla croce”, e non ci si siede sopra. Da un terzo dizionario scopro poi che il termine è impiegato anche per parlare dell’appollaiarsi degli uccelli, e quindi sono tentato di tradurre “se sto appollaiato sulla croce”, con evidente riferimento al mero fatto che ci sono inchiodato sopra, senza alcuna menzione del fatto che ci sia seduto sopra.
Ma non è ancora finita, possiamo confonder ulteriormente le carte. Supponiamo di voler tenere il significato "sedere", e tuttavia di voler continuare a tradurre con "croce". La cosa sarebbe del tutto possibile, si può infatti pensare ad una persona seduta in croce… Come?
Come ho già riportato ci sono delle fonti che ci parlano del sedilis, cioè una specie di protuberanza acuminata che serviva per reggere il peso del corpo, il quale non poteva essere interamente retto dei chiodi conficcati nelle mani o nei polsi. Queste ipotesi, non è neppure mia. Secondo alcuni studiosi, Friedrich e il Pearson, il termine “acuta crux” non si riferisce dunque affatto ad un palo che serva per impalare, bensì al sedilis della croce. Tutto ciò sembra confermato dal commento che fa Seneca a questi poco virili stichi di Mecenate , e che si prestano molto poco alla tesi che qui si parli di un impalamento: poche righe dopo infatti troviamo la frase “patibulo pendere districtum” che conferma tutti i nostri sospetti. Non si tratta di un impalamento perché c'è il verbo “pendere”, e soprattutto si dice che questa persona pende da un patibulum. Il testo infatti dice: "vale la pena di pendere dal patibulum con le braccia slogate e il corpo piagato?" (trad. G. Monti) . Era questa la frase di Seneca citata nel Pdf di Laolaia, perché da questo punto si capisce chiaramente che abbiamo a che fare con una crocifissione e non un impalamento. Le braccia slogate si sposano benissimo con l'idea che qui stiamo parlando di una crocifissione, molto poco con l'idea che stiamo parlando di qualcuno seduto su un palo. La riga che ti ha fatto pensare ad un impalamento è senza dubbio questa: “et acutam sessuro crucem subdas”, che tradotto significa “ e mettimi una crux acuta sotto, perché io mi ci sieda sopra”. Ma a questo punto però non abbiamo più ragione d'interpretare così, bensì dobbiamo intenderla nel senso che qualcuno si siede avendo sotto la croce nel senso che è seduto sopra il sedilis.
Si può anche intendere in modo fantasioso, ma non per questo meno legittimo, con“ mettimi sotto ad una croce, perché mi ci sieda sopra”, cioè nel senso di “portami ai piedi di una croce” (in questo senso “sotto” una croce), affinché poi io ci salga sopra su quella croce, e mi ci si sieda. Una miriade di ipotesi, come vedete.
Ma c'è un'altra tesi che è stata fatta propria da uno studioso di Mecenate, cioè Rossbach. Come ho appena detto infatti questi versi non sono di Seneca. La cosa cui fare attenzione è che Seneca cita Mecenate anche in un'altra epistola, la numero 19, dove salta fuori in riferimento sempre ai mali della vita il termine “eculeus”. Eculeus è un termine che ha più o meno la stessa radice di “equus”, e rimanda ai cavalli. L’ eculeus era un tipo di tortura praticato per far confessare la gente, consisteva nel mettere la persona davanti a un tribunale su un cavalletto appuntito, con due pesi attaccati alle braccia che aumentavano la gravità verso il basso rendendo la pena insopportabile. Alcuni studiosi come il Rossbach vedendo che Seneca sta citando lo stesso autore nelle due lettere, hanno pensato che la
acuta crux della lettera 101 sia lo stesso eculeus della lettera 19. Non avremo dunque a che fare con un'esecuzione capitale, me ne che è meno con una crocifissione, bensì con uno strumento di tortura usato nei tribunali per far confessare la gente: nulla che abbia che fare dunque col mos romanorum della crocifissione o con qualcosa che possa aiutarci a capire la morte di Gesù.
