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CRUCIFIXION IN ANTIQUITY

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2018 21:12
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11/08/2010 18:12
 
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Re: Re: Re: Capisco bene il ragionamento?
Seabiscuit, 11/08/2010 18.10:



ma no che stai a dì? Dopo 7000 volte che Dio ha evidenziato il Suo nome nel AT, avrà pensato (secondo qualcuno): basta, sono stato troppo insistente col mio Nome. Adesso è ora di farlo sparire
[SM=x1408438]







Non male come tesi [SM=x1408399]
11/08/2010 19:23
 
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Caro BArnabino, non mi sembra di parlare arabo e trovo del tutto inutile ripetermi. Facciamo un esempio: in inglese contemporaneo "gay" vuol dire "omosessuale", ma prima che assumesse questo significato voleva semplicemente dire "felice", infatti tale radice esiste anche in italiano nella parola "gaio". Supponiamo di vivere nel 4000 d.C., dopo una catastrofe nucleare, e che del passato ci restino solo dei lacerti. Uno storico del 4000 d.C., trova un documento americano in cui si dice che "Bertrand Delanoe, Mayor of Paris, is gay." (Bertrand Delanoe, sindaco di Parigi, è XXX."
Supponiamo che una tradizione secolare ricordi il nome di quest'uomo in relazione alle sue battaglie per i diritti dei gay; il problema per questo storico del 4000 d.C. è sarà dunque verificarla, e stabilire se il sindaco di Parigi fosse omosessuale. Così si chiede se il passo stia dicendo "gay" nel senso di "omosessuale" o nel senso di "persona allegra", e anzi, si chiede pure se l'equivoco che fosse omosessuale nasca proprio da un successivo fraintendimento della parola "gay". Questo storico dunque, confronterà le fonti inglesi che gli rimangono, e scoprirà che la parola gay, benché originariamente implicasse solo allegrezza, in seguito diventò prevalentemente connotativa dell'omosessualità, e che passò ad indicare questa condizione proprio perché i gay erano considerati notoriamente allegri, colorati, e inclini a carnevalate (il Gay Pride). Scoprirà poi delle fonti successive che descrivono questo Bertrand Delanoe fidanzato con un uomo.
Questo, fuori di metafora, è ciò che abbiamo nel caso di Gesù: una tradizione bimillenaria, in cui non c'è alcuna incrinatura, dice concordemente che questo stauros sia una croce, in epoca romana tale termine assunse prevalentemente questo significato, e fonti successive, tutte, descrivono e rappresentano Cristo su una croce.
Sempre per stare nella metafora, tu fai parte di un gruppo omofobo del 4000 d.C. che, volendo riscattare Bertrand Delanoe dall'accusa, per loro infamante, di omosessualità, insiste nel dire che "gaio" è un significato più basilare. Questa fuori di metafora è la WTS, che non traduce con "gaio" perché voglia lasciare l’ambiguità se fosse omosessuale o meno, ma anzi traducono con "gaio" proprio per volontà di escludere il secondo significato, cioè gay\omosessuale. Tornando alla metafora, diremo poi che, sebbene questo gruppo traduca in questo modo proprio per escludere che Delanoe potrebbe essere stato gay, un loro adepto, resosi conto della debolezza di questa tesi, si mette a sostenere che mentre tutti i gay sono persone gaie, e dunque i gay\omosessuali sono un sottoinsieme dei gai\felici, tuttavia non è vero il contrario, cioè non tutti le persone gaie\felici sono gay: e dunque è meglio tradurre con gaio per lasciare aperta la possibilità che Delanoe fosse sia semplicemente una persona allegra, sia che fosse gay.
Questo però contraddice tutto quello che il suo gruppo di appartenenza voleva sostenere, cioè di tradurre con “gaio” proprio per escludere che Delanoe fosse gay, e non certo per usare una traduzione che lasci la porta aperta a qualsiasi scelta traduttiva. Fuori di metafora questo sei tu, che non solo stai ragionando fuori dai binari della WTS, ma li stai addirittura contraddicendo.
Ho specificato poi che non esistono traduzioni legittime o sbagliate in sé, perché una parola può significare cose diverse a seconda di chi la pronuncia. Se dunque qualcuno mi dirà che traduce stauros con “palo” perché una parola vale l’altra non essendoci possibilità di sapere come morì Gesù, allora potrò accettare la sua traduzione, se invece, come al WTS, mi dice che traduce con palo proprio perché di palo trattavasi, e non di croce, allora questo sarà un restringimento del campo semantico del termine al pari che tradurre croce.
Non ha nessuna rilevanza il tuo continuare a ribadire che la croce è comunque composta da un palo, perché due pali non sono più un palo ma una croce. La WTS infatti non traduce con palo per comprendere la parola croce, ma anzi, per escluderla. Poco importa dunque se la croce sia fatta di pali singoli, quello che ci interessa storiograficamente è se la traduzione croce sia più probabile di quella palo, cioè su quale dei due sia più probabile che Gesù sia stato crocifisso, e suppongo non ci sia bisogno di dimostrarti che io e tutte le opere antichistiche di questo pianeta concordiamo nel dire che è la croce la più probabile, anzi, a dire il vero l’unica attestata. Tu puoi continuare a scrivere “Perdonami, ma "palo di tortura" non esclude la "croce".” E Io continuerò a metterti accanto Ragioniamo che dice: “Gesù non morì su una croce, morì su un palo” (Ragioniamo p. 85) e Perspicacia che dice “Stauròs non dà affatto l’idea di una “croce” fatta di due pezzi di legno. Significa solo un palo diritto”(p. 472)
Continuare a ripetere le tue eresie non le renderà certo più vere, a meno che tu non pretenda di fare come Goebbels, il quale disse che ripetendo una bugia trenta volte, quella diventava la verità.
La traduzione con palo dunque non vuol includere la croce, anzi, vuole escluderla, e la WTS specifica che i pali non sono croci. (Evidentemente anche loro sanno l’italiano). Se dunque le due traduzioni si escludono a vicenda, occorre vedere quale dei due strumenti sia il più probabile.
E poi, per l’ennesima volta, stauros non fa riferimento a nessun palo, fa semplicemente riferimento a ciò che è piantato per terra. Il fatto che in greco classico questo faccia sì che sia impiegato spesso per pali, mentre in epoca imperiale per croci, dipende dal fatto che le prime opere greche che abbiamo, Esiodo ed Erodoto, parlano della costruzioni di case e di staccionate, non di gente appesa per aria. Per contro in greco di età romana, siccome i greci erano sottomessi ai romani che avevano importato la croce sul territorio di tutto l’impero, questo termine che indica le cose conficcate per terra s’adatto benissimo per descrivere le croci piantate. Se dunque il campo semantico di stauros non coincide con quello di croce, non coincide neppure certamente con quello di “palo” nell’accezione che a questo termine dà la WTS, cioè il palo che proprio in quanto palo non è una croce. In questo Barnabino contraddice la Società.
Ho già ripetuto poi che non ha nessuna rilevanza quali significati possa aver assunto la parola croce nei secoli, esattamente come non ne ha quali significati abbia assunto il fascio littorio. La nostra traduzione deve semplicemente tener conto delle prove storiche e dare una traduzione adeguata a quello che fu. Se dunque la ricerca avrà provato che i romani appendevano per lo più a croci e non a pali, si tradurrà con croce, perché questo era, e non “palo”. Al contrario ostinarsi a tradurre con croce sarebbe un depauperamento del campo semantico del termine di cui gli studi hanno nel frattempo certificato l’accrescimento (al punto che la gente era convinta che la parola sTAUros derivasse da tau). Se i romani introdussero questa nuova forma di esecuzione, cioè la croce, è del tutto legittimo darne conto in traduzione, e rendere i lettori partecipi traducendo con “croce”, come lo studio frequenziale delle occorrenze avrà dimostrato. In caso contrario si farà una cosa disonesta, sottraendo ai lettori l’informazione che i romani, rispetto ai greci, avevano iniziato ad appendere su strumenti di forma cruciforme. Questo è un dato storico, e ostinarsi a tradurre con “palo” significa volerlo negare, depauperare, e in definitiva decidere a priori di non farlo arrivare al pubblico. Se, come è già stato fatto, tutti gli eruditi hanno concordato, sviscerando le fonti che “la crocifissione romana era sensibilmente diversa dal supplizio greco” (Cantarella, p. 192), allora è una violenza storica bella e buona, e non un serio scrupolo filologico, il non voler trasmettere questo dato storico ai lettori, creando degli appiattimenti che non esistono, e non si chiamano le cose col loro nome.
In questo senso “palo” è una traduzione parziale di stauros, e per nulla neutra, ma a differenza di “croce”, che è anch’essa una resa parziale, non s’accorda né con quello che gli studiosi pensano della crocifissione romana, né con qualsiasi fonte che parli della fine di Cristo. Questo è il motivo per cui non c’è nessuna ragione per sostituire il palo con la croce, ma evidentemente c’è chi pensa, nel suo ego mostruoso, di poter sapere meglio dei cristiani dei primi 4 secoli, che coi romani ci vivevano e le crocifissioni potevano vederle coi loro occhi, come fosse fatto uno stauros in epoca romana, e come morì Cristo (dato sul quale TUTTI nel mondo antico, uniformemente, a qualsiasi latitudine geografica e temporale, concordano). Questo significa infischiarsene bellamente di tutte le fonti, e non certo fare della filologia.
Quanto alla domanda di Nevio è pertinentissima. “Signore” è un significato basilare di kyrios, che va bene sia per Geova sia per Gesù, perché dunque connotarlo come Geova visto che la logica traduttiva dovrebbe essere attenersi sempre ad un fantomatico significato basilare e comune? Se si porteranno delle argomentazioni alternative ed extra-semantiche, per le quali quei “kyrios” vogliono in realtà dire "Geova", si è liberissimi di farlo, ma si starà in questo caso adottando una logica diversa da quella che Barnabino pretende di applicare con stauros e la sua traduzione. In questo caso infatti lui rigetta tutte le argomentazioni che vengono da altre vie e pretende di tradurre stauros col suo fantomatico “significato basilare”, scartando tutte le altre fonti che parlano della croce di Cristo, e fissandosi unicamente sull'argomentazione che quello sarebbe, secondo lui, sarebbe il significato basilare di stauros.
Se dunque dovessimo usare il medesimo metodo con kyrios, allora allo stesso modo dovremmo escludere tutte le altre argomentazioni che possano farci pensare che kyrios sia Geova, cioè ignorare tutto quello che viene dalle altre fonti (es. prove papirologiche), e limitarci invece a ribadire testardamente, come un disco rotto, che "Signore" è il significato base di kyrios, il più generico, e che dunque così vada tradotto nel dubbio. Se invece accetteremo altre argomentazioni per dire che kyrios va tradotto con Geova, come quelle che dà Fontaine e che sono extra-semantiche, perché allora Barnabino si rifiuta di discutere il fatto che tutte le fonti antiche, scritte o iconiche, dicono che Gesù morì in croce?

Ad maiora
---------------------
Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
11/08/2010 19:33
 
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Capisco bene il ragionamento?
jwfelix, 11/08/2010 18.12:




Non male come tesi [SM=x1408399]



Caro Felix, ma anche cari tutti, non sta a noi interpretare le ragioni possibili del volere di Dio, stabilire noi, ma che presunzione, i canoni della Sua stessa coerenza nei secoli, rispetto a questa o quella problematica dottrinale o pragmatica. Come ci permettiamo di costruire tesi su ragionamenti attribuiti al Padreterno, del tutto arbitrariamente. Se dobbiamo attenerci al certo, secondo un modo di procedere "coi piedi di piombo", perche' mai congetturare sui possibili motivi dell'assoluto non rinvenimento del Tetragramma in nessun manosctitto neotestamentario, proveniente da ogni dove della presenza cristiana antica? Quando ci fa comodo diciamo che Dio ha protetto la sostanziale integrita' della Scrittura, che ci pervenisse per nostro beneficio, e quando ci pare riduciamo Dio a Persona incapace di preservare persino il proprio Sacro Nome nella totalita dei casi, 100%, incredibile, dai tentativi (ipotizzati) di occultamento tra il 1° e 2° secolo. Ma?


