Gli "apostati" del Terremoto....

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Futur@.
00venerdì 10 aprile 2009 22:51
Mai come in questi giorni l'intera classe politica si è unita nella certezza che l'intervento della protezione civile e del Governo è stato immediato ed efficace. Addirittura ho sentito il leader di Sinistra e Libertà elogiare Berlusconi.

Tuttavia ieri sera alla trasmissione di Santoro (giornalista che ammiravo fino a ieri appunto) sono andate in onda persone che si lamentavano della protezione civile arrivando a dire che non avevano fatto un tubo! Allora mi sono detta: "Ecco qui i soliti apostati!"...Insomma è la prova fisiologica che c'è sempre chi non è contento dell'organizzazione di qualcosa!

Il Sottosegretario alla Difesa ha fatto notare che è normale che gli aiuti abbiano soddisfatto il 95% della popolazione e che qualcuno non ne sia rimasto contento invece, ma che è assurdo accusare di mancanze la Protezione Civile in questo frangente.

La stessa cosa avviene per gli apostati nel popolo di Geova. Dell'Organizzazione siamo tutti soddisfatti, tuttavia vi deve sempre essere quella piccola minoranza, ovvero esigua se non irrisoria minoranza, che deve aver da ridire sempre e comunque . Poi c'è il "Santoro" di turno che ti organizza magari un Forum dove te li mette tutti insieme e sembrano così TANTI.

Ma la realtà qual'è? Non è certo quella raccontata dai soliti piagnoni di turno. Che rimangono pochi piagnoni e immaturi. [SM=x1408428]
Futur@.
00venerdì 10 aprile 2009 23:56
Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 00:00
Trovo vergognoso attaccare l'operato della Protezione Civile in modo così subdolo e tendenzioso, in nome di non so quale libertà d'informazione! Notate come il giornalista "sobilla" ovvero alimenta il fuoco dell'insoddisfazione con domande tendenziose...... [SM=x1408435]

La stessa cosa accade quando si discriminano i Testimoni di Geova, si attaccano uomini e donne di buona volontà usando argomentazioni pretestuose e incomplete, facendo uso, ovviamente dell'insoddisfatto di turno!
Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 00:01
Questa è la prova di quanto possano valere alcune "testimonianze" di ex-TDG!
Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 00:04
http://www.youtube.com/watch?v=Dwx-2c0SCjE

Allora qual'è la verità? EROI O FANNULLONI?

TESTIMONI DI GEOVA:

FRATELLANZA CRISTIANA O SETTA?


[SM=g8074] Solo tu puoi discernere informandoti sui fatti! NON FARTI INGANNARE! [SM=g7302]
Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 00:09
Per quanto mi riguarda combatterò gli apostati in Rete finchè avrò vita!


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E TU?


[SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274]
Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 00:22
[SM=g8925] ALLA PROTEZIONE CIVILE E A TUTTI I VOLONTARI, VIGILI DEL FUOCO E ALTRI.....


&

[SM=g8925] A DIO PERCHE' HA CREATO I TESTIMONI DI GEOVA
Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 00:25
Scusate il mio modo di postare...ma è il mio stile...e spero faccia riflettere..... [SM=g8925]


QUI
Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 00:42
Se qualcuno può eliminarmi il secondo post il link è sbaglaito, vale il terzo. [SM=g8925]
Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 00:48
Massimo Introvigne-docet

2. Il conflitto fra narrative e la libertà di fronte alle narrative

Gli studenti di sociologia hanno un privilegio che dovrebbero particolarmente apprezzare. Quotidianamente la loro attenzione è attirata sul problema del conflitto fra narrative. Questa attenzione dovrebbe permettere loro di conquistare la più rara fra le libertà, la libertà dalla carta stampata e dalle manipolazioni – volontarie o involontarie – dei mezzi di comunicazione sociale. Nei suoi termini più semplici, il problema del conflitto fra narrative è ovvio. Tre persone assistono a un incidente stradale: quando si tratterà di testimoniare, ognuno lo racconterà in modo diverso. Quattro giornali danno notizia della stessa manifestazione politica: se li si mette l’uno accanto all’altro, sembra che si tratti di manifestazioni diverse. Normalmente i giornali non sono d’accordo fra loro sul numero dei partecipanti, sul successo della manifestazione, sulla capacità degli oratori di esprimersi in modo più o meno brillante. Il problema del conflitto fra narrative è molto complesso, e va al di là della banale osservazione secondo cui i giornalisti – nel riferire avvenimenti politici – sono condizionati dalle loro opinioni. Per comprenderne esattamente le dimensioni, dobbiamo percorrere un itinerario che prevede quattro passaggi.

a. Anzitutto – è il passaggio più evidente – il linguaggio umano è plastico, malleabile e permette di affermare la stessa cosa con accentuazioni diverse. Se in Italia vi sono circa seicentomila appartenenti a nuovi movimenti religiosi in senso stretto, si potrà riferire la notizia dichiarando che i membri delle "sette" in Italia sono addirittura seicentomila o, al contrario, soltanto seicentomila, poco più dell’uno per cento della popolazione. Come tutti sanno un critico teatrale, secondo l’atteggiamento e l’umore, può definire lo stesso teatro "pieno a metà" oppure "mezzo vuoto". L’esempio del teatro è più semplice di quello relativo agli aderenti ai nuovi movimenti religiosi, dove un gran numero di fattori può influenzare la scelta del linguaggio. Un avversario delle "sette", per esempio, potrà avere interesse in un certo contesto a generare allarme sociale presentando il numero degli aderenti come estremamente significativo e minaccioso. In un altro contesto preferirà attirare l’attenzione sul carattere relativamente modesto delle stesse cifre, per dimostrare che il pubblico non ritiene le "sette" credibili e di fatto le condanna all’insuccesso. La stessa scelta delle parole – che diventano facilmente vettori di emozioni profonde – non è neutrale. Se si vuole passare da un linguaggio neutro o pacato a uno emotivo si parlerà, anziché di "membri" di "nuovi movimenti religiosi" o di "minoranze religiose", di "adepti" o "vittime" delle "sette".

b. Nel primo passaggio il conflitto fra narrative si è manifestato nella sua forma più semplice. Gli agenti sociali che producono le narrative diffondono sostanzialmente la stessa narrativa: metà delle sedie di un teatro erano occupate; gli appartenenti a nuovi movimenti religiosi in Italia sono seicentomila. Cercano solo di suscitare nei loro ascoltatori reazioni diverse, modulando opportunamente il linguaggio. La situazione è diversa se leggiamo su un giornale che a una manifestazione hanno partecipato trecentomila persone, e su un altro quotidiano che i partecipanti erano un milione. L’esempio non è teorico, se si pensa semplicemente a manifestazioni politiche italiane del 1996, dalla cosiddetta proclamazione dell’indipendenza della Padania alla protesta del centro-destra contro la politica finanziaria del governo. Così, possiamo leggere cifre in libertà a proposito – per esempio – dei satanisti di Torino. Secondo gli specialisti sono meno di duecento, secondo certi articoli di stampa decine di migliaia. È ormai accertato che il riferimento a quarantamila satanisti torinesi deriva da un pesce d’aprile di successo organizzato da un gruppo di universitari goliardi parecchi anni fa; paradossalmente, l’incredibile cifra è spesso ripetuta ancora oggi. Qui cominciamo ad avvicinarci a dimensioni più profonde del conflitto fra narrative. Un esame delle narrative in termini di "vero" e di "falso" non è, naturalmente, irrilevante. Nel caso classico dei partecipanti a una manifestazione politica, chi la organizza ha evidentemente interesse ad accrescere il numero dei presenti, e gli avversari politici hanno buone ragioni per diminuirlo. Non si tratta, tuttavia, dell’unico elemento che entra in gioco. Può darsi, per esempio, che i termini non siano stati definiti esattamente: fra i "partecipanti" alla manifestazione si devono ricomprendere anche i semplici curiosi, che – per così dire – passavano di lì per caso? Come definire precisamente i membri delle "sette" o "nuovi movimenti religiosi"? Quando si contano i testimoni di Geova, si tratta solo dei "proclamatori" che vanno di porta in porta o di tutta la comunità, bambini compresi? Inoltre – anche se siamo d’accordo sulle definizioni – gli strumenti con cui sono rilevati i dati influenzano i risultati. I sociologi conoscono bene questa problematica perché lavorano spesso tramite questionari. Quanti sono gli italiani che credono nella reincarnazione? Se si pone la domanda in forma "chiusa" – com’è stato fatto in un’indagine recente – chiedendo di scegliere in modo univoco fra reincarnazione e risurrezione cristiana, i reincarnazionisti italiani sono soltanto il quattro per cento (19). Viceversa, se il quesito è posto in modo "aperto", e chi è interrogato può rispondere affermando di credere sia alla reincarnazione sia alla risurrezione cristiana, la percentuale sale oltre il venti per cento, in Italia come in numerosi altri paesi europei (20). Le scienze fisico-matematiche sanno da molti anni che il punto di vista dell’osservatore influenza i risultati dell’osservazione. Questo è evidentemente vero anche per le scienze sociali.