Vi risparmio le interpretazioni di chi ha voluto vedere in questa “acuta crux”, e in special modo nell'aggettivo “acuta”, il riferimento non ad un qualche oggetto storicamente esistito, bensì l'utilizzo di una metafora esistenziale, dove la crux, un simbolo di sofferenza, viene definita “acuta” non per la forma ma per significare qualcosa di molto simile a quello che noi chiamiamo "un mal di testa
acuto", cioè la particolare intensità del dolore; eh, si badi, non il dolore causato dalla croce materiale, ma il dolore di un'esistenza di chi è come fosse in croce: quella di Mecenate sarebbe solo una metafora letteraria. Potete trovare questa bislacca teoria sul volume 46 (1968) della rivista di filologia classica Athenaeum, dove c'è un bell'articolo sul brano che stiamo discutendo. In conclusione questa citazione di Seneca non serve assolutamente a niente, e non dimostra assolutamente nulla. Tradurremo dunque come fa Giuseppe Monti con una banalissimo: "anche appeso alla croce, conservami la vita", senza alcun riferimento a pali appuntiti o al sedercisi sopra.
“Qui ad esempio registriamo che nel I secolo, nel linguaggio militare,
Diodoro usa un gergo familiare alla supposta "crocefissione" per indicare l'azione di piantare pali. In aggiunta, gli "xyla" di Diodoro
non vogliono indicare genericamente dei "legni" (con l'unico intento di specificarne il materiale) ma indicano chiaramente dei "pali" (con l'intento di specificarne la funzione militare)”
Anche in questo caso temo proprio di non sapere cosa dovrebbe dimostrare questa citazione. Non ho mai negato che xylon si possa riferire a dei pali, anzi ho sempre scritto che xylon si riferisce a qualsiasi strumento fatto di legno, sia che si tratti di pali sia che si tratti di navi dei pirati. Questo è reso possibile dal fatto che xylon non rimanda alla forma ma al materiale, e dunque qualsiasi cosa fatta di legno può essere designata con questo termine.
Superfluo ribadire poi che qui non si parla minimamente di esecuzioni capitali ma di pali militari, o qualunque cosa siano, piantati a terra per difendersi e fare da trincea.
Non mi sembra d'aver mai negato che i romani abbiano smesso di utilizzare dei pali per fare delle barricate, esattamente come non ho mai negato che per riferirsi a questi pali, per fare barricate o per qualunque altra cosa, si potesse usare il termine xylon. Da capo dunque non capisco proprio cosa questa citazione vorrebbe dimostrare. Stavamo analizzando il campo semantico di stauros in epoca imperiale, e non il campo semantico di xylon.
È vero che anche xylon nel Nuovo Testamento viene usato per riferirsi alla croce, ma questo dipende dal banalissimo fatto che essa è fatta di legno, e dall'ancor più semplice motivo che Paolo usando questo termine fa un'esegesi midrashica di un testo del Deuteronomio in cui sta scritto che il cadavere della persona messa a morte, dopo che già morta, viene appeso ad un albero, e quella è una persona maledetta da Dio. La Watch Tower ha tradotto questo brano del Deuteronomio con il suo onnipresente termine “palo” anziché con “albero”. La traduzione non è sbagliata ma non è neppure la più probabile, visto che il termine impiegato è ‘etz, che significa in ebraico biblico albero, e significa ancora oggi in ebraico moderno la stessa identica cosa.
La cosa che c'interessa però è che la LXX traduce il termine ebraico ‘etz con un termine greco che per l'appunto può significare qualunque cosa fatta di legno, e dunque anche gli alberi, cioè con il termine greco xylon. È noto che la Bibbia greca, e i Padri stessi, chiamano spesso xyla gli alberi, ad esempio l'albero del paradiso.