11/08/2010 19:40
 
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Re:
Polymetis, 11/08/2010 19.23:

Caro BArnabino, non mi sembra di parlare arabo e trovo del tutto inutile ripetermi. Facciamo un esempio: in inglese contemporaneo "gay" vuol dire "omosessuale", ma prima che assumesse questo significato voleva semplicemente dire "felice", infatti tale radice esiste anche in italiano nella parola "gaio". Supponiamo di vivere nel 4000 d.C., dopo una catastrofe nucleare, e che del passato ci restino solo dei lacerti. Uno storico del 4000 d.C., trova un documento americano in cui si dice che "Bertrand Delanoe, Mayor of Paris, is gay." (Bertrand Delanoe, sindaco di Parigi, è XXX."
Supponiamo che una tradizione secolare ricordi il nome di quest'uomo in relazione alle sue battaglie per i diritti dei gay; il problema per questo storico del 4000 d.C. è sarà dunque verificarla, e stabilire se il sindaco di Parigi fosse omosessuale. Così si chiede se il passo stia dicendo "gay" nel senso di "omosessuale" o nel senso di "persona allegra", e anzi, si chiede pure se l'equivoco che fosse omosessuale nasca proprio da un successivo fraintendimento della parola "gay". Questo storico dunque, confronterà le fonti inglesi che gli rimangono, e scoprirà che la parola gay, benché originariamente implicasse solo allegrezza, in seguito diventò prevalentemente connotativa dell'omosessualità, e che passò ad indicare questa condizione proprio perché i gay erano considerati notoriamente allegri, colorati, e inclini a carnevalate (il Gay Pride). Scoprirà poi delle fonti successive che descrivono questo Bertrand Delanoe fidanzato con un uomo.
Questo, fuori di metafora, è ciò che abbiamo nel caso di Gesù: una tradizione bimillenaria, in cui non c'è alcuna incrinatura, dice concordemente che questo stauros sia una croce, in epoca romana tale termine assunse prevalentemente questo significato, e fonti successive, tutte, descrivono e rappresentano Cristo su una croce.
Sempre per stare nella metafora, tu fai parte di un gruppo omofobo del 4000 d.C. che, volendo riscattare Bertrand Delanoe dall'accusa, per loro infamante, di omosessualità, insiste nel dire che "gaio" è un significato più basilare. Questa fuori di metafora è la WTS, che non traduce con "gaio" perché voglia lasciare l’ambiguità se fosse omosessuale o meno, ma anzi traducono con "gaio" proprio per volontà di escludere il secondo significato, cioè gay\omosessuale. Tornando alla metafora, diremo poi che, sebbene questo gruppo traduca in questo modo proprio per escludere che Delanoe potrebbe essere stato gay, un loro adepto, resosi conto della debolezza di questa tesi, si mette a sostenere che mentre tutti i gay sono persone gaie, e dunque i gay\omosessuali sono un sottoinsieme dei gai\felici, tuttavia non è vero il contrario, cioè non tutti le persone gaie\felici sono gay: e dunque è meglio tradurre con gaio per lasciare aperta la possibilità che Delanoe fosse sia semplicemente una persona allegra, sia che fosse gay.
Questo però contraddice tutto quello che il suo gruppo di appartenenza voleva sostenere, cioè di tradurre con “gaio” proprio per escludere che Delanoe fosse gay, e non certo per usare una traduzione che lasci la porta aperta a qualsiasi scelta traduttiva. Fuori di metafora questo sei tu, che non solo stai ragionando fuori dai binari della WTS, ma li stai addirittura contraddicendo.
Ho specificato poi che non esistono traduzioni legittime o sbagliate in sé, perché una parola può significare cose diverse a seconda di chi la pronuncia. Se dunque qualcuno mi dirà che traduce stauros con “palo” perché una parola vale l’altra non essendoci possibilità di sapere come morì Gesù, allora potrò accettare la sua traduzione, se invece, come al WTS, mi dice che traduce con palo proprio perché di palo trattavasi, e non di croce, allora questo sarà un restringimento del campo semantico del termine al pari che tradurre croce.
Non ha nessuna rilevanza il tuo continuare a ribadire che la croce è comunque composta da un palo, perché due pali non sono più un palo ma una croce. La WTS infatti non traduce con palo per comprendere la parola croce, ma anzi, per escluderla. Poco importa dunque se la croce sia fatta di pali singoli, quello che ci interessa storiograficamente è se la traduzione croce sia più probabile di quella palo, cioè su quale dei due sia più probabile che Gesù sia stato crocifisso, e suppongo non ci sia bisogno di dimostrarti che io e tutte le opere antichistiche di questo pianeta concordiamo nel dire che è la croce la più probabile, anzi, a dire il vero l’unica attestata. Tu puoi continuare a scrivere “Perdonami, ma "palo di tortura" non esclude la "croce".” E Io continuerò a metterti accanto Ragioniamo che dice: “Gesù non morì su una croce, morì su un palo” (Ragioniamo p. 85) e Perspicacia che dice “Stauròs non dà affatto l’idea di una “croce” fatta di due pezzi di legno. Significa solo un palo diritto”(p. 472)
Continuare a ripetere le tue eresie non le renderà certo più vere, a meno che tu non pretenda di fare come Goebbels, il quale disse che ripetendo una bugia trenta volte, quella diventava la verità.
La traduzione con palo dunque non vuol includere la croce, anzi, vuole escluderla, e la WTS specifica che i pali non sono croci. (Evidentemente anche loro sanno l’italiano). Se dunque le due traduzioni si escludono a vicenda, occorre vedere quale dei due strumenti sia il più probabile.
E poi, per l’ennesima volta, stauros non fa riferimento a nessun palo, fa semplicemente riferimento a ciò che è piantato per terra. Il fatto che in greco classico questo faccia sì che sia impiegato spesso per pali, mentre in epoca imperiale per croci, dipende dal fatto che le prime opere greche che abbiamo, Esiodo ed Erodoto, parlano della costruzioni di case e di staccionate, non di gente appesa per aria. Per contro in greco di età romana, siccome i greci erano sottomessi ai romani che avevano importato la croce sul territorio di tutto l’impero, questo termine che indica le cose conficcate per terra s’adatto benissimo per descrivere le croci piantate. Se dunque il campo semantico di stauros non coincide con quello di croce, non coincide neppure certamente con quello di “palo” nell’accezione che a questo termine dà la WTS, cioè il palo che proprio in quanto palo non è una croce. In questo Barnabino contraddice la Società.
Ho già ripetuto poi che non ha nessuna rilevanza quali significati possa aver assunto la parola croce nei secoli, esattamente come non ne ha quali significati abbia assunto il fascio littorio. La nostra traduzione deve semplicemente tener conto delle prove storiche e dare una traduzione adeguata a quello che fu. Se dunque la ricerca avrà provato che i romani appendevano per lo più a croci e non a pali, si tradurrà con croce, perché questo era, e non “palo”. Al contrario ostinarsi a tradurre con croce sarebbe un depauperamento del campo semantico del termine di cui gli studi hanno nel frattempo certificato l’accrescimento (al punto che la gente era convinta che la parola sTAUros derivasse da tau). Se i romani introdussero questa nuova forma di esecuzione, cioè la croce, è del tutto legittimo darne conto in traduzione, e rendere i lettori partecipi traducendo con “croce”, come lo studio frequenziale delle occorrenze avrà dimostrato. In caso contrario si farà una cosa disonesta, sottraendo ai lettori l’informazione che i romani, rispetto ai greci, avevano iniziato ad appendere su strumenti di forma cruciforme. Questo è un dato storico, e ostinarsi a tradurre con “palo” significa volerlo negare, depauperare, e in definitiva decidere a priori di non farlo arrivare al pubblico. Se, come è già stato fatto, tutti gli eruditi hanno concordato, sviscerando le fonti che “la crocifissione romana era sensibilmente diversa dal supplizio greco” (Cantarella, p. 192), allora è una violenza storica bella e buona, e non un serio scrupolo filologico, il non voler trasmettere questo dato storico ai lettori, creando degli appiattimenti che non esistono, e non si chiamano le cose col loro nome.
In questo senso “palo” è una traduzione parziale di stauros, e per nulla neutra, ma a differenza di “croce”, che è anch’essa una resa parziale, non s’accorda né con quello che gli studiosi pensano della crocifissione romana, né con qualsiasi fonte che parli della fine di Cristo. Questo è il motivo per cui non c’è nessuna ragione per sostituire il palo con la croce, ma evidentemente c’è chi pensa, nel suo ego mostruoso, di poter sapere meglio dei cristiani dei primi 4 secoli, che coi romani ci vivevano e le crocifissioni potevano vederle coi loro occhi, come fosse fatto uno stauros in epoca romana, e come morì Cristo (dato sul quale TUTTI nel mondo antico, uniformemente, a qualsiasi latitudine geografica e temporale, concordano). Questo significa infischiarsene bellamente di tutte le fonti, e non certo fare della filologia.
Quanto alla domanda di Nevio è pertinentissima. “Signore” è un significato basilare di kyrios, che va bene sia per Geova sia per Gesù, perché dunque connotarlo come Geova visto che la logica traduttiva dovrebbe essere attenersi sempre ad un fantomatico significato basilare e comune? Se si porteranno delle argomentazioni alternative ed extra-semantiche, per le quali quei “kyrios” vogliono in realtà dire "Geova", si è liberissimi di farlo, ma si starà in questo caso adottando una logica diversa da quella che Barnabino pretende di applicare con stauros e la sua traduzione. In questo caso infatti lui rigetta tutte le argomentazioni che vengono da altre vie e pretende di tradurre stauros col suo fantomatico “significato basilare”, scartando tutte le altre fonti che parlano della croce di Cristo, e fissandosi unicamente sull'argomentazione che quello sarebbe, secondo lui, sarebbe il significato basilare di stauros.
Se dunque dovessimo usare il medesimo metodo con kyrios, allora allo stesso modo dovremmo escludere tutte le altre argomentazioni che possano farci pensare che kyrios sia Geova, cioè ignorare tutto quello che viene dalle altre fonti (es. prove papirologiche), e limitarci invece a ribadire testardamente, come un disco rotto, che "Signore" è il significato base di kyrios, il più generico, e che dunque così vada tradotto nel dubbio. Se invece accetteremo altre argomentazioni per dire che kyrios va tradotto con Geova, come quelle che dà Fontaine e che sono extra-semantiche, perché allora Barnabino si rifiuta di discutere il fatto che tutte le fonti antiche, scritte o iconiche, dicono che Gesù morì in croce?

Ad maiora



con il romanzo di come gaio sia diventato gay,( nel tempo si può cambiare [SM=x1408399] ) il poly dimostra di come il palo di Tertulliano che ha un solo legno , e da lui chiamato croce, divenne poi un palo solo a due legni e non a uno, perchè nel tempo le attribuzioni cambiano, Hic! Hic! [SM=x1408403]

Usa la tecnica di ripetere le stesse cose sperando così diventare vere??Ma!!


[Modificato da dispensa. 11/08/2010 20:09]
11/08/2010 20:38
 
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“con il romanzo di come gaio sia diventato gay,( nel tempo si può cambiare ) il poly dimostra di come il palo di Tertulliano a un solo legno , eda lui chiamato croce, divenne poi un palo solo a due legni e non a uno, perchè nel tempo le attribuzioni cambiano, Hic! Hic! “



Caro dispensa, come forse sai io non leggo niente di quello che scrivi, perché non capisco niente di quello che dici. Questa volta tuttavia ho letto il tuo messaggio, perché è di sole due righe, e prima di rendermi conto che fosse tuo, l’avevo già finito. Mi sono accorto che fosse opera tua perché, per l’ennesima volta, non si capisce cosa vuoi dire. La mia storiella serviva a spiegare come un termine possa subire una “speciazione”, cioè, da generico termine che indica ciò che sta stabilmente piantato, divenire la nostra croce. Ma non ho capito nulla di quello che hai detto su Tertulliano, perché lui non parla affatto della croce come un palo ad un solo legno. Si veda questa piccola antologia, annotata nelle parti più difficili:


TERTULLIANO (155- † 230):

1) “Affiggete i cristiani a croci [crucibus] e a tronchi [stipitibus]: c’è forse vostro simulacro che non sia stato prima argilla sovrapposta ad una croce e ad un tronco [cruci et stipiti]? Anche il corpo di un vostro dio riceva la sua prima consacrazione sulla forca [in patibulo].”(Apologetico, XII,2)

2)Parte di una croce è ogni legno, che piantato viene in posizione verticale. Noi, se mai, adoriamo un dio intero (1) e completo” (Apologetico, XVI, 6)

3) “Giuseppe, che era anch’egli figura di Cristo (cf. Gn 37, 12-36), e non solo perche (non voglio dilungarmi) soffrì la persecuzione ad opera dei fratelli per la grazia di Dio così come Cristo la soffri ad opera dei Giudei, suoi fratelli nella carne. Giuseppe dunque viene benedetto dal padre anche con queste parole: “Di toro e la sua bellezza, corna dell’unicorno sono le sue corna, con esse egli getterà in aria le genti fino al termine della terra”(Dt 33,17).In queste parole, l’unicorno non indicava il rinoceronte, né la bestia a due corna Minotauro, ma in lui era significato Cristo, toro per queste due disposizioni, per alcuni feroce in quanto giudice, per altri mansueto in quanto salvatore, le cui corna erano le parti esterne della croce (2). Infatti, anche nella traversa [antemna] che è una parte della croce [quae crucis pars est], le estremità sono chiamate “corna”, e con “unicorno” si intende qui il palo centrale dello stipite (medius stipitis palus).” (Contro Marcione 3,18, 3-4)

4) E soprattutto Mosè, perche invocava Dio tendendo le mani [expansis manibus] solo quando Giosue combatteva contro Amalech? (…) Se non perché la dove combatteva il nome del Signore (=Giosue/Gesu), il nome che poi avrebbe combattuto contro il diavolo, era necessario anche l’aspetto della croce, per mezzo della quale Giosuè avrebbe riportato la vittoria? (Contro Marcione, 3,18, 6)

