Polymetis, 8/10/2010 6:17 PM:
La cosa mi sembra ovvia. Vuoi un testo in cui si dica che la croce è composta da un patibulum trasportato dal condannato in seguito attaccato ad un palo verticale già piantato per terra. La citazione dice proprio: "porti il patibulum per la città, e in seguito sia attaccato alla croce".
Come si vede c'è una distinzione lessicale tra il patibulumm trasportato e il prodotto finale, la croce. Se il testo si fosse limitato a dire: "Patibulum ferat per urbem, deinde ei adfigatur" avrebbe potuto essere ambiguo, ma così non è.
Infatti qui viene il bello. Prima cosa partiamo dai frammenti delle opere di un commediografo, peraltro autore di parti gustose. Molti anni fa durante gli intervalli di scuola inscenavamo recite scherzose e c'era la coda (si fa per dire) per chi voleva incarnare Priapo.
Se non erro, gli anni potrebbero giocarmi brutti scherzi, il soggetto qui è il "patibulatus" o chi per esso, che "ferat" et "adfigatur" cioè porti e sia attaccato/inchiodato. Il trasporto del "patibulum" è attestato separatamente in Plauto e non solo lui, come punizione a se stante.
Pur essendo uno dei piu' espliciti testi a diposizione, non si legge, nè la cosa è scontata, che il "patibulum" venga attaccato allo "stipes" in alcun modo. Non si trova scritto che fosse parte integrante della "crux", come invece vorrebbe il cosiddetto "mos romanorum".
Oltre all'uso del "patibulum" a cui erano attaccati i condannati che se lo portavano in giro, Plauto (e non solo lui) menziona anche la "furca", citandola anche assieme alla "crux" nella parte finale della "Persa".
Spero concorderai che per mettere assieme un "mos" dovremo ricorrere a fonti un po' piu' nobili e contemporanee ai fatti rispetto a Plauto.
Cosa offre il menu?
Poly:
Comunque, se ho capito bene quello che scrive Simon, l'autore vorrebbe sostenere addirittura l'inesistenza della crux latina nel mondo antico, cioè che stauros e crux non avrebbero mai designato la croce. COsì scrive Simon: "Nè lo "stauros" nè la "crux" hanno mai indicato una "croce" o solo una "croce", nè nel I né nel II nè prima di allora."
Capisci male. Il termine "crux" esisteva eccome, ma il suo campo semantico non è sovrapponibile, quindi non è traducibile oggi, col termine "croce".
In aggiunta, il cosiddetto "mos romanorum" è frutto di tanta fantasia e pochi fatti: i romani "appendevano" o "sospendevano" i condannati nei modi piu' disparati a seconda delle circostanze e la terminologia veniva utilizzata in modo molto libero dai vari autori.
Per tirar fuori un "mos" dalle scarne testimonianze che ci sono arrivate ci vuole molta speculazione, che vale per quel che è.
Poly:
Se così fosse, vorrei sapere come, cioè con quale termine, secondo Samuelsson, i greci e i romani avrebbero chiamato gli strumenti di supplizio che vediamo raffigurati ad esempio nel graffito del Palatino ed nella Taberna di Pozzuoli, dove vediamo dei crocifissi su croce a due braccia.
Il nome con cui venivano chiamati poteva dipendere dall'autore, dal periodo e dalle circostanze. Facciamo prima a dire che non lo sappiamo.
Il problema che stiamo trattando pero', sono costretto a ricordartelo, è esattamente l'opposto: cosa intendevano gli scrittori nel momento in cui scivevano "crux" o "stauros" e non viceversa (quale nome davano all'oggetto). Esisteva davvero un "mos romanorum" collegato allo "stauros", allo "skolops" o alla "crux"?
Anche se i "tuoi" dizionari fanno notevoli sforzi di ricostruzione, lo fanno a dispetto della mancanza di dettagli delle relative fonti.
Simon