COSTANTINO E L'ARIANESIMO - MUORE L'IMPERATORE

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bruciolis
00mercoledì 9 gennaio 2008 15:34
Invece ha vinto Ario

Appena tre anni erano trascorsi dal concilio di Nicea, quando Ario e i suoi seguaci furono richiamati dall'esilio. Dopo un conflitto durato più di sette anni, Atanasio dovette andarsene. I difensori della non-consustanzialità conquistarono le più importanti sedi vescovili d'oriente, fino ad Alessandria, rimasta vacante; lo stesso imperatore si identificò con la loro dottrina, anche se - come per la sua adesione al cristianesimo - non è possibile dire fino a che punto fosse sincero. Quando alla fine si fece battezzare, ricevette l'acqua lustrale dalle mani di un ariano: Eusebio di Nicomedia.
La dottrina orientale aveva vinto, e anche se i successori di Costantino la condannarono, essa determinò la loro forma di governo, impresse un indirizzo preciso all'evolversi degli eventi e lasciò segni incancellabili nella storia dell'impero d'oriente.
Ma nel corso della lotta contro gli imperatori ariani di Costantinopoli i chierici europei occidentali presero per la prima volta coscienza di appartenere a un mondo spirituale diverso. Col rafforzarsi di tale consapevolezza « la resistenza dei vescovi occidentali fece nascere l'occidente» (Heer).

Muore l’imperatore

Tuttavia, in un primo momento, emerse un impero che era il risultato dei cruenti conflitti trascorsi, alla base del quale c'erano un dio, un cesare e un paese. Al vertice dominava Costantino, lo splendido sovrano paludato d'oro; sotto di lui si stendeva la ben congegnata piramide gerarchica dei dignitari laici ed ecclesiastici, un poderoso esercito nel quale già predominavano i germani, un'efficiente burocrazia e un popolo desideroso di pace: una costruzione impressionante, sembrava impossibile che un nemico avesse la forza di attaccarla.
E invece accadde. Nel 336 giunse a Costantinopoli un'ambasceria di Shahpur II (310-379), re di Persia, che chiese la restituzione della provincia del Tigri conquistata da Diocleziano. Non essendo disposto a negoziare, Costantino dovette sostituire la comoda tunica con la pesante armatura.
Nella primavera dell'anno successivo egli assunse il comando dell'esercito e si mise in marcia verso l'oriente. Ma non fece molta strada. Era in Bitinia quando lo colse una febbre così violenta da costringerlo a interrompere la campagna militare e a cercare la guarigione alle terme d'Eliopoli. Di là si recò in pellegrinaggio alla tomba del martire Luciano d'Antiochia (maestro di Ario), ma né le cure termali né le ossa miracolose gli diedero sollievo. Morì di lì a poco ad Ankyrona, presso Nicomedia, il 22 maggio 337, all'età di 57 anni. L'improvviso decesso gettò nella costernazione tutto l'impero; all'esercito era venuto a mancare uno dei massimi condottieri, ai cristiani il supremo vescovo, al popolo il garante della sua sicurezza.
Gli ufficiali portarono la salma a Costantinopoli, su uno splendido catafalco. Il corpo dell'imperatore fu messo nella bara avvolto nei paludamenti del suo rango; ogni giorno, all'ora fissata, comparvero i dignitari a rendergli omaggio, come se fosse ancora vivo. Era già un perfetto esempio di «stile bizantino». Anche da morto il sovrano-dio incarnava la potenza e lo splendore dell'impero. Il terreno fratello di Cristo suscitava rispetto, incuteva spavento: questi gli elementi dello « stile».
« L'intera cerimonia aveva lo scopo di neutralizzare tutti gli intrighi fino all'avvento del nuovo imperatore» (Joseph Bidez, storico belga). Preoccupazione giustificatissima. Oltre ai tre figli (Costantino, Costanzo e Costante), il defunto imperatore aveva lasciato altrettanti fratellastri: Dalmatius, Annibaliano e Giulio Costanzo. C'era il pericolo che esplodesse un conflitto a sei. Diedero infatti avvio a quella lotta dinastica che poche generazioni dopo a Costantinopoli, a ogni morte o cambiamento di sovrano, doveva diventare normale amministrazione.
I tre figli risultarono vincitori, ma nessuno di essi aveva la forza sufficiente per reggere le redini dell'impero.
Costanzo II (337-361) lasciò quindi la parte occidentale a Costantino II (337-350), divise il governo con il sopravvissuto Dalmatius e, come sovrano d'oriente, mosse guerra ai persiani. Ma mentre li faceva retrocedere lentamente, a prezzo di sanguinosi scontri, Costante (337-350), ultimo figlio di Costantino, scacciava il fratello maggiore, lo metteva in fuga e si impossessava dell'impero d'occidente.
L'impero era praticamente spaccato in due, e i due augusti, con la loro politica religiosa, contribuirono a consolidare la divisione. Costante era un seguace d'Atanasio; Costanzo aveva invece abbracciato l'arianesimo - sostenuto dagli agenti segreti della polizia di stato -e si faceva venerare come un dio.