5) “Si tratta infatti del Tau, la lettera dei Greci che corrisponde alla nostra T, la forma della croce [ crucis].” (Contro Marcione, 3, 22, 6)

6) “Egli dirà: Vuoi tu essere discepolo del Signore? Ebbene, solleva la tua croce e segui il Signore, questo e necessario; segui cioè le tue tristezze, i tuoi tormenti, segui il tuo corpo che ha pur forma della croce (3) del Signor tuo”. (L’ idolatria, XII)

7) “Se fai opposizione sulla forma, quanta poca differenza c’e tra lo stipite della croce e Pallade Attica o Cerere Faria, le quali sono solo un palo rozzo e non lavorato, e che rappresentano un idolo di legno informe? È parte della croce, e anche la più grande, qualsiasi legno fissato in posizione verticale. Ma a noi rimproverate di adorare la croce intera, s’intende con la sua traversa (4), e il suo sedile sporgente. Per questo voi siete assi più biasimevoli, poiché adorate un legno mutilo e incompleto (5), che altri invece adorano completo e assemblato!” (Ad gentes, I, XII, 3-5)

Note:

(1)Si veda l’ultimo testo di Tertulliano riportato in quest’elenco per capire a che cosa allude l’autore. (N.d.R.)
(2) E inutile che tentiate di farvi venire in mente in quale testo veterotestamentario sia presente questa profezia di Cristo (Dt 33,17), perché i biblisti moderni di solito intendono il passo con un'altra punteggiatura e dunque la traduzione proposta da Tertulliano è completamente diversa.
Ad ogni modo non ha nessuna rilevanza se questa profezia veterotementaria esista, bensì cosa Tertulliano creda di leggere in essa, cioè che assomiglia alla figurazione di una croce, in cui “la traversa della croce ha estremità che sono chiamate corna”. Quanto all’immagine usata, Tertulliano crede di leggere la paradossale descrizione di un animale con più corna che si dipartono da un corno unico, cioè unicorno (LXX
monokeros), per questo vi scorge la descrizione della croce, giacché è come se dal palo verticale (lo stipes), partissero due altre corna (le due estremità del patibulum). (N.d.R.)
(3) E caro ai Padri ricordare che quando l’uomo divarica le braccia per pregare assume la forma della croce. (N.d.R.)
(4) La parola definita “traversa” in latino e antemna, termine tecnico del latino navale, di cui si può scoprire il significato su qualsiasi dizionario: “Asta, legata all’albero della nave, cui e fissata la vela” (G. B. Conte, E. Pianezzola, G. Ranucci, Il dizionario della lingua latina, Le Monnier)
Ossia quello che ancora oggi noi oggi chiamiamo pennone o antenna, l’asta orizzontale legata all’albero della nave.
“Antemna, ae: antenna, pennone. Funes qui antemnas ad malos destinabant, le funi che legavano le antenne agli alberi maestri. Cesare, De bello Gallico, XIII, 14,6” (Nuovo Campanini Carboni, Dizionario latino-italiano, italiano-latino, Paravia). (N.d.R.)
(5) L’argomentazione e lapalissiana: ci biasimate perche adoriamo una croce con traversa, ma siete contraddittori perche voi stessi adorate qualcosa che differisce ben poco, cioè idoli che altro non sono che rozzi pali ricoperti, sebbene mutili del braccio orizzontale che ne farebbe croci. Altrove usa la stessa argomentazione: “Quando si adora un legno, poco importa il suo aspetto, essendo la stessa la qualità della materia; poco importa la forma, quando proprio codesto legno sia il corpo di un dio.” (Apologeticum XVI, 5). (N.d.R.)




E comunque non è che gaio sia diventato gay, bensì gay che significava gaio è diventato gay che significa omosessuale.
[Modificato da Polymetis 11/08/2010 20:38]
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Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
11/08/2010 22:02
 
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Polymetis, 11/08/2010 20.38:

Per Dispensa


“con il romanzo di come gaio sia diventato gay,( nel tempo si può cambiare ) il poly dimostra di come il palo di Tertulliano a un solo legno , eda lui chiamato croce, divenne poi un palo solo a due legni e non a uno, perchè nel tempo le attribuzioni cambiano, Hic! Hic! “



Caro dispensa, come forse sai io non leggo niente di quello che scrivi, perché non capisco niente di quello che dici. Questa volta tuttavia ho letto il tuo messaggio, perché è di sole due righe, e prima di rendermi conto che fosse tuo, l’avevo già finito. Mi sono accorto che fosse opera tua perché, per l’ennesima volta, non si capisce cosa vuoi dire. La mia storiella serviva a spiegare come un termine possa subire una “speciazione”, cioè, da generico termine che indica ciò che sta stabilmente piantato, divenire la nostra croce. Ma non ho capito nulla di quello che hai detto su Tertulliano, perché lui non parla affatto della croce come un palo ad un solo legno. Si veda questa piccola antologia, annotata nelle parti più difficili:


TERTULLIANO (155- † 230):

1) “Affiggete i cristiani a croci [crucibus] e a tronchi [stipitibus]: c’è forse vostro simulacro che non sia stato prima argilla sovrapposta ad una croce e ad un tronco [cruci et stipiti]? Anche il corpo di un vostro dio riceva la sua prima consacrazione sulla forca [in patibulo].”(Apologetico, XII,2)

2)Parte di una croce è ogni legno, che piantato viene in posizione verticale. Noi, se mai, adoriamo un dio intero (1) e completo” (Apologetico, XVI, 6)

3) “Giuseppe, che era anch’egli figura di Cristo (cf. Gn 37, 12-36), e non solo perche (non voglio dilungarmi) soffrì la persecuzione ad opera dei fratelli per la grazia di Dio così come Cristo la soffri ad opera dei Giudei, suoi fratelli nella carne. Giuseppe dunque viene benedetto dal padre anche con queste parole: “Di toro e la sua bellezza, corna dell’unicorno sono le sue corna, con esse egli getterà in aria le genti fino al termine della terra”(Dt 33,17).In queste parole, l’unicorno non indicava il rinoceronte, né la bestia a due corna Minotauro, ma in lui era significato Cristo, toro per queste due disposizioni, per alcuni feroce in quanto giudice, per altri mansueto in quanto salvatore, le cui corna erano le parti esterne della croce (2). Infatti, anche nella traversa [antemna] che è una parte della croce [quae crucis pars est], le estremità sono chiamate “corna”, e con “unicorno” si intende qui il palo centrale dello stipite (medius stipitis palus).” (Contro Marcione 3,18, 3-4)

4) E soprattutto Mosè, perche invocava Dio tendendo le mani [expansis manibus] solo quando Giosue combatteva contro Amalech? (…) Se non perché la dove combatteva il nome del Signore (=Giosue/Gesu), il nome che poi avrebbe combattuto contro il diavolo, era necessario anche l’aspetto della croce, per mezzo della quale Giosuè avrebbe riportato la vittoria? (Contro Marcione, 3,18, 6)

5) “Si tratta infatti del Tau, la lettera dei Greci che corrisponde alla nostra T, la forma della croce [ crucis].” (Contro Marcione, 3, 22, 6)

6) “Egli dirà: Vuoi tu essere discepolo del Signore? Ebbene, solleva la tua croce e segui il Signore, questo e necessario; segui cioè le tue tristezze, i tuoi tormenti, segui il tuo corpo che ha pur forma della croce (3) del Signor tuo”. (L’ idolatria, XII)

7) “Se fai opposizione sulla forma, quanta poca differenza c’e tra lo stipite della croce e Pallade Attica o Cerere Faria, le quali sono solo un palo rozzo e non lavorato, e che rappresentano un idolo di legno informe? È parte della croce, e anche la più grande, qualsiasi legno fissato in posizione verticale. Ma a noi rimproverate di adorare la croce intera, s’intende con la sua traversa (4), e il suo sedile sporgente. Per questo voi siete assi più biasimevoli, poiché adorate un legno mutilo e incompleto (5), che altri invece adorano completo e assemblato!” (Ad gentes, I, XII, 3-5)

Note:

(1)Si veda l’ultimo testo di Tertulliano riportato in quest’elenco per capire a che cosa allude l’autore. (N.d.R.)
(2) E inutile che tentiate di farvi venire in mente in quale testo veterotestamentario sia presente questa profezia di Cristo (Dt 33,17), perché i biblisti moderni di solito intendono il passo con un'altra punteggiatura e dunque la traduzione proposta da Tertulliano è completamente diversa.
Ad ogni modo non ha nessuna rilevanza se questa profezia veterotementaria esista, bensì cosa Tertulliano creda di leggere in essa, cioè che assomiglia alla figurazione di una croce, in cui “la traversa della croce ha estremità che sono chiamate corna”. Quanto all’immagine usata, Tertulliano crede di leggere la paradossale descrizione di un animale con più corna che si dipartono da un corno unico, cioè unicorno (LXX
monokeros), per questo vi scorge la descrizione della croce, giacché è come se dal palo verticale (lo stipes), partissero due altre corna (le due estremità del patibulum). (N.d.R.)
(3) E caro ai Padri ricordare che quando l’uomo divarica le braccia per pregare assume la forma della croce. (N.d.R.)
(4) La parola definita “traversa” in latino e antemna, termine tecnico del latino navale, di cui si può scoprire il significato su qualsiasi dizionario: “Asta, legata all’albero della nave, cui e fissata la vela” (G. B. Conte, E. Pianezzola, G. Ranucci, Il dizionario della lingua latina, Le Monnier)
Ossia quello che ancora oggi noi oggi chiamiamo pennone o antenna, l’asta orizzontale legata all’albero della nave.
“Antemna, ae: antenna, pennone. Funes qui antemnas ad malos destinabant, le funi che legavano le antenne agli alberi maestri. Cesare, De bello Gallico, XIII, 14,6” (Nuovo Campanini Carboni, Dizionario latino-italiano, italiano-latino, Paravia). (N.d.R.)
(5) L’argomentazione e lapalissiana: ci biasimate perche adoriamo una croce con traversa, ma siete contraddittori perche voi stessi adorate qualcosa che differisce ben poco, cioè idoli che altro non sono che rozzi pali ricoperti, sebbene mutili del braccio orizzontale che ne farebbe croci. Altrove usa la stessa argomentazione: “Quando si adora un legno, poco importa il suo aspetto, essendo la stessa la qualità della materia; poco importa la forma, quando proprio codesto legno sia il corpo di un dio.” (Apologeticum XVI, 5). (N.d.R.)




E comunque non è che gaio sia diventato gay, bensì gay che significava gaio è diventato gay che significa omosessuale.




Mi sono accorto che fosse opera tua perché, per l’ennesima volta, non si capisce cosa vuoi dire.

E se non si capiva come hai fatto a rispondermi?? [SM=x1408403]

Non hai colto l'ironia delle parole di Tertulliano, la croce incompleta era un dio incompleto, mentre loro almeno adoravano un dio completo; una croce completa. Incompleta, completa ti rendono l'idea che sempre di croce si tratta.
Questo non significando che lo facessero realmente, quello di usare una croce per adorarla come un dio

Se non ci arrivi mentalmente a capire perfino cosa cè dietro le parole di tertulliano in questo passo, io non posso farci niente.

Vorrà dire che per te quando Tertulliano diceva che anche i pagani adoravano gli asini, questo giustificherebbe ai tuoi occhi che i cristiani realmente adoravano anche gli asini.

saluti

[Modificato da dispensa. 11/08/2010 22:03]
11/08/2010 22:05
 
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Re: Capisco bene il ragionamento?
nevio63, 11.08.2010 19:33:

jwfelix, 11/08/2010 18.12:




Non male come tesi [SM=x1408399]



Caro Felix, ma anche cari tutti, non sta a noi interpretare le ragioni possibili del volere di Dio, stabilire noi, ma che presunzione, i canoni della Sua stessa coerenza nei secoli, rispetto a questa o quella problematica dottrinale o pragmatica. Come ci permettiamo di costruire tesi su ragionamenti attribuiti al Padreterno, del tutto arbitrariamente. Se dobbiamo attenerci al certo, secondo un modo di procedere "coi piedi di piombo", perche' mai congetturare sui possibili motivi dell'assoluto non rinvenimento del Tetragramma in nessun manosctitto neotestamentario, proveniente da ogni dove della presenza cristiana antica? Quando ci fa comodo diciamo che Dio ha protetto la sostanziale integrita' della Scrittura, che ci pervenisse per nostro beneficio, e quando ci pare riduciamo Dio a Persona incapace di preservare persino il proprio Sacro Nome nella totalita dei casi, 100%, incredibile, dai tentativi (ipotizzati) di occultamento tra il 1° e 2° secolo. Ma?





caro Nevio, siamo arrivati già a questo? Vabbe, contento tu. Comunque questa non è la discussione che parla del Nome divino. Nel forum ve ne sono tante che ne parlano. Se ci tieni a confrontarti con questo argomento, cerca la discussione e continua di la.

grazie



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"Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all'azione" - Edmund Burke
11/08/2010 22:09
 
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La faccenda dell'adorazione non c'entra niente. Non sto usando Tertulliano per dire che i cristiani adorassero la croce, ma come testimone del fatto che credeva che la croce di Gesù era a due braccia, su questo i testi non lasciano dubbi. Per questo ho chiesto chiarimenti circa la tua frase "il palo di Tertulliano che ha un solo legno , e da lui chiamato croce". Quando mai Tertulliano dice che le croci sono composti da pali di un solo legno?
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Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
11/08/2010 22:36
 
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Re:
Polymetis, 11/08/2010 22.09:

La faccenda dell'adorazione non c'entra niente. Non sto usando Tertulliano per dire che i cristiani adorassero la croce, ma come testimone del fatto che credeva che la croce di Gesù era a due braccia, su questo i testi non lasciano dubbi. Per questo ho chiesto chiarimenti circa la tua frase "il palo di Tertulliano che ha un solo legno , e da lui chiamato croce". Quando mai Tertulliano dice che le croci sono composti da pali di un solo legno?