La cosa che ci interessa tuttavia è che San Paolo, avendo i traduttori della LXX usato il termine greco xylon per rendere la parola ebraica ‘etz (albero), si trova nella possibilità di leggere in quello xylon il riferimento a qualsiasi cosa di legno, e dunque anche alla croce del suo Messia Gesù Cristo. Per questo il testo di Paolo andrebbe tradotto con “ maledetto è colui che appeso al legno". La Watch Tower si illude che questa sia una prova del fatto che Gesù è morto su un palo, ma ovviamente non è così. Non è così perché innanzitutto l'usanza descritta in Deuteronomio non è un tipo di esecuzione capitale, bensì veniva appesa la gente già morta, e Gesù fu ucciso da dei romani, non da degli ebrei. In secondo luogo non si trattava probabilmente nel Deuteronomio pali ma di alberi, che sono molto più simili ad una croce visto che hanno i rami, e da ultimo perché a Paolo in questa citazione del Deuteronomio della forma dello xylon non interessa proprio nulla. Lui ha trovato il termine greco xylon nella LXX e dunque quello che leggeva era "maledette colui che appeso al legno" dove il parallelo è giocato sia sul fatto che Gesù è appeso, sia sul fatto che ciò a cui è appeso è un legno. Il testo dunque non permette assolutamente di stabilire se questo legno fosse una croce o un palo, perché entrambi sono di legno. In pratica il deuteronomista intendeva albero, i LXX traducono con “legno” sempre per significare albero, ma Paolo leggendo “legno” può riferire al profezia alla croce, rendendolo “il legno” per eccellenza.
Certo, se ci fosse stato un plurale, cioè xyla, avremmo avuto la certezza che si trattava di una croce, al contrario il singolare xylon non permette di stabilire se era davvero un palo, cioè un solo legno, perché xylon al singolare non è detto che si riferisca al numero dei legni, bensì al materiale. In questo senso essere appesi “al legno” può indicare l'intera croce.
Quanto al verbo greco che viene utilizzato da Diodoro esso è banalmente stauroo, che però in questo caso ha il suo significato base di piantare per terra, e non di crocifiggere. In conclusione queste righe di Diodoro che hai citato non hanno alcuna attinenza con quello che stiamo dicendo, sia perché non stavamo analizzando la parola xylon, sia perché non sappiamo di che forma fossero questi xyla, sia perché non si parla di esecuzioni e dunque il fatto che i romani usassero dei pali per difendersi è una cosa di cui non ci importa assolutamente nulla e che nessuno ha mai negato.
“Temo che l'immaginazione stia giocando brutti scherzi a molti, compreso alcuni professori di latino e greco. Tutti noi possiamo immaginare lo "stauros" con una sua forma, se pero' restiamo ai testi a nostra disposizione allora troviamo inequivocabilmente che le forme erano molteplici e certamente non solo derivate dalla "tau". “
Il testo di Luciano dice qualcosa di profondamente diverso. Non dice semplicemente che c'è una croce a forma di tau, dice al contrario che la gente credeva che l'etimologia della parola stauros derivasse dalla lettera greca tau, e il mio amico greco mi ha detto la stessa cosa 1800 anni dopo. Questo significa che se la gente era arrivata a credere che la parola stauros derivasse da tau, è perché evidentemente la gran parte degli stauroi erano con questa forma altrimenti non si spiegherebbe come sia possibile che la gente abbia addirittura iniziato a credere che
la forma stesse dentro il nome dello strumento.
“Non è questione di appiattirsi, ma di guardare la realtà a nostra disposizione. In questo forum ad esempio ho fatto notare a voi del "mos" (a te e al dentista) quanto sia ridicolo che il L&S per "stauros" scriva "NT: croce". Questo perché nel NT "stauros" indica certamente il "palo" o eventualmente il "patibulum" portato dal Cristo e/o dal cireneo. Secondariamente lo strumento a cui fu attaccato Gesu' che, in base al solo NT, non è niente di diverso da un palo”
Trovo veramente ridicolo che tu stia dando lezioni al Liddell-Scott, che il miglior dizionario di greco di questo pianeta. Innanzitutto “quelli del mos” non siamo io e il dentista, ma tutti gli antichisti di questo pianeta, e puoi guardare l'Oxford Classical Dictionary per sincerartene. Il Liddell-Scott come qualunque dizionario si basa su tutte le ricerche lessicologiche del settore, e dunque ha perfettamente ragione nel tradurre con croce riguardo al Nuovo Testamento, in quanto quello è uno stauros messo in piedi da dei romani per un'esecuzione capitale, quindi assai più probabilmente una croce che un palo, giacché è proprio questo che il mos prevedeva. Non bisogna dunque dire che in base al Nuovo Testamento lo stauros era un palo, perché secondo il Nuovo Testamento lo stauros è solo uno stauros, e non un palo. Questa tua traduzione parte dall'idea che sia “palo” il significato basilare del termine in quest'epoca, e che dunque vada tradotto con palo fino a prova contraria. La mia idea invece del tutto speculare, e si basa sul fatto che il significato primario i stauros a quest'epoca fosse croce, e dunque vada tradotto così fino a prova contraria. Entrambe le nostre posizioni sembrano aprioristiche, con la sola differenza che la mia posizione aprioristica è quella di tutto il mondo accademico e di tutte le opere di consultazione lessicologiche. La tua è quella di un gruppo di americani che pubblicano riviste anonime, e di uno svedese con una tesi che non è stata ancora accertata o recepita dal mondo scientifico. Motivo per cui io continuerò beatamente a dare per scontata la mia posizione, mentre mi aspetto, se tu vuoi partire dalla tua posizione come aprioristica, che tu la dimostri. L'onere della prova infatti spetta a chi fa le affermazioni e porta delle novità. Se tutto il mondo, e tutti gli studiosi, credono come assodata una cosa, è chi si vuole discostarsi dal senso comune che deve dimostrarla.