c. È necessario compiere un terzo passo del nostro itinerario. Fino a questo momento abbiamo esaminato narrative molto semplici, che rispondono alla domanda: "Quanto?": "Quante persone hanno partecipato alla manifestazione?", "Quanti sono i testimoni di Geova in Italia?", e così via. Il conflitto fra narrative si fa molto più complesso quando si aggiungono elementi di tipo qualitativo. Se dalla domanda "Quanti sono i testimoni di Geova?" si passa a quesiti del tipo "In che cosa credono i testimoni di Geova?", "Qual è l’esperienza quotidiana dei testimoni di Geova?", qualunque tipo di risposta si presenta nella forma di una narrativa che deve sintetizzare un gran numero di osservazioni. Come si è visto, anche la risposta a un semplice quesito di carattere puramente quantitativo è influenzata dal punto di vista dell’osservatore. Le risposte a quesiti complessi non sono prodotti sociali banali. Sono condizionate da un gran numero di varianti che si riferiscono sia all’osservatore e alle sue capacità, motivazioni, pregiudizi, sia al contesto sociale in cui si trova a operare. Dipendono pure dal numero e dal tipo di osservazioni che è riuscito a effettuare. Evidentemente, infatti, nessuno studioso dei testimoni di Geova conosce tutti gli oltre nove milioni di membri di questo movimento che esistono al mondo, e tanto meno le loro singole, individuali opinioni. Certo, per sapere che cosa pensa un movimento religioso si potrà fare riferimento alla sua letteratura "ufficiale". Ma molto spesso accanto alla letteratura pubblica ne esiste una non pubblica, tanto più nei movimenti che presentano elementi di tipo iniziatico o esoterico. Capita anche che l’esperienza religiosa quotidiana sia influenzata da fattori diversi, e si discosti in modo notevole dai princìpi contenuti in scritture sacre che spesso risalgono a secoli passati. Per conoscere l’esperienza religiosa quotidiana di una qualunque denominazione cristiana dei nostri giorni non è certamente sufficiente la lettura del Vangelo. In altre parole, le narrative di fenomeni complessi – quali sono, per esempio, i movimenti religiosi contemporanei – non sono "fotografie", ma costruzioni sociali articolate, culturalmente condizionate e politicamente negoziate. Il problema è noto agli storici, i quali sanno – per riprendere il titolo di un’opera particolarmente influente di Peter Novick, pubblicata nel 1988 – che la storia "obiettiva" è un "nobile sogno" che riposa su un pregiudizio di carattere oggettivistico. Peter Novick non è un relativista: i fatti storici per lui esistono, è la storiografia a presentarsi come un prodotto sociale condizionato da una molteplicità di fattori (21).

Anche per quanto riguarda il problema del conflitto fra narrative, il movimento anti-sette pensa che la soluzione risieda nella vecchia distinzione fra creed e deed. Si dovrebbe cioè distinguere fra credenza – la cui ricostruzione sarebbe sempre incerta e soggettiva – e comportamento, che potrebbe invece essere "fotografato" e descritto in modo certo. In realtà, come abbiamo già potuto verificare a proposito della problematica giuridica relativa alla libertà religiosa, questa distinzione è fattualmente impossibile. I tribunali, i governi, i lettori di giornali non si trovano di fronte a comportamenti "puri", anche nell’ipotesi che questi ultimi esistano. Incontrano narrative complesse che nascono dalla dialettica fra l’osservazione di un comportamento e le infinite variabili che condizionano il punto di vista dell’osservatore. D’altro canto, è impossibile comprendere un comportamento senza leggerlo in un contesto di tendenze, motivazioni, credenze e premesse che lo ispirano. Nel racconto Il vampiro del Sussex, Sherlock Holmes – e i lettori – si trovano di fronte a narrative il cui oggetto è una donna che è stata vista succhiare il sangue del figlio. Se il celebre detective – come gli stolti che, nel racconto, lo circondano – erigesse una muraglia invalicabile fra il comportamento e il suo contesto, fra deed e creed, e dichiarasse di interessarsi soltanto del primo, farebbe rapidamente arrestare la donna come madre snaturata dedita ad abominevoli pratiche di vampirismo. Ma Sherlock Holmes procede diversamente. Indaga, colloca il comportamento nel suo contesto e scopre che la madre ha succhiato il sangue del figlio per impedirgli di morire avvelenato. Inoltre non ha spiegato le sue azioni per non compromettere l’avvelenatore, un altro membro della famiglia (22). Non sarebbe sufficiente, in questo caso, affermare – come farebbe un positivista "moderato" – che, quando si esaminano i comportamenti, occorre anche tenere conto delle loro motivazioni. Anzitutto, infatti, il positivista dovrebbe spiegarci come pensa di poter conoscere le motivazioni: per il credente solo Dio conosce veramente i segreti dei cuori, per il positivista questi sono – ultimamente – inconoscibili. In secondo luogo l’espressione "motivazioni" è riduttiva per indicare tutto quanto circonda un gesto o un comportamento. La storia del vampiro del Sussex presenta una struttura relativamente semplice se la si paragona, per esempio, alle narrative che dovrebbero trasmetterci il significato globale delle attività di un gruppo sociale o di un movimento religioso. Nell’avventura di Sherlock Holmes il problema non consiste soltanto nel fatto che la donna, succhiando il sangue del figlio, cerca di salvarlo e non di danneggiarlo. Soltanto indagando sulle malsane condizioni della famiglia della donna, l’investigatore scopre perché questa abbia scelto un modo discreto di salvare il figlio anziché cercare aiuto altrove. Non solo: è soltanto il retroterra etnico sudamericano della povera madre che permette a Sherlock Holmes di capire perché si è servita di un modo così originale per risolvere una situazione critica.

Quello del vampiro del Sussex è un caso giudiziario ipotetico e letterario; ma le cose non vanno diversamente nei tribunali veri. Nel caso Yoder del 1972 la Corte Suprema americana non si è limitata a chiedersi perché i genitori amish non inviano i loro figli agli ultimi anni della scuola dell’obbligo. Ha inserito il loro comportamento nel contesto più ampio delle "caratteristiche uniche della fede amish". In questo caso – come in altri decisi dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America in base al principio del compelling interest – non abbiamo né una separazione rigida fra deed e creed, né una semplice indagine sui motivi. Ci troviamo di fronte alla scelta – fra diverse narrative possibili di un episodio – di una narrativa che, inserendolo in un contesto complesso, permette di considerare lecito un comportamento che in astratto sarebbe illecito. In paesi diversi dagli Stati Uniti d’America la consapevolezza di questo modo di procedere è spesso minore. Ma nessuno può seriamente negare che le decisioni dei tribunali non rispondono meccanicamente a "fotografie" univoche di comportamenti come potrebbe fare un computer. Scelgono fra le varie narrative che sono presentate ai giudici in una situazione che è fortemente influenzata da condizionamenti culturali, sociali e politici. In materia di nuovi movimenti religiosi vi è, semmai, negli Stati Uniti d’America una maggiore consapevolezza – rispetto all’Europa e al Giappone – dell’estrema complessità dei problemi che riguardano la religione. Nel sistema giudiziario statunitense i "testimoni esperti" – expert witnesses – citati dalle parti permettono ai giudici – e alle giurie, dove sono presenti – di trovarsi di fronte a un gran numero di narrative diverse. È fatto loro obbligo, naturalmente, di dichiarare se e da chi ricevono un onorario, e di rispettare le regole deontologiche della loro professione. Una corte che deve pronunciarsi, per esempio, sulla Scientologia ascolterà così – sulle stesse attività – i resoconti diversi di membri soddisfatti, di militanti dei movimenti anti-sette, di ex membri ostili, di psichiatri di vario orientamento, di specialisti accademici, e così via. Lo stesso avviene normalmente in occasione di indagini parlamentari, come quella recente sui fatti di Waco. I poteri pubblici e i tribunali – che non hanno, normalmente, una competenza specifica in materia di movimenti religiosi – potranno avvicinarsi a una comprensione – sempre e in ogni caso difficile ed elusiva – di questi fenomeni mediando fra le varie narrative.