Lo ha detto lo ha detto,cioè lo fa intendere chiaramente come senso; sei tu che ti rifiuti.

A parte che non comprendi nemmeno l'ironia del gaio che è diventato gay; e ti perdi in queste formalità (ecco perchè ti sfu8gge il senso dele parole di tertullio)non afferrando che mi interessava spuntare solo sul senso preso a prestito dal tuo modello per arrivare alla tua pseudocopertura del cambiamento di attributi, per far apparire fischi per fiaschi.

Quando ti serve, per te vale solo il senso delle parole come si intendevano a quel tempo; quando non ti serve opti per quello corrente di adesso con i nuovi attributi inseriti o cambiati rispetto all'originale.
Troppo comodo.

Ma volermi riprendere pure su questo del gay, mi sa che a furia di innalzarti sulla cattedra, ciò ti ha reso miope.

saluti


12/08/2010 00:01
 
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Caro Polymetis,


Questo, fuori di metafora, è ciò che abbiamo nel caso di Gesù: una tradizione bimillenaria, in cui non c'è alcuna incrinatura, dice concordemente che questo stauros sia una croce, in epoca romana tale termine assunse prevalentemente questo significato, e fonti successive, tutte, descrivono e rappresentano Cristo su una croce



Non ci siamo capiti, a me al momento, non interessa discutere né della forma dello stauros di Cristo né la tradizione bimillenaria su questa forma, ma mi interessa il problema traduttivo, ovvero qualunque forma potesse assumere uno stauros qual è la parola che un traduttore dovrebbe usare per sovrapporsi il più possibile al campo semantico di stauros.

Che la tradizione dica che la forma dello stauros fosse a croce è perfettamente indifferente rispetto alla traduzione, perchè non dobbiamo tradurre la forma di uno stauros in particolare, ma dobbiamo tradurre il significato della parola stauros.


Ho specificato poi che non esistono traduzioni legittime o sbagliate in sé, perché una parola può significare cose diverse a seconda di chi la pronuncia



E a me interessa trasmettere il significato che la parola stauros aveva nel I secolo, e non quello che ha assunto dopo duemila anni di tradizione.


Non ha nessuna rilevanza il tuo continuare a ribadire che la croce è comunque composta da un palo, perché due pali non sono più un palo ma una croce



Invece ha rilevanza, perché uno "stauros" non è composto da un palo ma può sicuramente essere un palo, come due pali o tre pali assemblati assieme, vicersa una croce non può essere un palo, restringendo il campo semantico della parola stauros.

Viceversa traducendo "palo di tortura" si mantengono tutti gli elementi essenziali di stauros (perché certamente uno stauros è costituito da un palo a cui viene appeso, con modalità diverse, il condannato) e non si restringe il campo semantico di stauros dato che non si esclude alcuna forma particolare, che può essere dedotta del cotesto, se il testo è esplicito. Se poi il testo non è esplicito non vi è alcuna ragione di farli dire più di quello che dice, tutt'al più possiamo discuterne come ipotesi, ma non deve entrare nella traduzione.


Se dunque le due traduzioni si escludono a vicenda, occorre vedere quale dei due strumenti sia il più probabile



Ma le due traduzioni non si escludono a vicenda: semmai croce è divenuta inadeguata perché

1. esclude ogni altra possibile forma di staros
2. si è caricata di tradizioni estranee a stauros

Dunque "croce" ad un tempo restringe il campo semantico di stauros e lo travalica, introdicendo nel testo connotazioni inesistenti nel termine greco

viceversa "palo di tortura" rispetta il campo semantico di stauros, poiché l'emento minimo che fa di un oggetto uno stauros non sono due, tre o più pali incrociati, ma un palo verticale a cui con varie modalità viene appeso il condannato. Seppure la forma finale dello stauros è una "croce" rimane sempre un "palo di tortura" a cui il condannato è appeso con un patibulum. Sarà il testo stesso a guidare il lettore alla forma finale, ammesso che sia importamnte indoviduarne una.


E poi, per l’ennesima volta, stauros non fa riferimento a nessun palo, fa semplicemente riferimento a ciò che è piantato per terra



Appunto, e nel caso dello stauros quello che veniva impiantato a terra era, di solito, un palo verticale. Che poi, con il tempo, il condannato vi potesse essere appeso con modalità varie ed eventuali non cambia il senso basilare della parola, il palo verticale a cui è appeso il condannato resta l'elemento essenziale che distingue lo stauros dalle altre condanne.


Se i romani introdussero questa nuova forma di esecuzione, cioè la croce, è del tutto legittimo darne conto in traduzione, e rendere i lettori partecipi traducendo con “croce”, come lo studio frequenziale delle occorrenze avrà dimostrato



Ma allora mi stai dicendo che nel I secolo lo stauros potessere essere solo una croce e pertanto che il campo semantico di stauros sia completamente sovrapponibile a quello dell'italiano croce (cosa in principio avevi negato), identificandolo con una forma piuttosto che una modalità di esecuzione, e dunque un palo verticale non fosse più riconosciuto come stauros.

Non capisco: per te lo stauros nel I secolo indica solo una croce oppure indica anche una modalità di esecuzione in cui un elemento orizzontale era appeso allo stauros stesso, cioè ad un palo verticale?


In caso contrario si farà una cosa disonesta, sottraendo ai lettori l’informazione che i romani, rispetto ai greci, avevano iniziato ad appendere su strumenti di forma cruciforme



Il problema è se semanticamente la forma finale che assumenva lo stauros ha qualche attinenza con il campo semantico della parola che vogliamo tradurre: il traduttore deve rendere una forma particolare che lo stauros poteva assumere o deve tradurre l'elemento essenziale che denota lo stauros?


Questo è il motivo per cui non c’è nessuna ragione per sostituire il palo con la croce



Se la parola italiana croce non trasmette l'elemento essenziale che costitusce lo stauros ma finisce per trasmetterne uno assolutamente accessorio (una forma particolare) per lo più caricato da secoli di tradizione religiosa che nulla ha a che vedere con lo stauros allora il traduttore ha buone ragioni di cercare un'alternativa in un termine più aderente a quello di stauros.

Su YHWH


Quanto alla domanda di Nevio è pertinentissima. “Signore” è un significato basilare di kyrios, che va bene sia per Geova sia per Gesù, perché dunque connotarlo come Geova visto che la logica traduttiva dovrebbe essere attenersi sempre ad un fantomatico significato basilare e comune?



Perché i traduttori della TNM ritengono che in circa 200 passi sia avvenuta una sostituzione, esattamente come per la LXX, del qerè con il ketiv, d'altronde è quello che hanno fatto le Bibbie cattoliche quando traducono YHWH con Signore che in ebraico si rende con Adonai. Per altro non capisco dove sia il problema: Kyrios quando è riferito a Dio non è altro che il qeré di YHWH e dunque un traduttore avrebbe tutti i diritti di tradurlo secondo quel significato, che non è banalmente di "signore" e potrebbe farlo a senso, basandosi sulla sua comprensione del testo, cosa che ogni traduttore fa.

Ma di questo ti prego di discuterne in un 3D a parte, se Nevio vuole.

Shalom
[Modificato da barnabino 12/08/2010 00:17]
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12/08/2010 00:01
 
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Ragazzi, di OT ne ho visti tanti, ma mai come questo.

Qualche admin vuole separare tutto l'OT e lasciare solo la parte iniziale?
12/08/2010 00:16
 
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Prego Nevio di aprire un 3D sul Nome di Dio nel NT.


Se dobbiamo attenerci al certo, secondo un modo di procedere "coi piedi di piombo", perche' mai congetturare sui possibili motivi dell'assoluto non rinvenimento del Tetragramma in nessun manosctitto neotestamentario, proveniente da ogni dove della presenza cristiana antica?



Forse non ci siamo spiegati. A parte che l'ipotesi che il tetragramma sia presente nel NT è molto più che una congettura, perché ci sono delle prove ben chiare della sua presenza, alcuni traduttori rendono Kyrios con il YHWH anche senza ipotizzare alcuna presenza del tetragramma nel NT.

Il fatto è questo, che in certi passi il significato di Kyrios è YHWH proprio perché gli eventuali copisti o scrittori (adesso non ci interessa) avrebbero usato il qerè al posto del ketiv. Ora, anche ammettendo che degli ebrei evessero avuto l'ardire di espugnare il Nome Sacro dalla Torah, quel Kyrios comunque non significa "signore" nel vero senso della parola ma è un sostituto del Nome. Pertanto un traduttore, dovendo tradurre il senso della parola, potrebbe essere comunque in diritto di rendere non con "signore" ma con quello che significava per il lettore del I secolo quando incontrava "kyrios" in quella posizione, cioè YHWH.


Quando ci fa comodo diciamo che Dio ha protetto la sostanziale integrita' della Scrittura, che ci pervenisse per nostro beneficio, e quando ci pare riduciamo Dio a Persona incapace di preservare persino il proprio Sacro Nome nella totalita dei casi



Non capisco cosa stai dicendo: Dio ha protetto il suo nome infatti oggi, nel tempo della fine, si è servito del suo popolo per ripristinarlo.


dai tentativi (ipotizzati) di occultamento tra il 1° e 2° secolo. Ma?



E cosa poteva fare Dio se non guidare i suoi servitori a ripristinarlo laddove per varie ragioni venne sostituito? D'altronde ammettiamo che tu viva tra 900 anni, prendendo in mano la copie incartapecorite della CEI o della NR potresti avere l'impressione che il Nome Divino non fosse presente neppure nell'AT dove invece compare 7000 volte...

Se leggi il libro di Fontaine ti accorgerai che quella dei TdG non è un'ipotesi campata in aria, e ti accorgerai come il Nome possa essere benissimo essere stato sostituito per ragioni storicamente accertabili.

Shalom

[Modificato da barnabino 12/08/2010 00:18]
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12/08/2010 00:29
 
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Re:
Poly:

Per Simon
Simon:


“Allora non colgo il senso della tua argomentazione. Forse hai trovato in giro qualche tdG o qualche "nonnetto" del CD che ha mai affermato che:

patibulum = crux ??"



Poly:

A dire il vero sì. E, tra l'altro, non sbaglierebbe a dirlo, perché quest'identificazione esiste, anche se, come studi lessicologici hanno appurato, è solo dell'epoca tardo-imperiale.



Dunque la prendo come un no, visto che uscirebbe dal periodo di nostro interesse.
Simon:


Il fatto che Plauto, come altri, distingua i due arnesi non prova in alcun modo che il "patibulum" sia parte integrante della "crux".”



Poly:

Sì ma prima si dice che ha portato il patibulum, e poi viene appeso alla croce, allora com’è possibile negare che il patibulm faccia parte della crux? Bisognerebbe ipotizzare che gli abbiano fatto portare il patibulm, e poi l’abbiano mollato lì sul posto, e poi appenderlo ad un palo singolo. Ma questa è una lettura gratuita, contro quella che danno tutti e che si capisce immediatamente.



Mi consenta, signor Poly, cosa è piu’ gratuito: leggere che il patibulum viene attaccato alla crux, come i testi non affermano mai, visto che parlano espressamente del condannato, o supporre che il trasporto del patibulum sia una punizione a sé?
A questo proposito ti faccio notare che circa a metà del secondo atto del “miles gloriosus” (che ai miei tempi soprannominavo “boriosus”) viene detto:
“Credo ego istoc extemplo tibi esse eundum actutum extra portam, dispessis manibus, patibulum quom habebis.”
Senza che si faccia un riferimento immediato ad alcuna “crux”. Se 15 battute dopo si legge: “Noli minitari: scio crucem futuram mihi sepulcrum” è abbastanza evidente l’uso figurato, e non per forza collegato, della “crux” che qui diventa addirittura un “sepulcrum”. Dunque in Plauto stesso abbiamo testimonianza di un trasporto di patibulum inteso come punizione.
Valerio Massimo, che al contrario di Plauto visse ai tempi del Cristo, riferisce di un utilizzo apparentemente separato del “patibulum” (facta ac dicta memorabilia, 9.2):
“cuius iussu principum ciuitatis capita hostiarum capitibus permixta sunt Carbonisque Aruinae truncum corpus patibulo adfixum gestatum est.” In questo caso il cadavere mutilato viene “adfixum” al patibulum, senza che venga menzionata una croce ad esso collegata. Se ne puo’ concludere che il “patibulum” non faceva per forza parte di alcun “mos” né rappresentava in maniera automatica una parta della “crux” ma, se restiamo alla testimonianza dei testi in letteratura per il periodo in esame:
1. viene menzionato in modo indipendente dalla “crux”
2. non viene esplicitamente inchiodato, né legato, né fissato in alcun modo ad alcuna “crux”

Poly:

Sappiamo da altre fonti che c’era un braccio trasversale della croce.