Inoltre le ricerche frequenziale sull'uso di crux e di stauros come “croce” oppure “palo” comunque sono già state fatte da più di un secolo, e se ne può trovare traccia nel Holzmeiester che ho già indicato.
“CVD. Data una frase a piacere voi del classico sapete svolgerci sopra un tema. L'anno è il '71 e la citazione è completa. Ergo "Geova" sarebbe il "nome ebraico" di Dio (da Yahweh), parola di Devoto.
Lasciamo perdere di differenziare il "nome" dal "significato", cosa ovvia, altrimenti torna il ginnasiale e ci svolge sopra un altro tema. “
Veramente da quello che capisco io dal dizionario nella sua forma aggiornata nel 2009 è che il nome ebraico sia Yahweh, mentre il nome Geova sia un derivato italiano.
“Ho difficoltà a identificare univocamente le tue citazione perchè la tua numerazione ricomincia in continuazione. Quella dei "Padri" invece è allineata, ma del tutto inutile ai nostri fini. “
Non vedo proprio perché dovrebbe essere inutile. Ho già detto che non li cito in quanto Padri della Chiesa ma in quanto locutori greci e latini dell'età imperiale. Questa gente è vissuta in un periodo in cui si praticava ancora la crocifissione, giacché come sarà utile ricordare fu abolita soltanto nel quarto secolo, e fu abolita proprio perché i cristiani erano diventati la maggioranza e non ne potevano più di vedere la croce associata alla morte e alla tragedia, visto che c'era morto sopra il loro messia. Questa tra l'altro è una prova che la crux in età imperiale è una croce, altrimenti non si spiega perché i cristiani, e Costantino in particolare, abbiano abolito la crocifissione come pena. Se la crocifissione come pena non fosse stata uguale alla crocifissione dell'iconografia e alla crocifissione della patristica, allora non ci sarebbe stato alcun bisogno di abolirla. Da una parte avremmo avuto dei pali per le esecuzioni, dall'altro lato invece delle croci nella patristica cristiana. Se hanno abolito la crocifissione invece, è perché proprio quella croce su cui la gente veniva appesa era uguale alla croce dei Padri, e dunque essi non la vollero più vedere associata alla morte visto che era diventata per loro simbolo salvifico.
Questi Padri della Chiesa ci danno delle informazioni interessanti come dicevo, perché ci dicono che questo o quell'oggetto è simile per forma alla croce: se ne deduce dunque che si citano esempi cruciformi e non paliformi è banalmente perché la croce nella loro mente, e nella mente di chiunque altro, aveva la forma dell'incrocio di due pali.
“Stiamo cercando di capire quale forma avessero in mente i nostri autori e tu parti dal presupposto che avessero in mente "una sola forma"? Stento a seguirti!”
La frase vuole per l'appunto dire che se tutti questi autori fanno degli esempi basati su oggetti cruciformi, ad esempio Giustino che dice che due spiedi di che si incrociano hanno la forma di uno stauros, è perché evidentemente questa gente aveva in mente uno stauros a forma di croce. Non potresti infatti dire che la lettera tau è simile allo stauros se prima non avessi in mente uno stauros a forma di croce. Guardando gli oggetti cui paragonano la croce, capiamo dunque quale croce avevano in mente.