In Europa la situazione è molto più confusa. La principale critica metodologica che si può rivolgere al rapporto parlamentare francese Les Sectes en France è precisamente quella di non aver mediato fra le narrative di eventi di cui i membri della commissione non potevano avere conoscenza diretta. Il rapporto ha invece privilegiato le narrative degli ex membri ostili e dei militanti anti-sette, su cui il documento è fondato in modo pressoché esclusivo. Secondo una critica frequente e mai smentita, della lista dei testimoni ascoltati dalla commissione – peraltro in segreto – non faceva parte neppure un solo specialista universitario di scienze religiose (23). Lo stesso rischia di avvenire in altri contesti europei, e si verifica anche nei tribunali.

Un esempio particolarmente interessante è costituito dal processo a un gruppo di scientologi che si è tenuto a Lione nell’ottobre del 1996. In astratto si potrebbe ritenere che questo processo – secondo un modello più francese che americano – avrebbe dovuto occuparsi esclusivamente degli specifici reati di cui erano accusati alcuni singoli scientologi, e non della Scientologia in generale. Se però si legge la sentenza – sul cui merito, quanto ai singoli imputati e alle loro responsabilità, non è mia intenzione entrare in questa sede – ci si accorge che non è affatto così. Questa sentenza (24) comprende un ampio "secondo capitolo" dove sono ricostruite la dottrina e le "tecniche" della Scientologia. Il Tribunale di Lione – che fra l’altro afferma, in grassetto, che la libertà religiosa trova i suoi limiti "nell’interesse dell’ordine pubblico" (25) e i cui giudici non sono, evidentemente, specialisti di nuovi movimenti religiosi – ha, certo, citato anche pubblicazioni della stessa Scientologia. Ma ha ricostruito la natura e il funzionamento del movimento utilizzando pressoché esclusivamente – fra le diverse narrative possibili – quelle che provengono da due fonti: gli ex membri ostili e i militanti anti-sette. La sentenza cita ampiamente la perizia di uno psichiatra francese che è uno dei più attivi militanti anti-sette del paese. Non manca di fare riferimento anche al rapporto parlamentare Les Sectes en France per concludere che la Scientologia "presenta le caratteristiche scelte dalla Commissione [parlamentare] per attribuirle questa qualifica [di setta]" (26). Il Tribunale di Lione non si è affatto limitato a esaminare i singoli reati di cui erano accusati alcuni singoli scientologi, ma – e difficilmente avrebbe potuto fare altrimenti – ha inserito questi "comportamenti" in un contesto globale che implica una valutazione complessiva della Scientologia. In astratto sarebbe stato possibile arrivare a questa valutazione attraverso il metodo della mediazione fra le narrative. La difesa della Scientologia aveva chiamato come testimoni alcuni eminenti sociologi europei, specialisti fra i più noti dei nuovi movimenti religiosi – come i professori Bryan R. Wilson e Karel Dobbelaere –, e anche il sottoscritto. Ma il clima giuridico e culturale francese è ben diverso da quello statunitense, dove in un processo simile il confronto fra narrative sarebbe stato il tema centrale, e l’audizione di specialisti universitari sarebbe stata data per scontata. Il tentativo degli specialisti di scienze sociali di offrire una narrativa diversa rispetto a quella dei militanti anti-sette o degli ex membri ostili è stato attaccato dalla stampa come se fosse una presa di posizione acritica in favore della Scientologia, anche se diversi sociologi ascoltati come testimoni hanno dichiarato di essere personalmente in disaccordo con le dottrine e le pratiche del movimento (27). E il Tribunale ha considerato queste testimonianze irrilevanti, neppure menzionandole nella sentenza.

È necessario, a questo proposito, evitare alcuni equivoci in cui è facile cadere. Anzitutto, gli specialisti universitari non pretendono affatto un monopolio del sapere in materia di nuovi movimenti religiosi. I sociologi, in particolare, sono certamente capaci di applicare a sé stessi il loro metodo, e di "esaminare la loro stessa funzione nel processo di costruzione del sapere in materia di nuovi movimenti religiosi dal punto di vista della sociologia della conoscenza" (28). Gli specialisti universitari costituiscono, nel loro insieme – e senza trascurare il fatto che nel loro mondo coesistono opinioni diverse –, una delle diverse agenzie che producono narrative in tema di nuovi movimenti religiosi. Certamente anche le loro teorie sono culturalmente condizionate, se non altro dal desiderio di "proteggere il proprio campo professionale" contro le intrusioni di militanti dilettanti che propongono "un’ideologia che cerca di mascherarsi da scienza", il che normalmente disturba gli accademici (29). Certo, si potrà ritenere che le narrative degli specialisti universitari che osservano e descrivono i nuovi movimenti religiosi con una specifica professionalità debbano essere prese in considerazione con particolare attenzione. Allo stesso modo – confrontando narrative diverse a proposito dei problemi che riguardano i nostri denti – si potrà ritenere particolarmente interessante l’opinione dei dentisti. Ma – in un contesto dove si tende semmai a insistere sul fatto che anche l’esperto non è immune da condizionamenti culturali e professionali – sarebbe certamente sbagliato affidarsi unicamente alle narrative che provengono dagli specialisti universitari di scienze religiose, né essi avanzano pretese monopolistiche di questo genere.

D’altro canto, è ancora più sbagliato affidare un ruolo privilegiato – o addirittura esclusivo – alle narrative degli ex membri ostili di un movimento religioso. Anzitutto, i nuovi movimenti religiosi hanno normalmente un enorme turnover. Assomigliano a grandi stazioni, dove vi è sempre qualcuno, perché – se molti viaggiatori arrivano – altri partono. Gli ex membri di nuovi movimenti religiosi sono, pertanto, milioni. Devono essere studiati nel loro insieme, senza concentrarsi sulla piccola minoranza di qualche centinaio di persone che brucia gli idoli che un tempo aveva adorato e s’impegna attivamente nei movimenti anti-sette. La maggioranza delle persone che lascia un nuovo movimento religioso rifluisce tranquillamente nella società – o si cerca un’altra fede –, senza intraprendere alcuna iniziativa polemica nei confronti del gruppo che ha lasciato. Gli ex membri ostili possono talora offrire narrative interessanti – e il loro tormentato itinerario umano merita comunque rispetto –, ma hanno evidentemente buone ragioni per spiegare con "storie di atrocità" scelte del loro passato che oggi giudicano aberranti (30). È del tutto mitologico ritenere che gli specialisti universitari di scienze religiose si disinteressino dei resoconti degli ex membri ostili. Tutti gli studi monografici di livello universitario su questo o quel movimento ne tengono conto. Ma li trattano con circospezione e non li considerano una fonte privilegiata né unica. In realtà, qualunque specialista ha intervistato, durante la sua carriera, decine o centinaia di ex-membri di nuovi movimenti religiosi, alcuni ancora disponibili a esprimere simpatia per il movimento che hanno lasciato, altri indifferenti oppure ostili. Uno dei miti meno fondati che fa da sfondo al conflitto fra narrative in materia di nuovi movimenti religiosi è quello secondo cui gli specialisti accademici ne avrebbero un’esperienza "teorica", mentre gli attivisti anti-sette avrebbero un sapere "pratico", ultimamente più utile. Non è affatto così, perché gli studiosi accademici – se sono autentici specialisti di questo settore – hanno normalmente intervistato centinaia di persone sia fra i membri sia fra gli ex membri, e hanno anche trascorso qualche tempo all’interno dei movimenti. Le informazioni degli attivisti anti-sette, invece, vengono normalmente solo dagli ex membri, dai testi scritti e, talora, da qualche rapida osservazione sotto mentite spoglie, generalmente non molto produttiva.

