Bello il libro di Acquaviva!
Breve nota personale.
Libro comprato anni or sono e letto tutto di un fiato in una sola notte. Racconta anche la storia di una piccola comunità nella terra di Israele, all'epoca ancora un'opera oggi eretta a Vicariato con una liturgia in ebraico. In questi ultimi due anni sono stato spesso in contatto epistolare con il vicario, promettendo, quando riprenderò a viaggiare (a Dio piacendo) di essere loro ospite.
Non mi pare però che dalla citazione fatta si possa evincere quanto dici.
La prima. La rottura fra la chiesa e la sinagoga avvenne abbastanza presto. Le lettere paoline lo confermano. E benché all'inizio ci fu una certa convivenza, ben presto le cose andarono diversamente. Anche se è presumibile non allo stesso modo in seno a tutte le comunità della diaspora. A Roma si deduce da alcuni passi paolini che le comunità, tipicamente "domestiche", erano divise in giudeo-cristiane ed etnico-cristiane; desumendo questo dall'origine dei nomi dei suoi componenti ai quali Paolo rivolge i propri saluti.
Eppoi, di quale giudaismo stiamo parlando? Sappiamo che già all'epoca del secondo Tempio esistevano più correnti. E anche oggi essere Ebrei consiste nel riconoscere l'origine divina della Torah (neanche di tutti i testi veterotestamentari ai quali si riconosce un diverso grado di ispirazione) facendo dell'ebraismo, in sostanza, una questione di ortoprassi e non tanto di dottrine.
Dall'archeologia sappiamo che in Galilea esistevano numerose comunità giudeo-cristiane che lasciarono la testimonianza di chiese giudeo-cristiane (la casa di Pietro, ad esempio). Eppure non sono mai state trovate (o non risultano) lettere canoniche indirizzate a queste comunità. Che fosse considerate spurie? Non lo sappiamo.
La seconda. Non mi pare che Acquaviva sostenga la posterità delle dottrina triniatria e della divinità di Cristo, quanto piuttosto dire che la separazione evidente avvenne con la loro messa a punto. Che significa tutt'altro, a me pare.
Per quanto mi riguarda, non trovo niente di scandaloso o eretico pensare alla dottrina cristiana come qualcosa di magmatico, almeno all'inizio. Il cristianesimo consisteva in una notizia sul Messia e in comportamenti sociali. Era una strada di vita o sulla vita. Alcuni, ci dice Luca negli Atti, potevano addirittura aver ricevuto il messaggio di Gesù, il suo battesimo, e nel contempo non aver mai sentito parlare di un Spirito Santo.
Io, come il Kelly nel suo "Il pensiero cristiano delle origini), penso che all'inizio del cristianesimo non ci furono tanto delle soluzioni eretiche quanto delle soluzioni unilaterali: ad esempio l'adozionismo degli Ebioniti (Cristo solo uomo) o il docetismo (Cristo solo Dio). La messa a punto del dogma fu secondo me questo. La definizione di una linea di demarcazione. Ma la rottura incominciò, come per gli ebrei odierni, nel non aver riconosciuto Gesù quale Ha Mashiah, il Messia quale che sia la sua natura.
Comunque sia, è innegabile che, restando almeno nella liturgia latina, i "reperti" del giudeo-cristianesimo sono decisamente diversi.
Ancora grazie, Simon, per avermi ricordato che è giunto il tempo di rispolverare questo grazioso libretto che nella pagina subito prima di quella che hai ricordato, riporta un etto di Bahnya Ibn Paquda:
Un santo passava un giorno davanti alla carogna di un cane. I discepoli dissero "Che orribile fetore emana da questa carogna". Egli rispose "Ammirate quanto sono bianchi i suoi denti"