Questi esempi si basano dunque su una diffusa e condivisa rappresentazione mentale dello stauros come cruciforme.
“Ma mio caro, se vuoi capire come gli autori usavano i termini devi leggere quello che scrivevano, non leggere nella loro mente e supporre quello che si immaginassero a loro tempo.
Qui viene usato un verbo derivato dal termine che ci interessa e non si parla affatto di "legni" in senso generico, “
Temo che il suo dilettantismo linguistico che abbia giocato dei brutti scherzi. Il verbo Stauroo qui non ha niente a che fare con la crocifissione, è usato nel suo significato basilare che significa per l'appunto "piantare" e “elevare staccionate”, e si usa ancora in greco con questo significato. Questo perché come sto cercando di dire da 20 post il termine stauros, e il relativo verbo che ne deriva, hanno la stessa radice dell'italiano "instaurare", e dunque il significato base della parola non ha niente a che vedere con i pali ma con lo stare conficcati per terra. È per questo che il termine stauros si può riferire sia dei pali che ha delle croci nel greco classico, perché entrambi sono piantati per terra. Inoltre il termine xylon, per l'ennesima volta, non designa dei pali nello specifico ma qualunque cosa fatta di legno.
In questo caso, comunque, sono d'accordo che si tratti di pali, ma non vedo a che cosa dovrebbe servire questa citazione, visto che non sta parlando di esecuzioni capitali, e che soprattutto non ho mai negato che il termine xylon possa indicare un palo. Se tu avessi letto il mia trattato sapresti che ho scritto che può indicare qualsiasi cosa fatta di legno, anzi per essere precisi può pure indicare il mercato del legno!
“Fa capire bene ai tuoi lettori quello che stai affermando: noi leggiamo i termini utilizzati dagli autori nei loro scritti epartiamo dal presupposto (o, meglio detto, secondo te dovremmo partire dal presupposto) che "in campo penale, e specificatamente di esecuzioni operate dai romani, nel lessico greco" significhi "croce, crocifiggere etc.". Ma quale sfoggio di ottimo stile di ricerca, mi congratulo. Cosi' hai dichiarato vera a priori la tua ipotesi. “
No, significa semplicemente che visto che stiamo indagando quello che si chiama mos romanorum della crocifissione è perfettamente che le chiedersi cosa possa significare xylon al di fuori di questo ambito, visto che come ripeto significa qualsiasi pezzo di legno.
“Luciano è un autore del II che racconta le sue storie di un secolo posteriori ai fatti che ci interessano.
Luciano racconta la sue storielle in greco, mentre l'esecuzione ebbe luogo, eventualmente, con aggeggi designati da nomi latini di cui gli autori ispirati, di lingua madre ebraica, citano la loro versione greca. “
Temo di non aver capito nulla di quello che hai scritto. Luciano è un autore del secondo secolo, e Gesù è vissuto nel primo, ma tra il primo e secondo secolo nelle zone che c'interessa non è cambiato assolutamente nulla: i romani sono sempre quelli e i loro metodi di esecuzione anche. Non si vede perché se nel secondo secolo qualcuno ci viene a dire che la parola stauros deriva dalla lettera greca tau per via della forma degli stauroi, la cosa dovrebbe essere diversa con gli stauroi di un secolo prima. È cambiato qualcosa in un secolo? E che prova ne hai?
Gli autori ispirati inoltre non sono affatto di madrelingua ebraica, sia perché i vangeli di Matteo, Marco, e Giovanni secondo i più non sono stati scritti da nessuno di questi signori, sia perché se anche li avessero scritti gli apostoli non sappiamo neppure se parlavano ebraico o un qualche dialetto aramaico. Non vedo poi cosa centri il fatto che gli aggeggi di cui stiamo parlando venissero chiamati dai romani con dei nomi latini. Quello che c'interessa è che questi termini hanno una traduzione greca, che vediamo nel Nuovo Testamento, e Luciano scrive ugualmente in greco. Anzi il parere di Luciano è particolarmente interessante visto che, sebbene maneggi il greco con una maestria assoluta, era originario della Siria e dunque madrelingua aramaico, un po' come i supposti apostoli. Abbiamo in entrambi i casi delle persone di lingua semitica che descrivono in greco uno strumento di esecuzione romano.