L'epoca dei vescovi viaggianti

La scissione non è stata certamente voluta dai due cesari. Sia il tetro reggente orientale che il suo cocciuto fratello fecero di tutto per ripristinare l'unità della chiesa in seno all'impero. Convocando un concilio dopo l'altro, i vescovi si spostarono rapidamente su tutto il territorio, per consigliare, dibattere, cercare formule di compromesso. Con innumerevoli colloqui, prediche e discussioni organizzarono un movimento spirituale di vaste dimensioni tra est e ovest, il più massiccio di quell'epoca. Nessuna delle due parti prevalse, ma il movimento non creò neppure l'unità. Soltanto un violento shock doveva ricordare alla comunità cristiana che la vittoria sugli dèi non era affatto definitiva e che il paganesimo non era ancora morto, e infatti all'improvviso rialzò la testa.

Ghetto per cristiani

Costante era stato ucciso nella lotta contro un nuovo usurpatore di origine barbarica. Costanzo ne aveva raccolto l'eredità, scacciando i ribelli e proclamando l'arianesimo religione ufficiale dell'impero riunificato. Quando però, nel 361, seguì il fratello nella tomba, il potere cadde nelle mani del figlio di Giulio Costanzo, quel fanatico Giuliano (332-363) che, benché cresciuto sotto la protezione d'Eusebio di Nicomedia, si era immerso nel neoplatonismo tornando a credere in Elio, dio del Sole.
La chiesa si vide di nuovo costretta a difendersi, dopo essersi cullata nella convinzione di rappresentare l'unica e incontrastata potenza religiosa. Giuliano si guardò bene dal perseguitare i cristiani e i loro sacerdoti, tentò però di emarginarli dall'universo della cultura greca. Essi dovevano basare dottrina e insegnamento solo sulla Bibbia; Omero venne loro proibito. Lo scopo dichiarato di queste manovre mirava a chiuderli in un ghetto spirituale e a declassarli: era una delle imprese più reazionarie della storia (a salvare dal ridicolo Giuliano, suo ideatore, furono le sue doti, la sua integrità, l'entusiasmo che profuse nella sua missione).
Egli compì un'epurazione nel palazzo imperiale di Costantinopoli: vili adulatori ed eunuchi ne fecero le spese. Ridusse l'eccessivo potere della polizia; diradò drasticamente la foltissima burocrazia; fece ricostruire i templi pagani. Lui stesso viveva in semplicità monacale, senza alcun lusso, cercando quel contatto con l'uomo della strada che il grande Costantino e il suo successore avevano completamente perduto.
I cristiani l'avrebbero poi chiamato « apostata» (colui che aveva abbandonato la propria religione per seguirne un'altra). La scienza è arrivata relativamente tardi a vederlo senza farsi influenzare dai pregiudizi, ad analizzarlo per quello che fu veramente. E il giudizio cui è approdata non è affatto negativo.
Questo sovrano è entrato nella storia unicamente come l'eroe di un intermezzo.