Da questo punto di vista l’esperienza degli specialisti universitari è molto più "pratica" di quella degli attivisti anti-sette. Questi ultimi obiettano che l’osservazione partecipante non serve a nulla, perché le "sette" fanno vedere all’ingenuo specialista soltanto quello che vogliono. Commenti di questo genere possono essere formulati soltanto da chi non sa neppure che cosa sia l’osservazione partecipante. Certo, esistono segreti di natura criminale all’interno di movimenti religiosi – e non religiosi – che l’osservatore sociologico non scopre. Di solito non li scopre neppure l’attivista anti-sette, né sono noti all’ex membro ostile di basso livello. È il caso delle attività di alcuni dirigenti della Aum Shinri-kyo giapponese relative al traffico di droga e di armi chimiche. Se si eccettuano questi casi limite, lo specialista che trascorre non soltanto qualche ora, ma settimane o mesi frequentando regolarmente un movimento, ne condivide la vita e stringe una rete di rapporti personali con un certo numero di membri, i quali non parlano necessariamente in termini positivi gli uni degli altri. Di solito finisce per accumulare un numero di informazioni veramente ampio, e non tutte favorevoli, sul gruppo che osserva. Forse citare un esempio personale non è di buon gusto. Mi chiedo tuttavia quanti attivisti anti-sette conoscessero le pratiche di magia sessuale di tutta una serie di gruppi occultisti e satanisti prima di averle viste descritte nei miei volumi Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo e Indagine sul satanismo. Satanisti e anti-satanisti dal Seicento ai nostri giorni. Sono volumi da cui attingono a piene mani, spesso dimenticandosi di citare la fonte (31). Mi chiedo pure quanti detrattori di The Family – il movimento un tempo noto come Bambini di Dio – conoscerebbero la dinamica esatta delle pratiche sessuali più controverse e aberranti che avevano corso presso i Bambini di Dio fino a qualche anno fa se non avessero letto gli studi di J. Gordon Melton. Gli stessi detrattori criticano J. Gordon Melton per la sua fiducia – peraltro confermata da sentenze di tribunali di tutto il mondo – nei reali cambiamenti che sono avvenuti negli ultimi anni in The Family. Questi esempi non dimostrano forse che lo specialista – il quale, naturalmente, ha i suoi limiti – vede, nell’osservazione partecipante, quello che è capace di vedere, non soltanto quello che il movimento vuole che veda? Certo, l’osservazione partecipante non è un metodo che permette di scoprire tutto su un movimento: un tale metodo, semplicemente, non esiste. Ma attraverso l’osservazione partecipante si acquista su una determinata realtà un sapere molto più "pratico" e completo di quello che emerge dal semplice ascolto delle narrative degli ex membri, o dalla semplice lettura di fonti scritte, senza che questi due ultimi elementi debbano essere, peraltro, trascurati.

d. Vi è, infine, un quarto passo che è necessario compiere per evitare equivoci pericolosi. La realtà esiste. L’idealismo e il relativismo sono errori filosofici che si confutano da soli (32). La conoscenza perfetta di un fenomeno complesso non è accessibile agli uomini. Tuttavia è possibile costruire "modelli", "figure" o "narrative" che hanno un rapporto più o meno accettabile di analogia con la realtà (33). L’analogia – non una presunta corrispondenza "fotografica" – con la realtà diventerà uno degli elementi per valutare il modello insieme alla fecondità scientifica, alla capacità di chiarire e di spiegare, alla coerenza interna. Il relativista ha – paradossalmente – ragione quando denuncia la "fallacia naturalistica" secondo cui esisterebbe una narrativa "vera" in grado di fotografare perfettamente la realtà e di stabilire con il reale un rapporto di identità (34). Il relativista, tuttavia, ha torto quando lascia intendere che tutte le narrative sono di uguale valore. Il sapere umano – e anche le esigenze della semplice convivenza fra gli uomini – si basano sulla continua ricerca di narrative, di modelli e di figure che spieghino e che chiariscano meglio il fenomeno a cui si riferiscono, e il cui rapporto di analogia con il reale sia meno lontano dall’identità, peraltro irraggiungibile.

Le narrative non nascono nel vuoto: sono costruzioni sociali continuamente negoziate dal punto di vista culturale e, lato sensu, politico. La libertà di fronte alle narrative – che insegna a non darne nessuna per scontata, per quanto sembri autorevole la carta su cui è stampata – costituisce una grande ricchezza soggettiva, e un autentico dono che si può acquistare tramite una buona formazione nelle scienze sociali. Perché questa libertà si rifletta e sia garantita anche sul piano oggettivo, è necessario che i poteri pubblici – le agenzie governative, la magistratura e i parlamenti – svolgano, su terreni delicatissimi come quello dei nuovi movimenti religiosi, una funzione di mediatori fra narrative diverse. Questa funzione è tradita – e la libertà, anche in questo caso, si riduce a una larva o a un fantasma – se una commissione parlamentare, un ministero o un tribunale decidono di fare propria, presentandola come "vera", una delle narrative che si confrontano e si contrappongono, ignorando le altre. È quanto avviene quando un’agenzia governativa, un gruppo di parlamentari o una corte di giustizia ricostruiscono la problematica dei nuovi movimenti religiosi in genere – o di un movimento in particolare – servendosi esclusivamente – qualche volta ostentatamente – della narrativa elaborata dagli ambienti anti-sette e dagli ex membri ostili. Ignorano così le altre narrative, che provengono dagli specialisti universitari, dagli ex membri non ostili e da chi rimane nei movimenti dichiarandosi soddisfatto (35). La situazione è complicata dal fatto che qualche volta certi uomini politici – e certi giornalisti – impegnano la loro credibilità nel sostegno alla narrativa che hanno scelto. La avvertono come loro e aggrediscono chi ha opinioni diverse – in particolare gli specialisti accademici – con espressioni che si vergognerebbero di usare in una normale conversazione fra amici, in nome della semplice buona educazione. Gridare, tuttavia, non risolve i problemi. Di fronte a un conflitto, la libertà è garantita soltanto se i poteri pubblici rinunciano a sposare una delle narrative contrapposte, imparano a riconoscerle tutte come culturalmente condizionate e svolgono la loro funzione propriamente politica, che è di mediazione. Nella controversia sulle "sette" la libertà diventa un fantasma se i poteri pubblici – di fronte al conflitto fra le narrative – non si pongono come arbitri, ma come parti.



[URL=]http://www.cesnur.org/2001/archive/mi_fantasma.htm

Jon Konneri
00sabato 11 aprile 2009 00:50
Re:
Futur@., 11/04/2009 0.09:

Per quanto mi riguarda combatterò gli apostati in Rete finchè avrò vita!


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E TU?


[SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274] [SM=g6274]




[SM=g8336] [SM=g8336] [SM=g8336] Penso che tu stessa sei apostata.
Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 00:52
Il sito lorenziano è interamente basato su testimonianze di ex-TDG, quindi la sua attendibilità è pari allo ZERO sociologicamente parlando. Ecco quindi che si riduce ad un ricettacolo stile comari che criticano il tronista di turno da Maria De Filippi. [SM=g7153]
Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 00:56
NOTA:


D’altro canto, è ancora più sbagliato affidare un ruolo privilegiato – o addirittura esclusivo – alle narrative degli ex membri ostili di un movimento religioso. Anzitutto, i nuovi movimenti religiosi hanno normalmente un enorme turnover. Assomigliano a grandi stazioni, dove vi è sempre qualcuno, perché – se molti viaggiatori arrivano – altri partono. Gli ex membri di nuovi movimenti religiosi sono, pertanto, milioni. Devono essere studiati nel loro insieme, senza concentrarsi sulla piccola minoranza di qualche centinaio di persone che brucia gli idoli che un tempo aveva adorato e s’impegna attivamente nei movimenti anti-sette. La maggioranza delle persone che lascia un nuovo movimento religioso rifluisce tranquillamente nella società – o si cerca un’altra fede –, senza intraprendere alcuna iniziativa polemica nei confronti del gruppo che ha lasciato. Gli ex membri ostili possono talora offrire narrative interessanti – e il loro tormentato itinerario umano merita comunque rispetto –, ma hanno evidentemente buone ragioni per spiegare con "storie di atrocità" scelte del loro passato che oggi giudicano aberranti (30). È del tutto mitologico ritenere che gli specialisti universitari di scienze religiose si disinteressino dei resoconti degli ex membri ostili. Tutti gli studi monografici di livello universitario su questo o quel movimento ne tengono conto. Ma li trattano con circospezione e non li considerano una fonte privilegiata né unica. In realtà, qualunque specialista ha intervistato, durante la sua carriera, decine o centinaia di ex-membri di nuovi movimenti religiosi, alcuni ancora disponibili a esprimere simpatia per il movimento che hanno lasciato, altri indifferenti oppure ostili. Uno dei miti meno fondati che fa da sfondo al conflitto fra narrative in materia di nuovi movimenti religiosi è quello secondo cui gli specialisti accademici ne avrebbero un’esperienza "teorica", mentre gli attivisti anti-sette avrebbero un sapere "pratico", ultimamente più utile. Non è affatto così, perché gli studiosi accademici – se sono autentici specialisti di questo settore – hanno normalmente intervistato centinaia di persone sia fra i membri sia fra gli ex membri, e hanno anche trascorso qualche tempo all’interno dei movimenti. Le informazioni degli attivisti anti-sette, invece, vengono normalmente solo dagli ex membri, dai testi scritti e, talora, da qualche rapida osservazione sotto mentite spoglie, generalmente non molto produttiva
F.Delemme
00sabato 11 aprile 2009 08:56
Cara Futur@, la tua analisi è esatta.