“Luciano non descrive alcuna esecuzione reale, ma un'invenzione della sua fantasia. Se avesse detto che Prometeo a lui sembrava avere assunto la forma di una banana, chissà cos'avresti raccontato in questo forum per portarlo dalla tua parte. “
Non capisco cosa centri questa obiezione. Non occorre descrivere un'esecuzione in particolare per dare delle informazioni sulla croce. Non ho bisogno di descriverti l'esecuzione capitale di un rivoluzionario francese chiamandolo per nome e cognome, e di specificare l'esecuzione di cui sto parlando, per dirti come è fatta una ghigliottina. Infatti l’ho vista centinaia di volte tra musei e film, esattamente come Luciano deve aver visto molte crocifissioni, e dunque non ho alcun interesse se voglio parlarti della ghigliottina o della croce di dirti un caso particolare a cui ho assistito. Ciò che conta è che qui Luciano. ci dice che la gente si era addirittura convinta che la parola croce derivasse dalla lettera tau, convinzione che tuttora persiste in Grecia.
La crocifissione era un supplizio frequente, praticato ovunque, e tutti avevano occasione di vederla, anche perché i romani la mettavano in bella mostra come dissuasore.
“Poly continui a barare. Chi racconta queste storielle non è attendibile perchè posteriore di secoli rispetto ai fatti e in alcun modo testimone oculare. Quello che raccontano, oltre che parziale e poco rilevante, richiederebbe una nuova teoria che finora ho sentito menzionare solo da te, cioè che la forma dello "stauros" sarebbe cambiata improvvisamente nel II, per diventare invariabilmente una T o tau.”
Veramente Luciano è un testimone oculare dei fatti, nella misura in cui come tutti i suoi contemporanei ha visto delle crocifissioni. Non mi interessa ovviamente il fatto che non sia stato testimone oculare della crocifissione di Cristo in particolare, infatti qui stiamo indagando la pratica della crocifissione in generale per stabilire se era più spesso una croce oppure un palo. Inoltre io non sto inventando un emerito nulla. La croce a forma di tau è sempre una croce perché in italiano questa parola si riferisce banalmente a due legni incrociati, non importa quanto un legno sporga rispetto quello orizzontale. La croce a tau è detta crux commissa, mentre la croce latina è detta crux immissa. Entrambe queste tipologie erano utilizzate dai romani, e ci sono parecchi riferimenti alla croce a forma di tau. In Occidente la croce a forma di tau è famosissima perché è la croce che utilizzava San Francesco, e che dunque ancora oggi tutti francescani portano al collo. Motivo per cui Luciano può dire che la croce assomiglia a un tau perché sia che fosse una crux latina sia che fosse una crux commissa essa era formata dall'incrocio di due linee.