Mi chiedo di quale “croce” tu stia parlando.
Vedi sopra: è altrettanto facile risponderti che “sappiamo da altre fonti che non c’era un braccio trasversale della croce”, anzi per esattezza, della “crux”, non della “croce”.

poly:

Sempre nel secondo secolo, visto che ci siamo dati questo limite cronologico, Tertulliano la descrive così, rispondendo ad un pagano che, sprezzantemente, accusava i cristiani di essere “adoratori della croce”:
“Se fai opposizione sulla forma, quanta poca differenza c’e tra lo stipite della croce e Pallade Attica o Cerere Faria, le quali sono solo un palo rozzo e non lavorato, e che
rappresentano un idolo di legno informe? È parte della croce, e anche la più grande, qualsiasi legno fissato in posizione verticale. Ma a noi rimproverate di adorare la croce intera, s’intende con la sua traversa, e il suo sedile sporgente. Per questo voi siete assi più biasimevoli, poiché adorate un legno mutilo e incompleto, che altri invece adorano completo e assemblato!” (Ad gentes, I, XII, 3-5)

“Sed nobis nobis tota crux imputatur, cum antemna scilicet sua et cum illo sedilis excessu.”



Tre sono le mie obiezioni formulate di getto:
1. Tertulliano scrive alle soglie del III piu’ che nel II.
2. In questa traduzione quelli che Tertulliano chiama “cristiani” si sarebbero messi ad “adorare” addirittura la “crux” di legno con tanto di “antemna” e “sedilis”.
3. A meno di smentite da parte tua, sarebbero interessanti, non troviamo alcuna testimonianza in letteratura di esecuzioni romane con crux, antemna e sedilis.
In breve, Tertulliano scrive queste cose circa 170 anni dopo i fatti, senza far riferimento alle sue fonti. Sarebbe interessante conoscerle.

Simon:

“Samuelsson tratta anche questo occorrenza (Lex Puteoli), ricordando che l'epigrafe manca delle desinenze.”



Poly:

Questo è il testo con le lacune segnate:
“Qui supplic(ium) de ser (uo) seruaue priuatim sumer(e) uolet uti is qui sumi uolet ita supplic(ium) sumet : si in cruc(em) | patibul(ulatum) agere uolet, redempt(or) asser(es) uincul(a)restes uerberatorib(us) et uerberator(es) praeber(e) debeto et | quisq(uis) supplic(ium) sumet pro oper(is) sing(ulis) quae patibul(um) ferunt uerberatorib(us)q(ue) item carnif(ici) HS IIII d(are)d(ebeto).”


Simon:

“Suppongo tu voglia leggere "patibulatum" e non "patibululatum" alla prima occorrenza.



Poly:

Sì, c’è un mio errore di trascrizione, che dovrò correggere. Comunque, anche se mancano le desinenze, il risultato è il medesimo. Alla prima occorrenza di “patibul” le letture possibili sono solo due, cioè “patibulum”(L. Bove) o “patibulatum”(J. Bodel).
Il testo dunque dice “se vuole portare verso la croce il patibulum”, oppure “se vuole portare verso la croce chi è affisso al patibulum”. In entrambi i casi non si vede proprio cosa cambi.


E qui ti sbagli, perché continui ad avere in mente la ricostruzione fantasiosa dei padri e un altrimenti inesistente “mos romanorum”. “Patibulatum” non è deve essere per forza chi è “affisso al patibulum”, ma puo’ anche rappresentare un’espressione piu’ generica per indicare chi è condannato ad una pena capitale, che poteva essere tanto il “patibulum” quanto la “crux”.
Simon:

“Alla seconda si ripresenta lo stesso problema della desinenza: il testo ha "patibul" e non "patibulum", come inferisci tu. “”



Poly:

Anche qui non capisco cosa cambi nel fatto che ad essere trasportato sia il “patibulum” o il “patibulatum”. C’è comunque il quadro già più volte delineato di una persona attaccata da un patibulum che viene condotta in croce, cioè esattamente quello che si suppone abbia fatto Gesù. Al contrario il trasporto di un “palo verticale” poi conficcato per terra non è attestato da nessuna parte.


Come ho detto sopra, non è affatto evidente che la persona sia “attaccata” al patibulum, nè che il “patibulum” sia automaticamente orizzontale, nè che non lo si possa piantare in verticale come un palo qualunque. Vedi gli esempi citata da Valerio Massimo e da Plauto stesso.
Simon:

“2. se era una procedura istituzionalizzata da decenni o addirittura secoli, perchè ritroviamo questa unica occorrenza in letteratura “



Poly:

Ma questa non è letteratura, è un’epigrafe, conservataci grazie all’eruzione del Vesuvio. Quanto al perché abbiamo poche descrizioni della crocifissione in letteratura, e la gente di solito non scenda nei particolari, cosicché dobbiamo raccogliere indizi qua e là, è cosa ultra nota. La crocifissione era considerato il supplizio più orribile ed infamante di tutti, e se gli antichi ne parlano poco è esattamente per lo stesso motivo per cui noi non pulluliamo di descrizioni dettagliate di come sia fatta una sedia elettrica. Scrive Cicerone che persino anche il solo menzionare la parola croce dovrebbe essere bandito: “La semplice parola "croce" dovrebbe esser tenuta molto distante dalla persona di un cittadino romano, ma anche dai suoi pensieri, dai suoi occhi e dai suoi orecchi. Poiché non è solo il verificarsi di tali cose, ma è anche il solo menzionarle che è indegno di un cittadino romano e di un uomo libero". (Rab. Perd. 16)


In realtà, come vedi, Cicerone parlava di “cittadini romani”, notoriamente non di “schiavi” o “pirati” per cui la “crux” (“quam damnatis crucem servis fiera”, Verrine 2.5.12) e il “palus” (“ut consuetudo est universos, ad palum alligasset”, Verrine 2.5.71) erano considerati come una pena tipica ed adeguata.


Poly:

Quindi, come diceva giustamente M. Hengel, ma relativa scarsità delle fonti letterarie sulla crocifissione non è un problema storico ma un problema estetico.
Se la croce è tanto orribile nella mente di un romano che preferisce addirittura non pensarci, è del tutto sciocco aspettarci che di proposito la gente scenda nei particolari a descriverla. Questo invece non è un impedimento che abbia una legge epigrafica, che non può pensare ai sentimenti e al buon gusto ma deve solo ordinare, nella freddezza del suo ruolo di legge, come le cose vadano fatte.


Giustamente, quindi dovremmo ritrovare molte piu’ leggi epigrafiche dettagliate e fredde che narrazioni schifate e riluttanti. Di fatto ne troviamo una, che non concorda nemmeno con quanto stiamo cercando.
Simon:

"Quot supplic magistrat plublic sumet ita imperat quotienscumq imperat
er praestu esse suplicium sumer cruces statuere clavos pecem ceram candel quaeq ad eas res opus erunt reo" etc.
Una ulteriore domanda per il ricercatore è cosa c'entrino la pece, la cera e le candele in questo "rito istituzionalizzato", visto che sembra trattarsi di un unicum tra le descrizioni in nostro possesso, nè si accorda in alcun modo con la scena del Golgota.”



Poly:

Non vedo come queste ulteriori righe potrebbero cambiare la scena descritta prima, semmai aggiungono delle torture. A questo proposito c’è chi ha detto che la pece e le torce servano semplicemente a torturare il condannato con dei ferri roventi. C’è chi invece, come P. De Martino, integra l’incipit del testo così “Quot(iens) supplic(ium) magistrat(us) public(e) sumet”, e ne deduce dunque che il testo non stia più solo parlando di crocifissione ma inizi ad introdurre altri supplizi.


Infatti la descrizione dovrebbe essere molto piu’ chiara, e lo sarebbe stato, se si fosse davvero trattato di un “mos” diffuso e concordante, invece che un unicum.
Simon:


“ Infine, sulla forma specifica della "crux" tace completamente. “



Poly:

Vediamo anche qui che viene trasportato il patibulum fino alla croce. Fare 2+2 è così difficile?
Al contrario, da nessuna parte si dice inequivocabile di un trasporto del palo verticale.


Nuovamente il tuo ritornello, che in realtà una mera speculazione: non il patibulum ma il condannato viene trasportato, né il patibulum, ma semmai il condannato, viene attaccato alla “crux”. Chi, come te, fa 2+2, ha molta fretta di arrivare a fare 4, pur senza averne i numeri.
Simon:


“Magari cosi' ti piace di piu': tradurre "crux" con "croce" e "cruci figere" con "crocefiggere" è sempre sbagliato per testi del periodo in questione, a meno che il testo specifico non riporti ulteriori dettagli sul tipo di esecuzione e sulla forma dell'oggetto. “



Poly:

Ma perché? Questa frase ha senso solo se tu voglia a priori negare che nei primi 2 secoli stauros e crux si siano mai riferiti ad un oggetto cruciforme.
Ma come si fa a sostenere una castroneria simile? Ecco ad esempio come scrive nel II secolo Luciano, il quale ci fa sapere che la forma della croce era quella di una tau, e che addirittura la gente s’era convinta che la parola sTAUros derivasse il suo nome da quella lettera:


Se Luciano descrivesse una punizione capitale effettiva, in cui descrive il modo di comporre lo “stauros” e di attaccarci il poveretto, allora il suo testo sarebbe pienamente rilevante. Ma cosi’ non è. Qui non stiamo parlando, lo ripeto, visto che tendi a scordartene, dell’ipotetica forma che uno “stauros” o una “crux” potevano assumere, ma della forma che effettivamente assumevano durante le esecuzioni citate in letteratura. Se il numero di fonti a favore di una “croce” fosse maggioritario e la procedura standardizzata, allora si avrebbe pieno diritto a parlare di “mos romanorum”.
Se invece stiamo ai testi che abbiamo, troviamo altro.
Simon:

“Vedi sopra. Che "crux" e "stauros" indicano vari strumenti di supplizio è chiarissimo, o dovrebbe esserlo, ai ricercatori. Ma quello che tu affermi, e cioè "indicano un qualsiasi strumento di supplizio" è palesemente falso”



Poly:

Non intendo un “qualsiasi strumento di supplizio” in senso lato, come se il termine si potesse applicare alla decapitazione. Sto ovviamente parlando di qualsiasi strumento cui si venga appesi. In questo caso indicherebbe sia pali che croci, ma allora perché preferire la traduzione “palo”, che è altrettanto definitoria di una forma quanto “croce”?


Il palo è da preferirsi in quanto forma piu’ tradizionale di punizione buona per vari tipi di sospensione, di impalamento e di impiccagione. Come ho detto, è la descrizione data dagli specifici autori nei singoli testi a far propendere per una scelta piuttosto che un’altra, nessuno di noi possiede la sfera di cristallo.

Simon:


“ Di caso in caso, secondo l'autore o l'occorrenza specifica si procederà ad una scelta traduttiva. “



Simon:

E se il testo non dice nulla? Perché mai si dovrebbe tradurre con palo?


Se il testo non dice nulla è meglio che il ricercatore utilizzi formule neutre: sospendere è certo meglio di crocefiggere o di impalare.
Poly:

Questo parte ancora una volta dal vostro presupposto, rigettato da tutta l’accademia, che non esista un mos romanorum. I tdG avrebbero dovuto dire “noi traduciamo con palo, ma non sappiamo”, e invece hanno detto: traduciamo con palo, perché era un palo e non una croce.
In questo caso si espongono alla necessità di provare quello che dicono.


Di nuovo torno a ricordarti che non stiamo parlando del Golgota e dello stauros del NT ma di un “tuo” supposto “mos romanorum”, che per prima cosa dovrebbe essere attestato negli autori latini, non altrove.
Poly:

Chi traduce con croce invece, oltre all’unanime consenso del mondo accademico, si poggia sul fatto che chiunque abbia descritto lo stauros di Gesù o l’abbia raffigurata l’ha sempre descritta come una croce. Questo è quello che ha detto anche il grande biblista Larry Hurtado nel suo blog commentando questa tesi di laurea: “Samuelsson’s thesis came up earlier in some comments on my “Staurogram” posting. I haven’t read it myself, but from reviews it appears much more modestly significant than the press reports make it. Essentially, I take it, a philological study of some key words, in which he contends that a variety of instruments could be referred to as a “cross” (Greek: stauros). We already knew that, so it’s not clear what he’s discovered. It’s also not clear whether he takes account of other data, such as the 2nd century Christian references to Jesus’ cross as T-shaped (e.g., Epistle of Barnabas).”
Non si capisce che bisogno ci sia di tradurre con palo se tutte le descrizioni più antiche di questa croce datate all’epoca dell’impero romano, e dunque scritte da gente che una croce sapeva com’era fatta, parlano proprio di una croce e non di un palo.