Eppure Ario ha perso

Dopo Giuliano, che era stato imperatore di tutto il regno, presero di nuovo il potere i cristiani di Ario, e nelle loro mani l'impero tornò a sfasciarsi. Ma non è possibile dar la colpa a loro. Ciascun sovrano si trovò impegnatissimo a difendersi dai popoli stranieri che improvvisamente attaccarono da ogni parte i confini romani. Emerse così un elemento essenziale: il susseguirsi di terre che si estendevano dall'Atlantico al deserto siriaco era ormai sterminato e non poteva essere difeso da un potere centralizzato. La situazione, in piena trasmigrazione di popoli, esigeva davvero la presenza di un semidio sul trono, ma nessun imperatore lo fu: né Gioviano (363-364), né Valentiniano I (364-375), né suo fratello Valente (364-378), con cui divise il trono, né Graziano (375.383). Essi regnarono in media non più di cinque anni. Caddero in battaglia oppure morirono, estromessi o scacciati dalle posizioni di potere.
Soltanto con lo spagnolo Teodosio I (379-395) - in un primo momento coreggente di Graziano - si ebbe un augusto della tempra di un Adriano e di un Costantino I. Teodosio, d'intesa col persiano Shahpur III (383-388), fece stanziare in Ungheria e in Serbia gli ostrogoti, che gli unni avevano scacciato dalla Russia meridionale, e obbligò all'unità l'impero che si stava sfaldando.
Sul fronte interno appoggiò la dottrina di Atanasio, la religione d'occidente, e l'aiutò a imporsi. La situazione era favorevole a questo sviluppo. Intanto alcuni padri della chiesa, come Gregorio Nazianzeno (329-390) e il suo amico Basilio di Cesarea (330-379), avevano interpretato le decisioni conciliari di Nicea con grande eleganza letteraria, tanto che gli ariani le accettarono.
Il terrore della reazione di Giuliano fece raggelare il sangue ai cristiani. All'improvviso avevano riscoperto di essere, nonostante tutto, una grossa comunità. Così non vi fu resistenza degna di rilievo allorché Teodosio nel 380 emanò l'Editto di Tessalonica, contenente l'interdizione dell'arianesimo e la reintegrazione di Cristo nel suo antico ruolo. Il secondo concilio ecumenico, che venne tenuto a Costantinopoli nel 381, ratificò tale decisione che divenne il Symbolum Nicaeno-Constantinopolitanum del canone della messa romana.
Così l'impero era unito anche dal punto di vista religioso, e ormai la dottrina che aveva dato vita al sistema di potere costantiniano veniva considerata anche in oriente indegna di un romano istruito. Ariani erano ormai soltanto i barbari, soprattutto gli ostrogoti, il cui missionario Ulfùa (311-383) era stato convertito dai seguaci del combattivo sacerdote.
Anche il paganesimo perse le sue ultime roccaforti: le ville dei ricchi istruiti, illuminati e scettici. Gregorio e Basilio, grazie ai loro splendidi lavori, avevano reso il cristianesimo socialmente accettabile, tanto che anche gli snob si facevano battezzare. L'autentico merito di aver reso possibile tutto questo fu di Teodosio I, che governò da solo a partire dal 383, il secondo augusto romano che la storia chiamerà grande.

La città però cresce

A Teodosio I Costantinopoli deve in particolare una serie di archi di trionfo, tra cui la celebre Porta d'Oro che apre la grande via detta appunto del trionfo e dello splendore (partiva dalle mura e arrivava fino al palazzo imperiale); poi anche un gigantesco obelisco egizio di porfido, che oggi possiamo ancora ammirare sulla piazza, davanti alla moschea del sultano Ahmed, e una sfarzosa piazza dove avevano luogo le parate: il Forum Tauri. Anche le mura di fondazione sono giunte fino a noi, valli possenti che sostenevano una gigantesca piattaforma marmorea. I colonnati segnavano il perimetro del quadrilatero, ed erano sormontati da statue. Teodosio non riuscì a vedere finita la costruzione; morì infatti un anno dopo l'inizio dei lavori.
Il Forum non era che uno dei molti, più o meno splendidi, monumenti in costruzione. Ancora una volta la nuova Roma
assomigliava a quel cantiere; in essa confluivano, come in passato, uomini da ogni parte dell'impero; ribolliva ancora di vita.
Ma tutto ciò che era avvenuto all'interno delle mura da quando la città era assurta a capitale (dissidi teologici, omicidi dinastici) furono elementi - e sarebbe emerso nei secoli successivi - di un dramma destinato a ripetersi, sia pure con attori diversi. Minacce dall'esterno provenienti dai barbari, minacce dall'interno costituite dai conflitti tra i seguaci dei due sistemi filosofici (occidentale e orientale). D'ora in poi saranno questi i temi più importanti della storia di Costantinopoli.

(Gerhard Herm I BIZANTINI Garzanti editore)
Eupeptico
00mercoledì 9 gennaio 2008 15:44

i successori di Costantino la condannarono



Se la memoria non mi inganna, dopo Nicea, lo stesso Costantino abbracciò pubblicamente l'arianesimo.

Eup
bruciolis
00mercoledì 9 gennaio 2008 16:04
Re:
Eupeptico, 09/01/2008 15.44:


i successori di Costantino la condannarono



Se la memoria non mi inganna, dopo Nicea, lo stesso Costantino abbracciò pubblicamente l'arianesimo.

Eup



in effetti fu così;
scrive Herm: Quando [Costantino] alla fine si fece battezzare, ricevette l'acqua lustrale dalle mani di un ariano: Eusebio di Nicomedia.


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