“Qui torni a mentire, sapendo di farlo. “
O spudorato, che cosa mai hai detto! Sarei io quello che mente, e non voi che non sapete leggere tutti i dizionari del pianeta che descrivono la crocifissione romana? Prendiamo ad esempio la già citata opera monografica della professare Eva Cantarella, la massima esperta nel nostro Paese di diritto penale romano, che giustamente scrive: "Originalità della crocifissione romana: tecnica della costruzione e dell'esecuzione. Come abbiamo più volte detto, la crocifissione romana era sensibilmente diversa dal supplizio greco che per comodità e convenienza abbiamo chiamato con questo nome. (...) La croce romana era composta da due legni separati tra loro, che venivano uniti e assumevano la forma di una croce solo nel momento finale dell'esecuzione. Questi due legni erano detti stipes e patibulum. Lo stipes era la parte verticale della croce: un tronco, un palo di legno, abitualmente anche se non è necessariamente infisso nella terra in modo permanente, pronto ad accogliere l'eventuale condannato. A seconda dei casi, questi pali erano di altezza diversa. Di regola erano poco più alti di un uomo, così che i piedi del condannato si venivano a trovare a pochi centimetri dal suolo. In questo caso, gli stipites (successivamente congiunti al palo orizzontale detto patibulum) davano luogo alle croci dette humiles, che esponevano i condannati, tra gli altri tormenti, ai morsi dei lupi famelici che ne straziavano le carni, cui si aggiungevano (in questo caso, come è ovvio, del tutto indipendentemente dall'altezza dello stipes) le beccate degli avvoltoi attratti dall'odore del sangue. (...) Croce di diversa altezza, dunque, ma anche croci di forma diversa: la tecnica di costruzione dello strumento non era sempre la stessa. Il patibulum, come abbiamo detto, era una trave separata e autonoma, che veniva unita allo stipes solo nel momento in cui il condannato veniva messo a morte, e che giungeva sul luogo del supplizio insieme al condannato, o meglio caricato sulle sue spalle o avvinto ai suoi polsi con delle corde. "Che porti il patibolo per la città, e poi sia affisso alla croce" leggiamo nella Carbonaria di Plauto. Altrettanto esplicito è Artemidoro: "chi deve essere affisso alla croce, prima la porta". Solo nel momento finale dell'esecuzione, dunque, la croce prendeva forma. Ma come dicevamo, la forma non era sempre la stessa. A volte nel patibulum veniva predisposto un incavo destinato a essere appoggiato in un risalto al termine dello stipes, così che la croce che ne risultava, detta crux commissa, aveva forma di T. Altre volte, invece, l'incavo veniva predisposto nello stipes, così che la parte terminale di questa, superando il punto di congiunzione con il patibulum, formava una croce a quattro braccia, detta crux immissa o crux capitata."(Eva Cantarella, I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Milano, 2000, BUR, pp. 192-194)
Questo è quello che potrai trovare su qualsiasi dizionario antichistico, e sarei io che menta spudoratamente sapendo di mentire? Ma torniamo alla crux commissa…
Un esempio di croce la tau, che è tutt'altro che una fantasia degli eruditi, si può vedere in questo magnifico graffito del primo secolo che è stato trovato a Pozzuoli in una taverna romana:
Vediamo qui tutti gli elementi del mos romanorum che finora ho descritto: la croce era data dall'intersezione di due legni diversi, vediamo infatti che il patibulum è meno spesso dello stipes, e infatti questo si addice benissimo al fatto che il legno trasversale doveva essere portato dal condannato e dunque essere più esile, mentre lo stipes doveva sorreggere il peso del condannato a morte stando piantato per terra e dunque doveva essere più robusto. Vediamo il condannato con le braccia divaricate e il polsi inchiodati, è pure ricoperto da una pelle animale, un espediente tipico che veniva usato per attirare le belve che poi dovevano divorare il corpo. Notiamo poi un altro elemento del mos romanorum della crocifissione, cioè il fatto che la persona è seduta su un corno, il sedilis di cui parlavamo prima, e che sporge dal palo in mezzo alle gambe, creando una divaricazione delle ginocchia che poi andavano a ricongiungersi in una inchiodatura dei piedi. Questo graffito è particolarmente interessante perché conferma l'esistenza, che tu avevi osato mettere in discussione, del “cornu” di cui parlano Tertulliano ed Ireneo, sporgenza sul quale riposava il corpo del condannato a morte.
Questa signori miei è una crocifissione, le speculazioni di Brooklyn sono delle chiacchiere. E se vi stavate chiedendo perché tutto il mondo accademico pensi la stessa cosa, spero che quest’esempio granitico vi illumini un pochetto.