Torno a ripeterlo, qui non stiamo parlando di “quella” croce, ma del presunto “mos romanorum”.
Simon:

“nche se non la rappresento, concordo con la scelta della WTS. Una deviazione dal significato storicamente attestato di "palo", valido sia per lo "stauros" che per la "crux", deve essere dimostrato. “



Poly:

Ma non è una deviazione, è un significato che il termine assunse, e questo è indubbio. Sempre dal II secolo, Giustino così descrive la croce e la sua forma: ““Il fatto poi che fosse ordinato che quell'agnello dovesse essere completamente arrostito [si
riferisce all'agnello pasquale ebraico, N.d.R.] era simbolo della passione di croce che Cristo doveva patire. Infatti l’agnello che viene arrostito si cuoce in una posizione simile alla forma della croce (stauros), poiché uno spiedo diritto viene conficcato dalle parti inferiori alla testa, e uno messo di traverso sul dorso e vi si attaccano le zampe dell'agnello.” (Dialogo con Trifone, 40,3).


Di nuovo, devo ricordarti che non stiamo parlando dell’eventuale “stauros” del Cristo, ma del “mos romanorum”. Giustino non mi pare riporti alcun caso dettagliato di esecuzione romana, a mia conoscenza.

Simon:

“Finora non hai prodotto testi che lo dimostrano: Plauto non parla di "crux" di due pezzi nè la "lex Puteoli" autorizza con certezza a pensarlo. “




Poly:

Invece l’ho già fatto, e comunque, anche se lo facessi, c’è il piccolo problema che tu non hai le competenze per valutare quello che scrivo: hai già deciso, contro tutto il mondo accademico, andando a simpatia.


Torni ai toni forti, adesso arriviamo a “tutto il mondo accademico”. Il “mondo accademico” è buono come fonte secondaria, ma quella primaria sono i dati. Stiamo faticosamente cercando di analizzare quelli, che dovrebbero dimostrare, con molta piu’ autorità del “mondo accademico”, la presenza o l’assenza di un eventuale “mos”.
Simon:

“Vedo che ti diletti a leggere tra le righe.
Se un ricercatore non ha informazioni dovrebbe limitarsi a fare delle supposizioni ("educated guess") piuttosto che spacciare al popolo delle verità fasulle. “



Poly:

Ah sì? E da dove avete tirato fuori dunque che sia mai stato portato un palo verticale, e che poi sempre quel palo sia stato piantato per terra? Nessuna fonte descrive nessuno di questi due passaggi, eppure i TdG e la loro letteratura li danno per certi. Al contrario finora si sono solo visti passi in cui si dice che è il patibulum ad essere portato verso la croce.


Piu’ esattamente: i passi dicono che il patibulum poteva essere portato verso la crux (non la “croce”, come ti ostini a dire) e niente sappiamo della forma effettiva della crux stessa.
En passant, visto che non stiamo parlando di quello: che sia stato portato un palo (verticale od orizzontale lascio a te disquisirlo, visto che si tratta di un trasporto) è pressoché certo, visto il peso di una eventuale “croce” completa. Tutto il resto è immaginazione tua e dei tuoi simili: il testo parla esplicitamente solo di quel palo, ergo noi tdG ci fermiamo al testo, non diamo per certo niente.

Simon:

“Ho detto, e lo ripeto, che "crux" non va tradotto "croce" e "cruci figere" non va tradotto "crocefiggere" perchè si tratta di una scelta palesemente errata”



Poly:

E come ripeto io una frase del genere si Giustifica solo se qualcuno vuole sostenere che i romani non hanno mai usato croci a due braccia. Se infatti si ammette che le abbiano usate, cosa renderebbe impossibile tradurre “cruci figere” con “appendere alla croce”?
E dunque, lo richiedo: come chiamavano i romani quelle croci che vediamo raffigurate nella Taberna di Pozzuoli e nel graffito del Palatino? Se le chiamavano crux, allora crux, contro quello che dici, può anche voler dire croce. Se invece non le chiamavano crux, allora come le chiamavano?

Bene, è ora di pranza. Constato che anche oggi ho perso una mattina inutilmente rispondo alle discussioni di questo forum, mi auguro veramente che una cosa del genere non si ripeta più perché sono impegnatissimo in un serrato otium letterario. Se non saltano fuori delle obiezioni nuove questa discussione per me è chiusa, non credo che sia utile per nessuna delle due parti. Vediamo ora cosa mi risponderanno Spener e The Line prima di decidere se valga la pena di replicare.

Ad maiora



Sarà l’ora di pranzo o sarà il tuo oziare, ma io constato la tua scorrettezza nel citare le mie affermazioni mutilandole a tuo piacimento.
Io infatti ho affermato:

Simon:

Ho detto, e lo ripeto, che "crux" non va tradotto "croce" e "cruci figere" non va tradotto "crocefiggere" perchè si tratta di una scelta palesemente errata, salvo chiarificazioni interne al testo specifico.


E mi ritrovo citato da te in questo modo:
Simon:

“Ho detto, e lo ripeto, che "crux" non va tradotto "croce" e "cruci figere" non va tradotto "crocefiggere" perchè si tratta di una scelta palesemente errata”



Se hai scambiato i miei post per un tipo di oziare, allora ti invito caldamente a restare all’ancora in lidi a te piu' propizi meno burrascosi.
Simon
[Modificato da (SimonLeBon) 12/08/2010 00:30]
12/08/2010 11:32
 
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“Mi consenta, signor Poly, cosa è piu’ gratuito: leggere che il patibulum viene attaccato alla crux, come i testi non affermano mai, visto che parlano espressamente del condannato, o supporre che il trasporto del patibulum sia una punizione a sé? “



Ma né io né gli studiosi di crocifissione romana negano che la pena del trasporto del patibulum sia nata come pena “a sé”. Questo è quello che ad esempio scriveva Leolaia nel pdf da me linkato: “La pena del trasporto del patibulum, durante la quale uno schiavo era frustato e condotto attraverso la città, era praticata nell’epoca pre-repubblicana ed era il diretto antenato della parte del rituale della crocifissione nel quale la vittima trasportava la propria croce (cioe il braccio trasversale della croce). Non sempre precedeva l’esecuzione; era spesso usata con l’unico scopo di umiliare. E questo pezzo di legno che nei secoli successivi diventerà il braccio orizzontale della croce
romana. La crux compacta giunge all’esistenza quando la crocifissione fenicia viene fusa con la preesistente punizione del trasporto del patibulum. Da quel momento la punizione degli schiavi fuggitivi non fu piu solo essere costretti a sfilare attraverso la città aggiogati ad un patibulum, ma anche l’ essere appesi su di esso.” (p. 7)
Quindi non stai dicendo niente di nuovo o che gli studiosi non abbiano già considerato, ma, per l’appunto, questa pena del trasporto del patibulum è ciò che, quando il rituale finiva con una condanna a morte, creava una croce.


“A questo proposito ti faccio notare che circa a metà del secondo atto del “miles gloriosus” (che ai miei tempi soprannominavo “boriosus”) viene detto:
“Credo ego istoc extemplo tibi esse eundum actutum extra portam, dispessis manibus, patibulum quom habebis.”
Senza che si faccia un riferimento immediato ad alcuna “crux”. Se 15 battute dopo si legge: “Noli minitari: scio crucem futuram mihi sepulcrum” è abbastanza evidente l’uso figurato, e non per forza collegato, della “crux” che qui diventa addirittura un “sepulcrum”. Dunque in Plauto stesso abbiamo testimonianza di un trasporto di patibulum inteso come punizione. “



Non si capisce cosa dovrebbe dimostrare questa citazione. Non è certo una prova che sia esistita una pena del trasporto del patibulum a prescindere dalla crocifissione (cosa che per altro nessuno nega), e la ragione la dici tu stesso, in seguito Plauto dice poche righe dopo che la sua tomba sarà la croce, cioè che andrà a morire lì. Non si capisce cosa cambi il fatto che sia qualche riga dopo, e che la croce viene definita sepolcro (il che è banalmente un modo per dire che vi morirà sopra). E comunque, esattamente come nel frammento della Carbonaria, questo è esattamente lo stesso rituale usato per Cristo. Si fa passare per la città il condannato fissato ad un patibulum, e lo si conduce fuori dalla città per giustiziarlo. Il tutto è identico a quanto avviene per Cristo, e questo perché fuori dalle città c’erano dei luoghi predisposti con dei pali già piantati per terra, sui quali veniva poi issato il patibulum. Questo posto a Roma era nella piazza Sestertium, fuori dalla porta Martia o Esquilina (Tac. Annal. II, 32; XV, 60, XIV, 33; Plut. Galb. 9; Plaut. Pseudol. I, 3; V, 98)
La frase di Plato da te citata, allude proprio a questa esecuzione capitale su croce che veniva fatta “fuori porta”, e a cui anche la Carbonaria aveva accennato: “Credo ego istoc extemplo tibi esse eundum actutum extra portam, dispessis manibus, patibulum quom habebis. » “Ecco questa e la posizione giusta, proprio cosi, a braccia aperte, finirai in croce fuori la porta della città” (Lett: le mani distese e inchiodato al npatibulum)≫ (Miles Gloriosus, 359-360).


“Valerio Massimo, che al contrario di Plauto visse ai tempi del Cristo, riferisce di un utilizzo apparentemente separato del “patibulum” (facta ac dicta memorabilia, 9.2):
“cuius iussu principum ciuitatis capita hostiarum capitibus permixta sunt Carbonisque Aruinae truncum corpus patibulo adfixum gestatum est.” In questo caso il cadavere mutilato viene “adfixum” al patibulum, senza che venga menzionata una croce ad esso collegata”



E cosa dovevano farci, visto che era già morto? Questo passo non è quello che cerchi, perché non descrive una punizione, ma l’esposizione di un cadavere, mutilato, fatto per la città attaccato ad un patibulum. Non c’è dunque alcun rituale della crocifissione in questo passo perché non c’era più nessuno da crocifiggere.


“1. viene menzionato in modo indipendente dalla “crux”
2. non viene esplicitamente inchiodato, né legato, né fissato in alcun modo ad alcuna “crux” “



Quanto al punto uno, nessuno l’ha mai negato, quanto al punto due, la cosa è alquanto semplice: le fonti ci descrivono il prodotto finale come cruciforme (Tertulliano, Luciano, Artemidoro, ecc.), ergo visto che vediamo descritto che c’è della gente che portava il patibulum fino alla croce, ne abbiamo dedotto che la barra trasversale di questa croce fosse il patibulum che costoro avevano portato fin là. Al contrario, da nessuna parte si parla di un trasporto del palo verticale fino al luogo dell’esecuzione.


“Vedi sopra: è altrettanto facile risponderti che “sappiamo da altre fonti che non c’era un braccio trasversale della croce”, anzi per esattezza, della “crux”, non della “croce”. “



Vorrei tanto sapere se tu credi che tutto il mondo accademico sia composto da scemi, e dunque non si siano già contate le occorrenze in cui è inequivocabile che fosse un solo palo, confrontandole con quelle in cui è inequivocabile che c’era una croce. Prova ad indovinare il numero, poi ti dico la risposta.



“re sono le mie obiezioni formulate di getto:
1. Tertulliano scrive alle soglie del III piu’ che nel II.
2. In questa traduzione quelli che Tertulliano chiama “cristiani” si sarebbero messi ad “adorare” addirittura la “crux” di legno con tanto di “antemna” e “sedilis”.
3. A meno di smentite da parte tua, sarebbero interessanti, non troviamo alcuna testimonianza in letteratura di esecuzioni romane con crux, antemna e sedilis.
In breve, Tertulliano scrive queste cose circa 170 anni dopo i fatti, senza far riferimento alle sue fonti. Sarebbe interessante conoscerle. “



Pronto… Terra chiama Simon!! Cosa vuol dire che “Tertulliano non fa riferimento alle sue fonti”? La fonte è lui stesso, i suoi occhi. È nato nel 155 d.C., coi romani ci ha vissuto, le loro crocifissioni (abolite solo nel IV secolo) le ha viste. Sei tu che, non si sa in base a cosa, pensi di sapere meglio di lui che coi romani ci viveva com’è fatta una croce. Tertulliano dice che il palo verticale è parte di una croce, mentre quella intera è fatta di palo e traversa, che lui chiama antemna (cioè il pennone delle navi). Questo a proposito della standardizzazione progressiva del significato di crux verso una forma precisa di cui parlavo…


“1. Tertulliano scrive alle soglie del III piu’ che nel II. “



L’Ad Nationes è del 197 d.C., ergo II secolo. Ma comunque è irrilevante. Tertulliano è nato nel 155 e morto nel 230 ca. quindi è un uomo del II secolo, giacché ha vissuto più tempo nel II che nel III. Poteva sapere meglio di te com’è fatta una croce, o sbaglio?


