Anche io li ho letti entrambi e vi assicurano che meritano.
E' illuminante quello che scrive su trinità, cristologia, immortalità dell'anima e inferno!
Voglio essere buono e vi do alcuni assaggi tratti dai suoi testi, che ho citato in un saggio che sto scrivendo sull'anima e l'inferno:
Il noto biblista cattolico Marie-Emile Boismard, nel libro All’alba del cristianesimo scrive alle pp 206 e 207: “L’insegnamento di Cristo che concerne il destino finale degli empi sembrerebbe non lasciare dubbi: il fuoco (o il diluvio) è il simbolo della loro totale distruzione; non si parla affatto di condannarli a delle sofferenze eterne. Che pensare, allora della parabola di Lazzaro e del ricco cattivo, riportata solo da Luca (16, 19-31)?” Risponde Boismard dicendo: “Si tratta di una parabola nella quale Cristo ha fatto riferimento ad una credenza popolare, per meglio far comprendere il suo insegnamento”. E conclude: “Ciò non comporta che lo stesso Gesù abbia confermato questo tema delle sofferenze subite nello shéol. Solo questo testo, di fattura piuttosto grecizzante, tra l’altro riportato solo da Luca, non può modificare le conclusioni alle quali siamo giunti precedentemente”.
Un’eccellente sintesi sulla sorte finale degli empi secondo la Bibbia, la troviamo nel libro La nostra vittoria sulla morte: "Risurrezione"? di Marie-Emile Boismard, domenicano, professore del Nuovo Testamento all' Ecole biblique di Gerusalemme, alle pp. 154-155: “Secondo numerosi testi del Nuovo Testamento essi sono destinati alla Geenna, `fuoco che non si estingue' (Mc 9,43-48). Si è oggi d'accordo nel riconoscere che questo ‘fuoco’ deve essere inteso in senso metaforico, e non reale. Esso simboleggerebbe le sofferenze morali alle quali sarebbero soggetti gli empi, specialmente la sofferenza dell'essere separati da Dio. Ma, dal punto di vista biblico, questa interpretazione simbolica è la sola possibile? No. Nell'Antico Testamento, per esempio, il fuoco è soprattutto simbolo di distruzione e non di sofferenze prolungate. Questo è certo per quella che noi chiamiamo la ‘Geenna’, termine proveniente dal nome della vallata in cui, secondo un rito cananeo, certi ebrei sacrificavano dei i bambini gettandoli in una fornace ardente in cui venivano completamente consumati dal fuoco (vedere Lv 18,21; Ger 7,31-34). Ma atteniamoci ai testi del Nuovo Testamento. Giovanni Battista dice degli empi che saranno bruciati nel fuoco come la pula portata via dal vento durante la battitura del grano (Mt 3,12; Lc 3,17). Ebbene, il verbo che si legge qui (katakaió) significa ‘bruciare completamente, consumare interamente’. L’immagine evoca dunque una distruzione completa operata dal fuoco e non l’idea di sofferenze prolungate. È lo stesso verbo impiegato nelle parole di Cristo riferite in Mt 13,40, dove si parla della gramigna che, gettata nel fuoco, sarà completamente bruciata. Quando annuncia la distruzione degli empi in concomitanza con la venuta del Figlio dell’uomo, Cristo fa riferimento al diluvio e soprattutto alla città di Sodoma: “Nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e [Dio] li fece perire tutti. Così sarà il giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà” (Lc 17,30). E Sodoma fu interamente distrutta dal fuoco. Nella conclusione di questo stesso discorso escatologico Cristo evocherà ancora il diluvio dicendo che non potranno sottrarsi al disastro coloro che stanno ‘sulla superficie della terra’ (Lc 17,35; vedere Gn 7,23). Anche in tal caso si tratta di una distruzione completa stavolta operata dall’acqua e non dal fuoco. Si potrebbero sicuramente citare altri testi in cui si allude a una distruzione degli empi, irrimediabile, e non di sofferenze eterne.
Ci si può quindi chiedere se Schillebeeckx non abbia ragione quando rifiuta l'idea di sofferenze eterne per gli empi, immaginando invece il loro destino come un ritorno al nulla, come un annientamento definitivo”.
Che ne dite? Niente male vero?