“La critica della WTS riguarda l'uso pagano che voi cattolici fate della croce. Non solo il fatto che di fronte al dubbio traduttivo vi siete inventati una teoria a posteriori (il "mos") per tentare di giustificare un inesistente "patibulum" attaccato allo "stipes" sulla scena del crimine, questo è secondario”
Purtroppo per voi non ci siamo inventati proprio niente perché i cristiani credono che Cristo sia morto su una croce da ancor prima di avere il Nuovo Testamento in base al quale voi pensate di poter rinnegare la Chiesa cattolica, né la nostra credenza si basa sul NT, bensì il Nt è parte della nostra credenza, cioè della fede trasmessa a proposito di Cristo. I Padri della Chiesa greci e latini, che le esecuzioni romane e le crocifissioni le potevano vedere tutti i giorni, non avevano bisogno di inventarsi proprio niente né potevano inventarsi qualcosa visto che tutto loro pubblico sapeva esattamente come loro il modo in cui la gente veniva crocifissa. Inoltre non ci siano inventati alcun patibulum, abbiamo semplicemente preso atto del fatto che
si dice che Gesù abbia portato qualcosa sul Golgotha, e che non c'è nessuna fonte, neppure una, che descriva che questo qualcosa trasportato fosse il palo verticale, quindi era il patibulum di sicuro. Tu invece sei ancora convinto che i cristiani si siano inventati una croce successivamente. La domanda è: successivamente a che cosa? L'idea che Cristo sia morto in croce la potrai trovare affermato in modo unanime da qualunque cristiano vissuto durante l'esistenza dell'impero Romano d'Occidente, cioè durante l'arco di tempo in cui i romani crocifiggevano. Come puoi tu pretendere di saperne più di loro?
“rincipalmente, finire per farne un simbolo religioso da adorare è l'insulto peggiore verso il poveretto che pativa appeso allo "stauros" e sa tanto, ma davvero tanto, di spudorato paganesimo.”
Noi non adoriamo la croce in sé, ma colui che vi è crocifisso. “Adorare la croce” nel frasario cristiano significa compiere un gesto di quella che in gergo teologico si chiama "adorazione relativa", in quanto per l'appunto l'adorazione si “trasla” dall'oggetto a colui che vi è confitto sopra. Questo non è estraneo al Nuovo Testamento, giacché la croce da simbolo di maledizione è diventato simbolo di Gloria, giacché con quello strumento Cristo ci ha redenti. San Paolo stesso diceva di vantarsi della croce, v. Galati 6, 14.
“Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.” (Gal 6,14)
Se Paolo si vantava della croce, perché i TdG non si vantano del palo?
Forse perché c’è qualcosa che non va nel modo che hanno di concepire questo strumento e la sua azione nel piano della Salvezza?
“Poly stasera mi puzzi un po' di "pentito ad orologeria". Mi spiego: se il greco è un tdG che si occupa di traduzione bibliche, allora per te è un incompetente e la sua nazionalità viene derisa e dichiarata irrilevante. Se invece trovi un greco che ti dà ragione, allora ne esalti la persona e tessi le lodi. Mah. “
Purtroppo non ho idea, perché non ho memoria, di chi sia questo greco di cui parli. Non mi sognerei mai comunque di citare un greco come fonte di informazione se questo greco non fosse anche un grecista ed un antichista. Il punto è che il greco antico è diverso dal greco moderno, quindi non è possibile che una persona faccia delle valutazioni storiche adeguate solo perché di madrelingua greca. Questo greco in particolare che ho citato tuttavia, non solo è greco ma insegnanti greco antico al liceo, motivo per cui è una persona con una competenza antichistica. Mi aveva molto stupito il fatto che secondo lui stauros avesse sempre significato in tutta la storia della lingua greca delle croci, al punto che nel caso del verbo stauroo che può significare “erigere dei pali”, questo greco sosteneva che si trattasse dei pali di una staccionata a forma di T. Ad essere precisi poi non era questo mio amico a sostenerlo ma il dizionario che aveva citato, cioè il Μέγα Λεξικό της Ελληνικής Γλώσσας, (2002) dell'Accademia di Atene. Pare dunque che gli eruditi greci siano seriamente convinti che tutte le occorrenze di stauros in greco antico siano riconducibili ad una forma cruciforme. Purtroppo non ho il tempo di verificare questa loro tesi, ma mi sembrava comunque affascinante e da segnalare.
FINIS PARTIS PRIMAE
PS:
CARI MODERATORI , ho un problema con lo stramaletdetto forum. Devo ancora inserire la II parte del mio intervento, ma il forum non me lo lascia fare e mi dice che l'operazione non è consentita. C'è una spiegazione tecnica? Ho fatto trascorrere 2 min tra una prova e l'altra ma nulla.
[Modificato da Polymetis 27/08/2010 01:43]
---------------------
Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)