“2. In questa traduzione quelli che Tertulliano chiama “cristiani” si sarebbero messi ad “adorare” addirittura la “crux” di legno con tanto di “antemna” e “sedilis”. “



Beh, guarda, questo è un problema per i TdG, non certo per i cattolici. Noi infatti la croce la adoriamo, anche se non in realtà adorando la croce intendiamo dire che adoriamo chi ci è appeso sopra (adorazione relativa). Comunque, il brano in realtà non può essere usato per dire che i cristiani adorassero la croce. Tertulliano nel brano dice semplicemente che i cristiani sono accusati di stoltezza perché adorano l’ignominiosa croce, al che ribatte: ma anche voi adorate dei pezzi di legno, dei pali, dunque adorate la croce come noi, solo che noi adoriamo la croce completa con la sua traversa, voi invece un palo mutilo. Lo schema dell’argomentazione fa semplicemente il verso all’accusa pagana, e non si può ricavarne in alcun modo che Tertulliano stia davvero dicendo che i cristiani adorano la croce, anche perché, senza precisare in che senso adorano la croce, la cosa sarebbe eretica.


“A meno di smentite da parte tua, sarebbero interessanti, non troviamo alcuna testimonianza in letteratura di esecuzioni romane con crux, antemna e sedilis. “



Scusa ma non ho capito la domanda. Cosa vuol dire che non troviamo traccia in letteratura di esecuzioni con crux, antemna e sedilis? Vedi, è la prima parola che non capisco. Come fai a dire che non ci sono esecuzioni romane con crux? Quanto agli altri due termini, antemna è semplicemente un termine che indica il pennone che interseca l’albero maestro di una nave, e s’è conservato tale e quale in italiano. Tertulliano lo usa per chiamare il braccio trasversale della croce. Scrive altrove: “Infatti, anche nella traversa (antemna) che fa parte della croce (quae crucis pars est), le estremità sono chiamate “corna”, e con “unicorno” si intende qui il palo centrale dello stipite (medius stipitis palus).” (Contro Marcione 3, 18,3-4)
Quanto al sedile, abbiamo qualche testimonianza, entrambe del II secolo:

La parte piantata nel mezzo, sui cui poggiano coloro che vengono crocifissi, sporge come un corno e va quindi vista anch’essa come un corno foggiato e fissato come gli altri corni.” (Giustino, Dialogo con Trifone, 91)

“La forma della croce ha cinque punte68 ed estremità, due nella lunghezza, due nella larghezza, e una nel mezzo, la dove si posa colui che vi e confitto”. (Ireneo di Lione, Contro le eresie, 2,24,5)


“E qui ti sbagli, perché continui ad avere in mente la ricostruzione fantasiosa dei padri e un altrimenti inesistente “mos romanorum”.”



I Padri non hanno bisogno della fantasia per ricostruire come si veniva crocifissi. La pena della croce infatti fu abolita solo nel IV secolo e dunque essi potevano vedere crocifissi quando volevano.


““Patibulatum” non è deve essere per forza chi è “affisso al patibulum”, ma puo’ anche rappresentare un’espressione piu’ generica per indicare chi è condannato ad una pena capitale, che poteva essere tanto il “patibulum” quanto la “crux”. “



Ho guardato su due dizionari, il Calonghi-Badellino (che è il migliore in circolazione) e il Campanini-Carboni, in aentrambi i casi l’unica accezione riportata è “attaccato, affisso al patibolo”. Non so dunque a che occorrenze ti riferisci quando dici che può indicare un generico essere condannato ad una pena capitale.


“ome ho detto sopra, non è affatto evidente che la persona sia “attaccata” al patibulum, nè che il “patibulum” sia automaticamente orizzontale, nè che non lo si possa piantare in verticale come un palo qualunque. “



Scusa ma qui ti stai contraddicendo, perché per l’appunto così facendo staresti dicendo che patibulum può essere sinonimo di crux, cioè qualcosa piantato in verticale, mentre avevi escluso di voler portare avanti questa sinonimia o che qualcuno in questo forum l’abbia mai sostenuta. Al che io ti ho risposto che invece qualcuno provò a sostenerla. Il problema e stato studiato da G. Serbat nel suo Les derives nominaux latins à suffix médiatif, Paris, 1975, pp. 54-58 e questa confusione e tardo-antica, non riguarda le fonti che
stiamo analizzando.
Comunque, il patibulum è orizzontale per la banalissima ragione che è il nome della sbarra orizzontale che si usa per chiudere le porte, e che, quando veniva tolta, faceva sì che la porta “patebat” (cioè si apriva). Qualsiasi dizionario etimologico della lingua latina ti dirà che il termine patibulum viene infatti dal verbo “pateo” (essere aperto), e dunque un oggetto che serve a stendere, un “estensore". Nel nostro contesto era la barra
orizzontale cui si legava il condannato, per impedirgli di difendersi dai colpi delle fruste, mentre lo si conduceva in processione, a volte fino al luogo dove avrebbe dovuto essere crocifisso, a volte come semplice punizione per umiliare.


“Vedi gli esempi citata da Valerio Massimo e da Plauto stesso. “



Ma nessuno dei due esempi parli di patibula in contesto penale che siano in verticale o piantati per terra.


“In realtà, come vedi, Cicerone parlava di “cittadini romani”, notoriamente non di “schiavi” o “pirati” per cui la “crux” (“quam damnatis crucem servis fiera”, Verrine 2.5.12) e il “palus” (“ut consuetudo est universos, ad palum alligasset”, Verrine 2.5.71) erano considerati come una pena tipica ed adeguata. “



Non hai capito nulla, non ho detto che Cicerone stia dicendo che il supplizio della croce non sia da applicare a nessuno, ho detto che dice che esso non solo deve stare lontano dal corpo dei romani (cioè i cittadini non vanno crocifissi), ma per di più deve stare lontano anche dalla sua mente, dagli occhi, dalle orecchie. Vale a dire che faceva loro così schifo che, banalmente, non ci vogliono neppure pensare né parlarne, è sentirne parlare. È per questo che la letteratura è scarna di occorrenze, sarebbe come aspettarsi una precisa descrizione della degenza di un appestato in un lazzaretto.


“Giustamente, quindi dovremmo ritrovare molte piu’ leggi epigrafiche dettagliate e fredde che narrazioni schifate e riluttanti. Di fatto ne troviamo una, che non concorda nemmeno con quanto stiamo cercando. “



Temo che tu non abbia idea di come ci siano arrivate le fonti antiche (il dramma di non aver frequentato un liceo classico!). Le fonti epigrafiche in materia di legge romana “comunale” sono rarissime, se queste ci sono arrivate è banalmente grazie al Vesuvio che ce le ha conservate sotto una coltre di materiale eruttivo. Questa legge comunque concorda con la crocifissione di Cristo. Apprendiamo che era il patibulum ad essere trasportato,che la persona che lo porta va fustigata mentre cammina, e che questo patibulum veniva portato sino alla croce. Dunque questa è una testimonianza di un patibulum portato fino alla croce, quanto ai pali verticali portati fino alla croce invece non c’è traccia né qui ne altrove. E a chi volesse replicare che non c’è scritto che il patibulm venga attaccato alla croce, si replicherà che è altrettanto certo che in nessuna fonte si descrive che l’ipotetico palo verticale portato dal condannato sia poi piantato sul posto dai carnefici sul luogo dell’esecuzione: questo invece è esattamente quello che secondo i TdG è successo con Gesù. Se per ipotesi non c’è una fonte in cui il patibulum venga attaccato alla croce, allora si dirà che non c’è neppure una sola fonte in cui i romani si mettano a piantare qualcosa sul luogo della crocifissione. Dunque la cosa più semplice è asserire che il patibulum venisse issato su un palo già piantato per terra (questo è stato dedotto sia dal fatto che sappiamo che i pali stavano già piantati sul luogo dell’esecuzione, sia dall’uso dei verbi, come in crucem excurrere, che danno l’idea di qualcosa che ascenda alla croce).


“Infatti la descrizione dovrebbe essere molto piu’ chiara, e lo sarebbe stato, se si fosse davvero trattato di un “mos” diffuso e concordante, invece che un unicum.”



Guarda che la poca chiarezza è dovuta al tempo che cancella le lettere, e alle abbreviazioni romane: sia che questa pratica fosse diffusa, sia che non lo fosse, essa ci sarebbe arrivata nelle medesime condizioni di non eccellente leggibilità. Inoltre, per nessuna cosa del genere ci si può attendere molte fonti, epigrafiche o meno.


“ che in realtà una mera speculazione: non il patibulum ma il condannato viene trasportato, né il patibulum, ma semmai il condannato, viene attaccato alla “crux”



Invece è il patibulum ad essere portato, sia che leggiamo con L. Bove “patibulum”, sia che leggiamo come J. Bodel “patibulatum”, in caso contrario aspetto attestazioni in cui “patibulatum”, che è un derivato patibulum, non si riferisca all’essere attaccati al patibulum.


“Se Luciano descrivesse una punizione capitale effettiva, in cui descrive il modo di comporre lo “stauros” e di attaccarci il poveretto, allora il suo testo sarebbe pienamente rilevante”



Ma è esattamente quello che fa: “Dicono infatti che i tiranni, lasciandosi attirare dal suo corpo (σώματι φασὶ ἀκολουθήσαντας ) ed imitando la sua figura (μιμησαμένους αὐτοῦ τὸ πλάσμα ), mettono insieme due legni in questa forma (σχήματι τοιούτῳ ξύλα) e vi crocifiggono (ἀνασκολοπίζειν) la gente.” (Lis Consonantium, 12).

Come si vede qui Luciano dice che i tiranni, similmente alla figura del tau, mettono insieme dei legni (al plurale) a formare lo schema che è uguale a quello della lettera, e vi mettono la gente sopra. Questo brano ci dice anche che era la forma più comune, al punto che la gente si era convinta che l’etimo di stauros fosse la lettera tau (e in effetti, come ho potuto io stesso verificare, questa opinione è diffusa in Grecia ancora oggi).
Si tratta dunque di raccogliere gli indizi che abbiamo: la forma più diffusa era la croce, sappiamo che la gente trasportava un qualcosa sul luogo dell’esecuzione, ergo il dilemma è se abbiano portato la barra orizzontale o il palo verticale. La prima ipotesi, a differenza della seconda, è attestata qualche volta, e la seconda ipotesi poi, il palo verticale trasportato dal crucifer, è da scartare perché 1)nessuna fonte descrive che lo stipes sia mai stato portato, 2) in quel caso i romani avrebbero dovuto piantarlo nel terreno ogni volta. 3)Da altri fonte sappiamo che, almeno in certi posti, c’erano dei pali già piantati per terra.
Questo è il quadro generale che ha fatto ricostruire la pratica di un mos romanorum quando si parla di crocifissioni.


“ui non stiamo parlando, lo ripeto, visto che tendi a scordartene, dell’ipotetica forma che uno “stauros” o una “crux” potevano assumere, ma della forma che effettivamente assumevano durante le esecuzioni citate in letteratura.”



Per l’appunto. Io ho citato alcune fonti in cui è inequivocabile che sia una croce, vorrei tanto sapere quali sono quelle riferite ai romani in cui sarebbe inequivocabile che una crux\stauros di cui si parla nel testo sarebbe un palo.


“Se il numero di fonti a favore di una “croce” fosse maggioritario e la procedura standardizzata, allora si avrebbe pieno diritto a parlare di “mos romanorum”. “



Temo che gli studiosi abbiano già risposto a questa domanda.
Facciamo un altro esempio di mos romanorum. Ho visto dall’index della tesi di Samualsson on-line che anch’egli stratta di Artemidoro di Daldi, e dunque sono curioso di sapere cosa ne pensa delle occorrenze di stauros in quest’autore. Questo autore infatti ci dà la prova che stauros in greco si riferiva tanto alla croce finale, quanto al solo patibulum trasportato. Infatti scrive:
“La croce (ὁ σταυρὀς) infatti corrisponde alla morte, e chi sarà inchiodato su di essa prima deve portarla (πρότερον αὐτὸν βαστάζει). (Artemidoro di Daldi, Oneirocritica 2.56; scritto nel II secolo d.C.)

Esattamente come nei Vangeli, Artemidoro dice che si porta uno stauros, e si viene inchiodati a quel medesimo stauros.
Qual è lo stauros che viene trasportato? Suppongo che un TdG risponderebbe “il palo verticale”. Ma questo è falso. Se andiamo a vedere cosa Artemidoro intendeva per stauros, vediamo che lo concepiva senza dubbio come una croce a due braccia. Scrive infatti nella medesima opera:
“Venire crocifissi e buon segno per tutti i naviganti, in quanto la croce e fatta di legni (ξύλων) e di chiodi come la nave, e l’albero maestro di questa e simile ad una croce” (ἡ κατάρτιος αὐτοῦ ὁμοία ἐστὶ σταυρῷ)". (Artemidoro, Oneirocritica 2.53).



Non solo Artemidoro ci dice che la croce è fatta di “legni” (plurale), e dunque sono due, ma per di più ci dice che è come l’albero maestro di una nave, in cui il pennone, intersecandosi con l’albero, forma una croce. Questo ci dimostra qual era l’immagine della croce che la gente aveva in testa, e dunque, indirettamente, ci prova qual era la forma più frequente. Se la forma più frequente fosse stata un palo infatti, Artemidoro non avrebbe potuto proporre ai suoi lettori quest’associazione: essa si basa sul fatto che, alla base, c’è l’idea condivisa di uno stauros a forma di croce. Similmente se i Padri della Chiesa possono ricercare nella natura segni cruciformi e dire che simboleggiano la croce è perché nei loro lettori romani e greci la forma dello stauros era quella, cioè una croce. Se gli antichi avessero associato all’idea di stauros un palo i Padri non avrebbero paragonato lo stauros di Cristo ad oggetti cruciformi ma ad oggetti paliformi, ad esempio una colonna, ricamandone poi un simbolismo.

