Mi accingo a rispondere ad un papello del Poly, che a suo avviso presenterebbe “fatti” e “dimostrazioni” in aggiunta a “prove storiche” in materia di crocefissione romana. Nel contempo smaschererebbe le “false dichiarazioni” della WTS su questo argomento.
Faccio intanto notare che la qualità del suddetto papello è infima. Vi troviamo un’accozzaglia di versetti, talvolta in lingua italiana, talvolta in lingua latina con traduzione. La numerazione dei versetti è incomprensibile e rende anche difficile fare riferimenti diretti. Per di piu’ l’autore si lascia andare, come sua cattiva abitudine, a considerazioni di dubbio gusto, perché indimostrate e indimostrabili, del tipo “la Societa non ha mai preso in considerazione queste prove.” Rimanendo nel merito del metodo scadente utilizzato, troviamo solo a pag. 36 un primo cenno di definizione dell’oggetto in discussione, che qui riporto:
“Le citazioni che seguono, tratte da opere di Plauto, Seneca e Tacito, che scrissero dal terzo secolo a.C. al secondo secolo d.C., dimostrano senza ombra di dubbio che
(1) la crux poteva comprendere il patibulum o furca (il significato di entrambe e “trave” trasversale),
(2) il patibulum veniva inchiodato allo stipes (il palo verticale),
(3) le vittime trasportavano il patibulum prima della loro crocifissione, e
(4) alle vittime venivano “allungate” le braccia sulla crux o patibulum.”
Ora stendiamo un pietoso velo sull’idea stessa che questo frullato di citazioni possa dimostrare “senza ombra di dubbio” qualunque tesi; secondo il Poly troveremmo questa definizione o procedura direttamente negli scritti degli autori citati (Plauto, Seneca e Tacito). Poco prima il papello cita 6 passi dello scrittore latino Tito Livio, che riguarderebbero altrettante crocefissioni.
In questo primo post analizzero’ le occorrenze della parola “crux” in Tito Livio, nei prossimi trattero’ Plauto, Seneca e Tacito.
Si notino i passi 1) 3) e 5) che forniscono piu’ dettagli, di seguito il 2) 4) e 6) (Traduzione proposta dal Poly):
1) Virgisque caeso duce er ad reliquorum terrorem in crucem sublato, castris communitis Maharbalem cum aequitibus in agrum Falernum praedatum dismisit.
[1) E fatta bastonare e
crocifiggere la guida (crucem sublato) per incutere terrore nelle rimanenti, dopo che fu trincerato l’accampamento mando Maarbale coi cavalieri a fare razzie nel territorio di Falerno” (22.13.9).]
3) Laceratosque verberibus cruci adfigi iussit. Inde navibus ad Pitiusam
[3) Comando che dopo essere stati selvaggiamente fustigati fossero attaccati alla
croce (cruci adfigi); poi passo con la flotta presso l’isola di Pitiusa (28.37.3).]
5) Ex his multi occisi, multi capti alios verberatos crucibus adfixit, qui principes coniurationis fuerant, alios dominis restituit
[5) Di questi molti furono uccisi, molti catturati; alcuni li fece fustigare, altri mettere in
croce (crucibus adfixit) (quelli che avevano capeggiato la congiura), altri li restituii
ai padroni (33.36.3).]
2) Venticinque schiavi furono
crocifissi (crucem acti) con l’accusa di aver congiurato
nel campo Marzio (22.33.2).
4) Si agi piu severamente nei riguardi dei disertori (che non dei fuggiaschi); quelli
che erano di diritto latino furono decapitati, i romani messi in
croce (crucem sabalti)
(30.43.13).
6) In questo, per quanto mi riguarda, sosterro la mia causa anche se dovessi appellarmi, non davanti al Senato Romano, ma davanti al Senato cartaginese, dove si dice che sarebbero stati
crocifissi (crucem tolli) i comandanti che avevano condotto una campagna vittoriosa, ma una politica carente (38.48.13).
Confrontiamo con la “procedura” :
1) non c’è alcuna traccia di un “patibulum”, né di una “furca”.
2) Non c’è una sola menzione di un eventuale inchiodamento del “patibulum” allo “stipes”.
3) I passi piu’ dettagliati (1, 3, 5) non solo non menzionano un eventuale trasporto del “patibulum” o di qualunque altro arnese, ma menzionano un’altra procedura, cioè quella di “prendere a bastonate” (o vergate) la vittima.
4) Non c’è menzione alcuna di un eventuale “allungamento” delle braccia della vittima su un eventuale “patibulum”.
Ora nonostante sia il Poly stesso a definire “laconiche” le descrizioni di Livio, lui si dichiara invariabilmente certo (e le traduzioni che lui propone né sono un eloquente testimone) che:
a. Lo strumento indicato da Livio con “crux” sia una “croce”
b. Le punizioni descritte da Livio siano tutte inequivocabili riferimenti a “crocefissioni”
Ora anche se Livio in altri passi parla di “furca”, “palus” e “infelix arbor”, mentre in questo caso parla di “crux”, la verità è che non abbiamo certezze né sulla forma dello strumento né sul tipo di punizione: Livio non specifica questi dettagli in alcun modo. Un ricercatore serio dovrebbe astenersi dall’avanzare ipotesi proprie spacciandole, come fa il Poly, per “prove”, “dimostrazioni” o simili e per di piu’ “senza ombra di dubbio”!
Simon
[Modificato da (SimonLeBon) 30/08/2010 00:14]