1. Santoro e soci sono disfattisti, ipocriti e asserviti ad un sistema legato all'estremismo distruttivo. Attaccare la Protezione Civile, accusandola di "non aver fatto niente" (forse perché al governo ci sono persone di schieramento diverso) è la cosa più ignobile che potesse fare Santoro e alcuni suoi ospiti, ivi compreso l'ex Giudice De Magistris che ora attacca la magistratura.
Non dimenticandoci che tutto ciò avviene in RAI, servizio pubblico a pagamento.

2. Lo stesso discorso vale per quei quattro pusillanimi che attaccano i testimoni di Geova sempre e continuamente. E' uno squallore continuo, un perpetuarsi di disinformazione e ridicole presentazioni di fatti estremizzati al massimo per mettere in cattiva luce la nostra Confessione. E' uno stillicidio continuo di banalità, di squallidi ragionamenti, di subdole accuse preconfezionate e basate su cose campate in aria.
All'interno di quel forum è un abbaiare continuo ed un contraddirsi a vicenda.
Gli ex testimoni di Geova presenti in quel forum sono quelli che hanno causato solo problemi e che rappresentano se stessi e la loro ipocrisia. Persone che non potevano stare all'interno della nostra Congregazione e per un motivo e/o per un altro sono andate via.

Ora, pur di contraddire chi è rimasto dentro l'Organizzazione, sono diventati trinitari, sono contrari alla disassociazione, speculano su tutto quello che i testimoni di Geova con onestà e serietà hanno costruito in più di centovent'anni di vita.

Noi ci costruiamo le Sale del Regno (e siamo sfruttati)-E LORO CHE FANNO?-; Noi assistiamo e partecipiamo a tutte le nostre funzioni religiose (e siamo dei decerebrati) -E LORO CHE FANNO?-; Noi diamo delle indicazioni cristiane ai nostri figli (e siamo degli irresponsabili)-E LORO CHE FANNO?-; Noi cerchiamo di vivere la nostra vita seguendo al massimo le istruzioni cristiane (e siamo stati abbindolati)-E LORO CHE FANNO?-; Noi predichiamo ad uso evangelico il messaggio divino (e siamo stati ingannati)-E LORO CHE FANNO?-...

Oltre a stendere il classico velo pietoso su questa gente, sarebbe saggio riflettere sui consigli apostolici...

Filippo Delemme


Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 09:04
Bravo Filippo! Stamattina leggevo una discussione sul Forum Discarica in questione intitolata "Sono Banalità"? e si sottolineava la malafede del Corpo Direttivo perchè proibirebbe la barba! [SM=x1408442] Sono andata a fare una ricerca col WTL e non ho trovato una sola riga dove si proibisce la barba! [SM=g8298] Questo a dimostrazione di quanto ne sappiano davvero delle nostre presunte regole.

Un chirichetto per svolgere la sua mansione deve vestirsi in un certo modo...per non parlare dei vari ordini o congregazioni cattoliche...che appunto si chiamano REGOLA (vedi regola di san Francesco...regola di Tizio e Caio e così via...)...proprio perchè sono vincolati a regole di abbigliamento e comportamento davvero asfissianti, ad esempio la REGOLA che ti impone il CELIBATO! E questa cosa non avviene secondo gli usi e i costumi del posto (vedi TDG in Scozia con la gonna e in Africa senza cravatta) ma è a livello mondiale.

Allora chi è schiavo delle regole? [SM=x1408430]
Futur@.
00sabato 11 aprile 2009 14:59
Ma vi rendete conto? Nel Forum Discarica si stanno a piangre i soldi spesi per i collant quando erano testimone di Geova e addirittura rimpiangono di non aver mostrato il decolté al marito....come se il marito non le avesse mai viste nude! Il decolté per chi sarebbe per tuo marito o per gli altri uomini?

E ora si sentono libere perchè portano i pantaloni! Roba da matti ragazzi! Ci vorrebbe una seduta in massa da uno psicanalista, ma da uno di quelli bravi però! [SM=g11859] [SM=g7303]
todiniano
00sabato 11 aprile 2009 17:48
Re: Massimo Introvigne-docet
Futur@., 11/04/2009 0.48:

2. Il conflitto fra narrative e la libertà di fronte alle narrative

Gli studenti di sociologia hanno un privilegio che dovrebbero particolarmente apprezzare. Quotidianamente la loro attenzione è attirata sul problema del conflitto fra narrative. Questa attenzione dovrebbe permettere loro di conquistare la più rara fra le libertà, la libertà dalla carta stampata e dalle manipolazioni – volontarie o involontarie – dei mezzi di comunicazione sociale. Nei suoi termini più semplici, il problema del conflitto fra narrative è ovvio. Tre persone assistono a un incidente stradale: quando si tratterà di testimoniare, ognuno lo racconterà in modo diverso. Quattro giornali danno notizia della stessa manifestazione politica: se li si mette l’uno accanto all’altro, sembra che si tratti di manifestazioni diverse. Normalmente i giornali non sono d’accordo fra loro sul numero dei partecipanti, sul successo della manifestazione, sulla capacità degli oratori di esprimersi in modo più o meno brillante. Il problema del conflitto fra narrative è molto complesso, e va al di là della banale osservazione secondo cui i giornalisti – nel riferire avvenimenti politici – sono condizionati dalle loro opinioni. Per comprenderne esattamente le dimensioni, dobbiamo percorrere un itinerario che prevede quattro passaggi.

a. Anzitutto – è il passaggio più evidente – il linguaggio umano è plastico, malleabile e permette di affermare la stessa cosa con accentuazioni diverse. Se in Italia vi sono circa seicentomila appartenenti a nuovi movimenti religiosi in senso stretto, si potrà riferire la notizia dichiarando che i membri delle "sette" in Italia sono addirittura seicentomila o, al contrario, soltanto seicentomila, poco più dell’uno per cento della popolazione. Come tutti sanno un critico teatrale, secondo l’atteggiamento e l’umore, può definire lo stesso teatro "pieno a metà" oppure "mezzo vuoto". L’esempio del teatro è più semplice di quello relativo agli aderenti ai nuovi movimenti religiosi, dove un gran numero di fattori può influenzare la scelta del linguaggio. Un avversario delle "sette", per esempio, potrà avere interesse in un certo contesto a generare allarme sociale presentando il numero degli aderenti come estremamente significativo e minaccioso. In un altro contesto preferirà attirare l’attenzione sul carattere relativamente modesto delle stesse cifre, per dimostrare che il pubblico non ritiene le "sette" credibili e di fatto le condanna all’insuccesso. La stessa scelta delle parole – che diventano facilmente vettori di emozioni profonde – non è neutrale. Se si vuole passare da un linguaggio neutro o pacato a uno emotivo si parlerà, anziché di "membri" di "nuovi movimenti religiosi" o di "minoranze religiose", di "adepti" o "vittime" delle "sette".