Artemidoro (Oneirocritica, 1.76) scrive anche che quelli coloro che sognano di danzare saranno “crocifissi” (σταυρωθήσεται) a causa “delle loro braccia distese”(τὴν τῶν χειρῶν ἔκτασιν), un’espressione che richiama quelle di Epitteto, Seneca, Plauto, cioè di autori che parlano di braccia distese sul patibulum, come potrai vedere sfogliando il mio pdf.



“l palo è da preferirsi in quanto forma piu’ tradizionale di punizione buona per vari tipi di sospensione”



Perché? Cosa c’entra il fatto che sia una forma tradizionale di punizione nel mondo antico? Questo nessuno l’ha mai negato, ma tutti gli antichisti concordano nel dire che la crocifissione romana ha una sua specificità e delle novità introdotte. Qui dobbiamo indagare nella storia delle idee a cosa, in questo periodo, venisse associata la croce, e immancabilmente se il testo non è ambiguo avremo un riferimento cruciforme.


“Se il testo non dice nulla è meglio che il ricercatore utilizzi formule neutre: sospendere è certo meglio di crocefiggere o di impalare. “



Palo non è neutro, perché il palo non è una croce, e soprattutto i TdG vogliono proprio tradurre con palo per escludere che di croce si trattasse. Dunque questo è un vero depauperamento rispetto alla novità storico introdotta dalla crocifissione romana, su cui le descrizioni degli antichi sono tante (persino iconograficamente), e che tu sembri voler appiattire.


“Di nuovo torno a ricordarti che non stiamo parlando del Golgota e dello stauros del NT ma di un “tuo” supposto “mos romanorum”, che per prima cosa dovrebbe essere attestato negli autori latini, non altrove”



Innanzitutto non esistono solo gli autori latini, perché anche i greci erano sotto il dominio romano. In secondo luogo i Padri della Chiesa sono vissuti durante il periodo imperiale romano, e dunque sapevano come la gente venisse crocifissa. Descrivendo la croce di Cristo spesso parlano di croci in generale, o ci dicono come venissero fatte. Non è dunque possibile mettere le fonti patristiche da una parte e quelle pagane dall’altra.


“Torno a ripeterlo, qui non stiamo parlando di “quella” croce, ma del presunto “mos romanorum”. “



Ma per l’appunto, se i Padri sono tutti concordemente convinti che Cristo sia morto in croce, e nessuno s’è mai sognato di dire che sia morto su un palo, vorrà ben dire che i romani crocifiggevano con un “mos”, e dunque a nessuno di loro è mai venuto in mente di pensare che ci fossero ragioni per credere che Cristo sia morto in modo diverso dalla procedura consueta. Questo non vuol dire che non ci siano eccezioni attestate, vuol dire che non dobbiamo attribuirle ad un’esecuzione specifica se non c’è un motivo per farlo. Croce dev’essere lo sfondo, il palo le eventuali eccezioni, qualora sia chiaro che di eccezioni si tratti. Voi invece pare che facciate il contrario.


“Di nuovo, devo ricordarti che non stiamo parlando dell’eventuale “stauros” del Cristo, ma del “mos romanorum”. Giustino non mi pare riporti alcun caso dettagliato di esecuzione romana, a mia conoscenza



Giustino dice che la forma della croce è fatta di due travi incrociate, infatti scrive che “l’agnello che viene arrostito si cuoce in una posizione simile alla forma della croce (stauros), poiché uno spiedo diritto viene conficcato dalle parti inferiori alla testa, e uno messo di traverso sul dorso e vi si attaccano le zampe dell'agnello”. Questa è implicitamente una descrizione del fatto che i romani abitualmente crocifiggevano su croci a due braccia, perché se così non fosse stato, non sarebbe venuto in mente a nessuno di cercare simboli della croce in oggetti cruciformi, bensì li avrebbero cercati in oggetti paliformi. Il fatto che li cerchino in oggetti cruciformi significa che sia loro che i loro lettori immaginavano le croci in generale come composte da due braccia. E siccome sappiamo che prima della crocifissione qualcosa veniva fatto portare dal condannato, ne deduciamo che fosse il patibulum che poi veniva attaccato, sempre meglio che dedurne che fosse lo stipes, il quale non solo non è mai attestato che sia stato portato, ma per di più non è mai attestato che sia stato piantato per terra.
Giustino è chiaro quando descrive come avviene la crocifissione in generale, ne dà questo rendiconto:
“Il corno unico e infatti il legno ritto la cui parte superiore si sporge in alto come un corno quando viene innestato un legno trasversale, le cui estremità vengono ad essere come corna a lato dell’unico corno. Anche la parte piantata nel mezzo (il sedilis), sui cui poggiano coloro che vengono crocifissi, sporge come un corno e va quindi vista anch’essa come un corno foggiato e fissato come gli altri corni.” (Dialogo con Trifone, 91)
Si noti che qui descrive una crocifissione normalissima, e parte da una descrizione nota.
Si noti che Giustino, che a differenza di Samuelsson cogli antichi romani ci ha vissuto, scrive chiaramente che il braccio orizzontale viene innestato su quello verticale! E non è quello che stiamo dicendo, cioè la testimonianza del fatto che il patibulum veniva aggiunto?


“En passant, visto che non stiamo parlando di quello: che sia stato portato un palo (verticale od orizzontale lascio a te disquisirlo, visto che si tratta di un trasporto) è pressoché certo, visto il peso di una eventuale “croce” completa. “



Infatti il mos romanorum prevede proprio il trasporto del patibulum. Se ho capito bene tu contesti solo che questo venga attaccato alla croce. Beh, ma per lo stesso motivo si dovrebbe negare quello che dicono i TdG, cioè che il legno trasportato poi venga piantato per terra sul luogo dell’esecuzione: quale fonte menziona mai infatti che il legno trasportato dal crucifer sia poi stato piantato per terra dai carnefici sul luogo dell’esecuzione? Questa è la ricostruzione che i tdG danno della morte di Cristo, e non ha alcuna attestazione.


“Tutto il resto è immaginazione tua e dei tuoi simili: il testo parla esplicitamente solo di quel palo, ergo noi tdG ci fermiamo al testo, non diamo per certo niente. “



Non so se sia il caso di usare il termine “palo” per indicare ciò che venne trasportato, a prescindere dal fatto che fosse il futuro palo verticale od orizzontale della croce. Palo infatti in italiano si riferisce sempre a qualcosa piantato per terra. Sarebbe meglio dire “trave”.


Ad maiora
[Modificato da Polymetis 12/08/2010 11:40]
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Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
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(Κ. Καβάφης)
12/08/2010 12:10
 
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Mi sa, Poly

Che il tuo agognato, quanto serrato periodo di ozio letterario conoscera' oggi un'altra giornata di stop...

[SM=x1408443]
12/08/2010 12:54
 
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Che il tuo agognato, quanto serrato periodo di ozio letterario conoscera' oggi un'altra giornata di stop...


Il problema non è discutere, ma perder tempo a ripetere sempre le stesse cose per rispondere a dei sofismi insensati. Da una parte c'è uno che, evidentemente pensando che io non sappia l'italiano, continua a dirmi che palo può voler dire anche croce (il che toglie la parola ad ogni replica perché l'argomentazione manca di quel minimo di serietà indispensabile per poter dare qualunque risposta), da un'altra parte c'è chi invece, ignorando le dinamiche del mondo degli antichisti, ha preso per nuovo Vangelo la tesi di dottorato di un teologo svedese, non rendendosi conto di quanto sia implausibile perché non ha le conoscenze per valutare un testo che tratti di lessicologia; e sopratutto non rendendosi conto che qualsiasi contributo che rappresenti la posizione di un singolo studioso deve essere vagliata dal resto della comunità scientifica per essere recepita, altrimenti rappresenta semplicemente la particolare posizione di un ricercatore, la sua follia privata: fenomeno comune nel mondo accademico, che ha conosciuto di peggio, da gente che ha caldeggiato l'idea di Omero nato nella Scandinavia (R. C. Onesti), a gente che ha creduto che Cristo non sia mai esistito e sia stato il frutto di un'allucinazione collettiva all'interno di un culto orgiastico dove si usavano funghi psicoattivi (J. M. Allegro). Tutta gente con cattedra tra l'altro.

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12/08/2010 12:59
 
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Re:
Polymetis, 12.08.2010 12:54:

altrimenti rappresenta semplicemente la particolare posizione di un ricercatore, la sua follia privata



intendi come quelle di Galileo?


[Modificato da Seabiscuit 12/08/2010 13:00]

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12/08/2010 13:01
 
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Caro Polymetis,

Permettimi... tu stai ripetendo sempre la stessa cosa, magari condita in salse diverse, ma resta sempre quella, ovvero che non si darebbe altra possibilità che appendere il prigioniero al palo che per mezzo di un patibulum, tale pratica sarebbe così generalizzata ad ogni circostanza in cui viene citato lo stauros.

Ora, da un punto di vista traduttivo abbiamo già detto che il campo semantico di stauros non contiene affatto l'idea di una particolare forma geometrica (e tutt'al più etimologicamente farebbe più pensare al palo verticale piantato a terra) ma piuttosto ad un tipo di esecuzione, che indipendentemente dall'uso di un patibulum consisteva nell'appendere il condannato ad un palo.

Se restiamo al campo semantico di stauros quello che dobbiamo preservare non è una particolare forma, al di là dalla validità della tradizione, può essere variabile e che dunque non denota di per sé lo stauros, perché questo è solo un elemento accessorio. Nel I secolo si poteva benissimo definire il un palo piantato a terra per l'esecuzione come stauros, anche senza l'eventuale patibolo, perché l'elemento minimo, essenziale, che faceva di quell'oggetto uno stauros non era la forma ma la modalità di esecuzione, e quella che il traduttore deve strasmettere è quella. Anche ammettendo che Gesù fosse morto su un oggetto cruciforme, il traduttore dovrebbe impiegare un termine che abbia un senso più esteso perché in molti contestu con "croce" non ci si riferisce solo allo strumenti di morte di Cristo, ma in generale ad una esecuzione.

Potendo poi usare solo termini che in italiano richiamano ad una forma ci si chiede de usare "croce" o "palo di tortura". Come ho già detto "croce" ha due svantaggi:

1. Mette troppo l'accendo sull'idea della forma e di una in particolare, restringendo il campo semantico di stauros

2. Il termine ha una forte componente simbolica, che dalle riflessioni patristiche fino ai significati attribuiti dalla chiesa trionfante di Costantino e poi fino ai nostri giorni, rischia di oscurare il significato originale di stauros, che indicava un oggetto di tortura e non di trionfo o un simbolo religioso.

Per questo punto di vista la scelta di rompere con la tradizione e riportare stauros nell'alvero del suo campo semantico a me pare corretta, tanto più che se è vero che un "palo di tortura" non è una "croce" è altrettanto vero che non impedisce in nessun modo di vedervi quella forma, dato che comunque non impedisce che il condannato vi fosse appeso con un patibulum, una furca o altro ancora.

Certo, poi tu fai un discorso antiquario, se la tradizione indica una forma particolare perché non tradurre con un termine che rimandi a quella forma? Potrei dirti perché non è necessario, va oltre quello che basilarmente denota la parola greca, chi ha scritto stauros ha usato una parola il cui campo semantico non conteneva l'idea di una forma ma conteneva l'idea di una modalità di esecuzione. Il traduttore deve così lasciar parlare il testo, e non la tradizione, sia pure una tradizione molto antica. Se dal testo non traspare nulla in questo senso, beh, come dice il comitato della TNM, noi non vogliamo aggiungervi nulla.

Shalom

PS. Questo sempre a patto che davvero "stauros" indicasse anche l'esecuzione sul palo, se nel I secolo denotava senza eccezione la posizione delle braccia (aperte) del prigioniero.

[Modificato da barnabino 12/08/2010 14:42]
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12/08/2010 13:07
 
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Seabiscuit, 12/08/2010 12.59:



intendi come quelle di Galileo?





Prima di Galileo c'erano stati altri a ipotizzare il moto di rivoluzione terrestre intorno a un sole al centro di un sistema planetario, Copernico, Giordano Bruno e perfino astronomi/astrologi di altre civilta' antiche.

www.murzim.net/notiziario/000307.htm



[Modificato da nevio63 12/08/2010 13:12]
12/08/2010 13:08
 
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Re:
nevio63, 12.08.2010 13:07:

Seabiscuit, 12/08/2010 12.59:



intendi come quelle di Galileo?





Prima di Galileo c'erano stati altri a ipotizzare il moto di rivoluzione terrestre intorno a un sole al centro di un sistema planetario, Copernico e anche astronomi/astrologi di altre civilta' antiche.





e che era accettata dalla comunità scientifica di quei tempi?



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