La cristianità adotta il concetto platonico
Il vero cristianesimo ebbe inizio con Gesù Cristo. A proposito di Gesù, Miguel de Unamuno, eminente pensatore spagnolo del XX secolo, scrisse: “Credeva forse nella resurrezione della carne, al modo ebraico, non nell’immortalità dell’anima, alla maniera platonica . . . Le prove di ciò si possono trovare in qualsiasi libro di esegesi valida”. E concluse: “L’immortalità dell’anima . . . è un dogma filosofico pagano”.
Quando e come questo “dogma filosofico pagano” si infiltrò nel cristianesimo? La New Encyclopædia Britannica fa notare: “Dalla metà del II secolo d.C., i cristiani che avevano una certa dimestichezza con la filosofia greca cominciarono a sentire il bisogno di esprimere la loro fede nei suoi termini, sia per propria soddisfazione intellettuale che per convertire i pagani istruiti. La filosofia che trovavano più adatta era il platonismo”.
Due filosofi ebbero molta influenza sulle dottrine della cristianità. Uno fu Origene di Alessandria (ca. 185-254 E.V.) e l’altro Agostino di Ippona (354-430 E.V.).
Di loro la New Catholic Encyclopedia dice: “Solo con Origene in Oriente e Sant’Agostino in Occidente l’anima fu riconosciuta come entità spirituale e si formulò un concetto filosofico della sua natura”. Su che base Origene e Agostino formularono i loro concetti circa l’anima?
Origene era discepolo di Clemente di Alessandria, che fu “il primo dei Padri che attinsero esplicitamente dalla tradizione greca sull’anima”, dice la New Catholic Encyclopedia. Il concetto platonico di anima deve avere influenzato profondamente Origene. “[Origene] prese da Platone l’intero dramma cosmico dell’anima e lo incorporò nella dottrina cristiana”, osservò il teologo Werner Jaeger nella Harvard Theological Review.
Nella cristianità Agostino è considerato da alcuni il più grande pensatore dell’antichità. Prima di convertirsi al “cristianesimo” all’età di 33 anni, Agostino nutriva profondo interesse per la filosofia e in particolare per il neoplatonismo. Dopo la conversione non si discostò dal pensiero neoplatonico. “La sua mente fu il crogiolo in cui la religione del Nuovo Testamento si fuse nel modo più assoluto con la tradizione platonica della filosofia greca”, dice la New Encyclopædia Britannica. La New Catholic Encyclopedia ammette che la sua “dottrina [dell’anima], che divenne la norma in Occidente sino alla fine del XII secolo, doveva molto . . . al neoplatonismo”.
Nel XIII secolo gli insegnamenti di Aristotele stavano acquistando popolarità in Europa, in gran parte perché erano disponibili in latino le opere di studiosi arabi che ne avevano commentato ampiamente gli scritti. Il teologo cattolico Tommaso d’Aquino fu profondamente colpito dal pensiero aristotelico. Tramite i suoi scritti le idee di Aristotele esercitarono sul pensiero della chiesa maggiore influenza di quelle di Platone. Questa tendenza, tuttavia, non influì sulla dottrina dell’immortalità dell’anima.
Aristotele pensava che l’anima fosse inseparabile dal corpo e non continuasse ad avere un’esistenza individuale dopo la morte e che se qualcosa di eterno esisteva nell’uomo si trattava di un intelletto astratto, non personale. Questo modo di vedere l’anima non concordava con la credenza della chiesa che le anime delle persone sopravvivessero alla morte. Perciò Tommaso d’Aquino modificò l’idea aristotelica dell’anima, asserendo che l’immortalità dell’anima si può dimostrare razionalmente. Così la credenza della chiesa nell’immortalità dell’anima rimase intatta.
All’inizio del Rinascimento, durante il XIV e il XV secolo, ci fu un rinnovato interesse per Platone. La famosa famiglia Medici di Firenze aiutò persino a stabilire un’accademia per favorire lo studio della filosofia platonica. Nel XVI e nel XVII secolo l’interesse per Aristotele diminuì. E la Riforma del XVI secolo non modificò l’insegnamento circa l’anima. Benché i riformatori protestanti non fossero d’accordo con la dottrina del purgatorio, accettarono l’idea della punizione o del premio eterni.
La dottrina dell’immortalità dell’anima è dunque invalsa nella maggior parte delle denominazioni della cristianità. Notandolo, un filosofo americano scrisse: “Religione, nel fatto, significa, per la grande maggioranza della nostra razza, immortalità e null’altro. Dio è quegli che dà l’immortalità”.
Nell’ebraismo e nella cristianità l’idea dell’immortalità dell’anima si fece strada a motivo dell’influenza platonica, mentre nell’Islam il concetto fu immanente dal principio. Questo non vuol dire che i pensatori arabi non abbiano cercato di sintetizzare gli insegnamenti islamici e la filosofia greca. L’opera di Aristotele ebbe infatti una grande influenza sul mondo arabo. E famosi filosofi arabi, come Avicenna e Averroè, esposero ed elaborarono il pensiero aristotelico. Nei loro tentativi di conciliare il pensiero greco con l’insegnamento musulmano dell’anima elaborarono però teorie diverse. Avicenna, per esempio, concluse che l’anima della persona è immortale. Averroè invece era contrario a questa idea. Indipendentemente da queste opinioni, l’immortalità dell’anima rimane qualcosa in cui i musulmani credono.
È chiaro, dunque, che ebraismo, cristianità e Islam insegnano tutti la dottrina dell’immortalità dell’anima.
Fonte:Opuscolo,Cosa accade quando si muore?