b. Nel primo passaggio il conflitto fra narrative si è manifestato nella sua forma più semplice. Gli agenti sociali che producono le narrative diffondono sostanzialmente la stessa narrativa: metà delle sedie di un teatro erano occupate; gli appartenenti a nuovi movimenti religiosi in Italia sono seicentomila. Cercano solo di suscitare nei loro ascoltatori reazioni diverse, modulando opportunamente il linguaggio. La situazione è diversa se leggiamo su un giornale che a una manifestazione hanno partecipato trecentomila persone, e su un altro quotidiano che i partecipanti erano un milione. L’esempio non è teorico, se si pensa semplicemente a manifestazioni politiche italiane del 1996, dalla cosiddetta proclamazione dell’indipendenza della Padania alla protesta del centro-destra contro la politica finanziaria del governo. Così, possiamo leggere cifre in libertà a proposito – per esempio – dei satanisti di Torino. Secondo gli specialisti sono meno di duecento, secondo certi articoli di stampa decine di migliaia. È ormai accertato che il riferimento a quarantamila satanisti torinesi deriva da un pesce d’aprile di successo organizzato da un gruppo di universitari goliardi parecchi anni fa; paradossalmente, l’incredibile cifra è spesso ripetuta ancora oggi. Qui cominciamo ad avvicinarci a dimensioni più profonde del conflitto fra narrative. Un esame delle narrative in termini di "vero" e di "falso" non è, naturalmente, irrilevante. Nel caso classico dei partecipanti a una manifestazione politica, chi la organizza ha evidentemente interesse ad accrescere il numero dei presenti, e gli avversari politici hanno buone ragioni per diminuirlo. Non si tratta, tuttavia, dell’unico elemento che entra in gioco. Può darsi, per esempio, che i termini non siano stati definiti esattamente: fra i "partecipanti" alla manifestazione si devono ricomprendere anche i semplici curiosi, che – per così dire – passavano di lì per caso? Come definire precisamente i membri delle "sette" o "nuovi movimenti religiosi"? Quando si contano i testimoni di Geova, si tratta solo dei "proclamatori" che vanno di porta in porta o di tutta la comunità, bambini compresi? Inoltre – anche se siamo d’accordo sulle definizioni – gli strumenti con cui sono rilevati i dati influenzano i risultati. I sociologi conoscono bene questa problematica perché lavorano spesso tramite questionari. Quanti sono gli italiani che credono nella reincarnazione? Se si pone la domanda in forma "chiusa" – com’è stato fatto in un’indagine recente – chiedendo di scegliere in modo univoco fra reincarnazione e risurrezione cristiana, i reincarnazionisti italiani sono soltanto il quattro per cento (19). Viceversa, se il quesito è posto in modo "aperto", e chi è interrogato può rispondere affermando di credere sia alla reincarnazione sia alla risurrezione cristiana, la percentuale sale oltre il venti per cento, in Italia come in numerosi altri paesi europei (20). Le scienze fisico-matematiche sanno da molti anni che il punto di vista dell’osservatore influenza i risultati dell’osservazione. Questo è evidentemente vero anche per le scienze sociali.

c. È necessario compiere un terzo passo del nostro itinerario. Fino a questo momento abbiamo esaminato narrative molto semplici, che rispondono alla domanda: "Quanto?": "Quante persone hanno partecipato alla manifestazione?", "Quanti sono i testimoni di Geova in Italia?", e così via. Il conflitto fra narrative si fa molto più complesso quando si aggiungono elementi di tipo qualitativo. Se dalla domanda "Quanti sono i testimoni di Geova?" si passa a quesiti del tipo "In che cosa credono i testimoni di Geova?", "Qual è l’esperienza quotidiana dei testimoni di Geova?", qualunque tipo di risposta si presenta nella forma di una narrativa che deve sintetizzare un gran numero di osservazioni. Come si è visto, anche la risposta a un semplice quesito di carattere puramente quantitativo è influenzata dal punto di vista dell’osservatore. Le risposte a quesiti complessi non sono prodotti sociali banali. Sono condizionate da un gran numero di varianti che si riferiscono sia all’osservatore e alle sue capacità, motivazioni, pregiudizi, sia al contesto sociale in cui si trova a operare. Dipendono pure dal numero e dal tipo di osservazioni che è riuscito a effettuare. Evidentemente, infatti, nessuno studioso dei testimoni di Geova conosce tutti gli oltre nove milioni di membri di questo movimento che esistono al mondo, e tanto meno le loro singole, individuali opinioni. Certo, per sapere che cosa pensa un movimento religioso si potrà fare riferimento alla sua letteratura "ufficiale". Ma molto spesso accanto alla letteratura pubblica ne esiste una non pubblica, tanto più nei movimenti che presentano elementi di tipo iniziatico o esoterico. Capita anche che l’esperienza religiosa quotidiana sia influenzata da fattori diversi, e si discosti in modo notevole dai princìpi contenuti in scritture sacre che spesso risalgono a secoli passati. Per conoscere l’esperienza religiosa quotidiana di una qualunque denominazione cristiana dei nostri giorni non è certamente sufficiente la lettura del Vangelo. In altre parole, le narrative di fenomeni complessi – quali sono, per esempio, i movimenti religiosi contemporanei – non sono "fotografie", ma costruzioni sociali articolate, culturalmente condizionate e politicamente negoziate. Il problema è noto agli storici, i quali sanno – per riprendere il titolo di un’opera particolarmente influente di Peter Novick, pubblicata nel 1988 – che la storia "obiettiva" è un "nobile sogno" che riposa su un pregiudizio di carattere oggettivistico. Peter Novick non è un relativista: i fatti storici per lui esistono, è la storiografia a presentarsi come un prodotto sociale condizionato da una molteplicità di fattori (21).

Anche per quanto riguarda il problema del conflitto fra narrative, il movimento anti-sette pensa che la soluzione risieda nella vecchia distinzione fra creed e deed. Si dovrebbe cioè distinguere fra credenza – la cui ricostruzione sarebbe sempre incerta e soggettiva – e comportamento, che potrebbe invece essere "fotografato" e descritto in modo certo. In realtà, come abbiamo già potuto verificare a proposito della problematica giuridica relativa alla libertà religiosa, questa distinzione è fattualmente impossibile. I tribunali, i governi, i lettori di giornali non si trovano di fronte a comportamenti "puri", anche nell’ipotesi che questi ultimi esistano. Incontrano narrative complesse che nascono dalla dialettica fra l’osservazione di un comportamento e le infinite variabili che condizionano il punto di vista dell’osservatore. D’altro canto, è impossibile comprendere un comportamento senza leggerlo in un contesto di tendenze, motivazioni, credenze e premesse che lo ispirano. Nel racconto Il vampiro del Sussex, Sherlock Holmes – e i lettori – si trovano di fronte a narrative il cui oggetto è una donna che è stata vista succhiare il sangue del figlio. Se il celebre detective – come gli stolti che, nel racconto, lo circondano – erigesse una muraglia invalicabile fra il comportamento e il suo contesto, fra deed e creed, e dichiarasse di interessarsi soltanto del primo, farebbe rapidamente arrestare la donna come madre snaturata dedita ad abominevoli pratiche di vampirismo. Ma Sherlock Holmes procede diversamente. Indaga, colloca il comportamento nel suo contesto e scopre che la madre ha succhiato il sangue del figlio per impedirgli di morire avvelenato. Inoltre non ha spiegato le sue azioni per non compromettere l’avvelenatore, un altro membro della famiglia (22). Non sarebbe sufficiente, in questo caso, affermare – come farebbe un positivista "moderato" – che, quando si esaminano i comportamenti, occorre anche tenere conto delle loro motivazioni. Anzitutto, infatti, il positivista dovrebbe spiegarci come pensa di poter conoscere le motivazioni: per il credente solo Dio conosce veramente i segreti dei cuori, per il positivista questi sono – ultimamente – inconoscibili. In secondo luogo l’espressione "motivazioni" è riduttiva per indicare tutto quanto circonda un gesto o un comportamento. La storia del vampiro del Sussex presenta una struttura relativamente semplice se la si paragona, per esempio, alle narrative che dovrebbero trasmetterci il significato globale delle attività di un gruppo sociale o di un movimento religioso. Nell’avventura di Sherlock Holmes il problema non consiste soltanto nel fatto che la donna, succhiando il sangue del figlio, cerca di salvarlo e non di danneggiarlo. Soltanto indagando sulle malsane condizioni della famiglia della donna, l’investigatore scopre perché questa abbia scelto un modo discreto di salvare il figlio anziché cercare aiuto altrove. Non solo: è soltanto il retroterra etnico sudamericano della povera madre che permette a Sherlock Holmes di capire perché si è servita di un modo così originale per risolvere una situazione critica.

Quello del vampiro del Sussex è un caso giudiziario ipotetico e letterario; ma le cose non vanno diversamente nei tribunali veri. Nel caso Yoder del 1972 la Corte Suprema americana non si è limitata a chiedersi perché i genitori amish non inviano i loro figli agli ultimi anni della scuola dell’obbligo. Ha inserito il loro comportamento nel contesto più ampio delle "caratteristiche uniche della fede amish". In questo caso – come in altri decisi dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America in base al principio del compelling interest – non abbiamo né una separazione rigida fra deed e creed, né una semplice indagine sui motivi. Ci troviamo di fronte alla scelta – fra diverse narrative possibili di un episodio – di una narrativa che, inserendolo in un contesto complesso, permette di considerare lecito un comportamento che in astratto sarebbe illecito. In paesi diversi dagli Stati Uniti d’America la consapevolezza di questo modo di procedere è spesso minore. Ma nessuno può seriamente negare che le decisioni dei tribunali non rispondono meccanicamente a "fotografie" univoche di comportamenti come potrebbe fare un computer. Scelgono fra le varie narrative che sono presentate ai giudici in una situazione che è fortemente influenzata da condizionamenti culturali, sociali e politici. In materia di nuovi movimenti religiosi vi è, semmai, negli Stati Uniti d’America una maggiore consapevolezza – rispetto all’Europa e al Giappone – dell’estrema complessità dei problemi che riguardano la religione. Nel sistema giudiziario statunitense i "testimoni esperti" – expert witnesses – citati dalle parti permettono ai giudici – e alle giurie, dove sono presenti – di trovarsi di fronte a un gran numero di narrative diverse. È fatto loro obbligo, naturalmente, di dichiarare se e da chi ricevono un onorario, e di rispettare le regole deontologiche della loro professione. Una corte che deve pronunciarsi, per esempio, sulla Scientologia ascolterà così – sulle stesse attività – i resoconti diversi di membri soddisfatti, di militanti dei movimenti anti-sette, di ex membri ostili, di psichiatri di vario orientamento, di specialisti accademici, e così via. Lo stesso avviene normalmente in occasione di indagini parlamentari, come quella recente sui fatti di Waco. I poteri pubblici e i tribunali – che non hanno, normalmente, una competenza specifica in materia di movimenti religiosi – potranno avvicinarsi a una comprensione – sempre e in ogni caso difficile ed elusiva – di questi fenomeni mediando fra le varie narrative.

In Europa la situazione è molto più confusa. La principale critica metodologica che si può rivolgere al rapporto parlamentare francese Les Sectes en France è precisamente quella di non aver mediato fra le narrative di eventi di cui i membri della commissione non potevano avere conoscenza diretta. Il rapporto ha invece privilegiato le narrative degli ex membri ostili e dei militanti anti-sette, su cui il documento è fondato in modo pressoché esclusivo. Secondo una critica frequente e mai smentita, della lista dei testimoni ascoltati dalla commissione – peraltro in segreto – non faceva parte neppure un solo specialista universitario di scienze religiose (23). Lo stesso rischia di avvenire in altri contesti europei, e si verifica anche nei tribunali.

Un esempio particolarmente interessante è costituito dal processo a un gruppo di scientologi che si è tenuto a Lione nell’ottobre del 1996. In astratto si potrebbe ritenere che questo processo – secondo un modello più francese che americano – avrebbe dovuto occuparsi esclusivamente degli specifici reati di cui erano accusati alcuni singoli scientologi, e non della Scientologia in generale. Se però si legge la sentenza – sul cui merito, quanto ai singoli imputati e alle loro responsabilità, non è mia intenzione entrare in questa sede – ci si accorge che non è affatto così. Questa sentenza (24) comprende un ampio "secondo capitolo" dove sono ricostruite la dottrina e le "tecniche" della Scientologia. Il Tribunale di Lione – che fra l’altro afferma, in grassetto, che la libertà religiosa trova i suoi limiti "nell’interesse dell’ordine pubblico" (25) e i cui giudici non sono, evidentemente, specialisti di nuovi movimenti religiosi – ha, certo, citato anche pubblicazioni della stessa Scientologia. Ma ha ricostruito la natura e il funzionamento del movimento utilizzando pressoché esclusivamente – fra le diverse narrative possibili – quelle che provengono da due fonti: gli ex membri ostili e i militanti anti-sette. La sentenza cita ampiamente la perizia di uno psichiatra francese che è uno dei più attivi militanti anti-sette del paese. Non manca di fare riferimento anche al rapporto parlamentare Les Sectes en France per concludere che la Scientologia "presenta le caratteristiche scelte dalla Commissione [parlamentare] per attribuirle questa qualifica [di setta]" (26). Il Tribunale di Lione non si è affatto limitato a esaminare i singoli reati di cui erano accusati alcuni singoli scientologi, ma – e difficilmente avrebbe potuto fare altrimenti – ha inserito questi "comportamenti" in un contesto globale che implica una valutazione complessiva della Scientologia. In astratto sarebbe stato possibile arrivare a questa valutazione attraverso il metodo della mediazione fra le narrative. La difesa della Scientologia aveva chiamato come testimoni alcuni eminenti sociologi europei, specialisti fra i più noti dei nuovi movimenti religiosi – come i professori Bryan R. Wilson e Karel Dobbelaere –, e anche il sottoscritto. Ma il clima giuridico e culturale francese è ben diverso da quello statunitense, dove in un processo simile il confronto fra narrative sarebbe stato il tema centrale, e l’audizione di specialisti universitari sarebbe stata data per scontata. Il tentativo degli specialisti di scienze sociali di offrire una narrativa diversa rispetto a quella dei militanti anti-sette o degli ex membri ostili è stato attaccato dalla stampa come se fosse una presa di posizione acritica in favore della Scientologia, anche se diversi sociologi ascoltati come testimoni hanno dichiarato di essere personalmente in disaccordo con le dottrine e le pratiche del movimento (27). E il Tribunale ha considerato queste testimonianze irrilevanti, neppure menzionandole nella sentenza.

È necessario, a questo proposito, evitare alcuni equivoci in cui è facile cadere. Anzitutto, gli specialisti universitari non pretendono affatto un monopolio del sapere in materia di nuovi movimenti religiosi. I sociologi, in particolare, sono certamente capaci di applicare a sé stessi il loro metodo, e di "esaminare la loro stessa funzione nel processo di costruzione del sapere in materia di nuovi movimenti religiosi dal punto di vista della sociologia della conoscenza" (28). Gli specialisti universitari costituiscono, nel loro insieme – e senza trascurare il fatto che nel loro mondo coesistono opinioni diverse –, una delle diverse agenzie che producono narrative in tema di nuovi movimenti religiosi. Certamente anche le loro teorie sono culturalmente condizionate, se non altro dal desiderio di "proteggere il proprio campo professionale" contro le intrusioni di militanti dilettanti che propongono "un’ideologia che cerca di mascherarsi da scienza", il che normalmente disturba gli accademici (29). Certo, si potrà ritenere che le narrative degli specialisti universitari che osservano e descrivono i nuovi movimenti religiosi con una specifica professionalità debbano essere prese in considerazione con particolare attenzione. Allo stesso modo – confrontando narrative diverse a proposito dei problemi che riguardano i nostri denti – si potrà ritenere particolarmente interessante l’opinione dei dentisti. Ma – in un contesto dove si tende semmai a insistere sul fatto che anche l’esperto non è immune da condizionamenti culturali e professionali – sarebbe certamente sbagliato affidarsi unicamente alle narrative che provengono dagli specialisti universitari di scienze religiose, né essi avanzano pretese monopolistiche di questo genere.

D’altro canto, è ancora più sbagliato affidare un ruolo privilegiato – o addirittura esclusivo – alle narrative degli ex membri ostili di un movimento religioso. Anzitutto, i nuovi movimenti religiosi hanno normalmente un enorme turnover. Assomigliano a grandi stazioni, dove vi è sempre qualcuno, perché – se molti viaggiatori arrivano – altri partono. Gli ex membri di nuovi movimenti religiosi sono, pertanto, milioni. Devono essere studiati nel loro insieme, senza concentrarsi sulla piccola minoranza di qualche centinaio di persone che brucia gli idoli che un tempo aveva adorato e s’impegna attivamente nei movimenti anti-sette. La maggioranza delle persone che lascia un nuovo movimento religioso rifluisce tranquillamente nella società – o si cerca un’altra fede –, senza intraprendere alcuna iniziativa polemica nei confronti del gruppo che ha lasciato. Gli ex membri ostili possono talora offrire narrative interessanti – e il loro tormentato itinerario umano merita comunque rispetto –, ma hanno evidentemente buone ragioni per spiegare con "storie di atrocità" scelte del loro passato che oggi giudicano aberranti (30). È del tutto mitologico ritenere che gli specialisti universitari di scienze religiose si disinteressino dei resoconti degli ex membri ostili. Tutti gli studi monografici di livello universitario su questo o quel movimento ne tengono conto. Ma li trattano con circospezione e non li considerano una fonte privilegiata né unica. In realtà, qualunque specialista ha intervistato, durante la sua carriera, decine o centinaia di ex-membri di nuovi movimenti religiosi, alcuni ancora disponibili a esprimere simpatia per il movimento che hanno lasciato, altri indifferenti oppure ostili. Uno dei miti meno fondati che fa da sfondo al conflitto fra narrative in materia di nuovi movimenti religiosi è quello secondo cui gli specialisti accademici ne avrebbero un’esperienza "teorica", mentre gli attivisti anti-sette avrebbero un sapere "pratico", ultimamente più utile. Non è affatto così, perché gli studiosi accademici – se sono autentici specialisti di questo settore – hanno normalmente intervistato centinaia di persone sia fra i membri sia fra gli ex membri, e hanno anche trascorso qualche tempo all’interno dei movimenti. Le informazioni degli attivisti anti-sette, invece, vengono normalmente solo dagli ex membri, dai testi scritti e, talora, da qualche rapida osservazione sotto mentite spoglie, generalmente non molto produttiva.

Da questo punto di vista l’esperienza degli specialisti universitari è molto più "pratica" di quella degli attivisti anti-sette. Questi ultimi obiettano che l’osservazione partecipante non serve a nulla, perché le "sette" fanno vedere all’ingenuo specialista soltanto quello che vogliono. Commenti di questo genere possono essere formulati soltanto da chi non sa neppure che cosa sia l’osservazione partecipante. Certo, esistono segreti di natura criminale all’interno di movimenti religiosi – e non religiosi – che l’osservatore sociologico non scopre. Di solito non li scopre neppure l’attivista anti-sette, né sono noti all’ex membro ostile di basso livello. È il caso delle attività di alcuni dirigenti della Aum Shinri-kyo giapponese relative al traffico di droga e di armi chimiche. Se si eccettuano questi casi limite, lo specialista che trascorre non soltanto qualche ora, ma settimane o mesi frequentando regolarmente un movimento, ne condivide la vita e stringe una rete di rapporti personali con un certo numero di membri, i quali non parlano necessariamente in termini positivi gli uni degli altri. Di solito finisce per accumulare un numero di informazioni veramente ampio, e non tutte favorevoli, sul gruppo che osserva. Forse citare un esempio personale non è di buon gusto. Mi chiedo tuttavia quanti attivisti anti-sette conoscessero le pratiche di magia sessuale di tutta una serie di gruppi occultisti e satanisti prima di averle viste descritte nei miei volumi Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo e Indagine sul satanismo. Satanisti e anti-satanisti dal Seicento ai nostri giorni. Sono volumi da cui attingono a piene mani, spesso dimenticandosi di citare la fonte (31). Mi chiedo pure quanti detrattori di The Family – il movimento un tempo noto come Bambini di Dio – conoscerebbero la dinamica esatta delle pratiche sessuali più controverse e aberranti che avevano corso presso i Bambini di Dio fino a qualche anno fa se non avessero letto gli studi di J. Gordon Melton. Gli stessi detrattori criticano J. Gordon Melton per la sua fiducia – peraltro confermata da sentenze di tribunali di tutto il mondo – nei reali cambiamenti che sono avvenuti negli ultimi anni in The Family. Questi esempi non dimostrano forse che lo specialista – il quale, naturalmente, ha i suoi limiti – vede, nell’osservazione partecipante, quello che è capace di vedere, non soltanto quello che il movimento vuole che veda? Certo, l’osservazione partecipante non è un metodo che permette di scoprire tutto su un movimento: un tale metodo, semplicemente, non esiste. Ma attraverso l’osservazione partecipante si acquista su una determinata realtà un sapere molto più "pratico" e completo di quello che emerge dal semplice ascolto delle narrative degli ex membri, o dalla semplice lettura di fonti scritte, senza che questi due ultimi elementi debbano essere, peraltro, trascurati.

d. Vi è, infine, un quarto passo che è necessario compiere per evitare equivoci pericolosi. La realtà esiste. L’idealismo e il relativismo sono errori filosofici che si confutano da soli (32). La conoscenza perfetta di un fenomeno complesso non è accessibile agli uomini. Tuttavia è possibile costruire "modelli", "figure" o "narrative" che hanno un rapporto più o meno accettabile di analogia con la realtà (33). L’analogia – non una presunta corrispondenza "fotografica" – con la realtà diventerà uno degli elementi per valutare il modello insieme alla fecondità scientifica, alla capacità di chiarire e di spiegare, alla coerenza interna. Il relativista ha – paradossalmente – ragione quando denuncia la "fallacia naturalistica" secondo cui esisterebbe una narrativa "vera" in grado di fotografare perfettamente la realtà e di stabilire con il reale un rapporto di identità (34). Il relativista, tuttavia, ha torto quando lascia intendere che tutte le narrative sono di uguale valore. Il sapere umano – e anche le esigenze della semplice convivenza fra gli uomini – si basano sulla continua ricerca di narrative, di modelli e di figure che spieghino e che chiariscano meglio il fenomeno a cui si riferiscono, e il cui rapporto di analogia con il reale sia meno lontano dall’identità, peraltro irraggiungibile.

Le narrative non nascono nel vuoto: sono costruzioni sociali continuamente negoziate dal punto di vista culturale e, lato sensu, politico. La libertà di fronte alle narrative – che insegna a non darne nessuna per scontata, per quanto sembri autorevole la carta su cui è stampata – costituisce una grande ricchezza soggettiva, e un autentico dono che si può acquistare tramite una buona formazione nelle scienze sociali. Perché questa libertà si rifletta e sia garantita anche sul piano oggettivo, è necessario che i poteri pubblici – le agenzie governative, la magistratura e i parlamenti – svolgano, su terreni delicatissimi come quello dei nuovi movimenti religiosi, una funzione di mediatori fra narrative diverse. Questa funzione è tradita – e la libertà, anche in questo caso, si riduce a una larva o a un fantasma – se una commissione parlamentare, un ministero o un tribunale decidono di fare propria, presentandola come "vera", una delle narrative che si confrontano e si contrappongono, ignorando le altre. È quanto avviene quando un’agenzia governativa, un gruppo di parlamentari o una corte di giustizia ricostruiscono la problematica dei nuovi movimenti religiosi in genere – o di un movimento in particolare – servendosi esclusivamente – qualche volta ostentatamente – della narrativa elaborata dagli ambienti anti-sette e dagli ex membri ostili. Ignorano così le altre narrative, che provengono dagli specialisti universitari, dagli ex membri non ostili e da chi rimane nei movimenti dichiarandosi soddisfatto (35). La situazione è complicata dal fatto che qualche volta certi uomini politici – e certi giornalisti – impegnano la loro credibilità nel sostegno alla narrativa che hanno scelto. La avvertono come loro e aggrediscono chi ha opinioni diverse – in particolare gli specialisti accademici – con espressioni che si vergognerebbero di usare in una normale conversazione fra amici, in nome della semplice buona educazione. Gridare, tuttavia, non risolve i problemi. Di fronte a un conflitto, la libertà è garantita soltanto se i poteri pubblici rinunciano a sposare una delle narrative contrapposte, imparano a riconoscerle tutte come culturalmente condizionate e svolgono la loro funzione propriamente politica, che è di mediazione. Nella controversia sulle "sette" la libertà diventa un fantasma se i poteri pubblici – di fronte al conflitto fra le narrative – non si pongono come arbitri, ma come parti.



[URL=]http://www.cesnur.org/2001/archive/mi_fantasma.htm





Futura, complimenti, hai postato un articolo molto interessante. Del resto, il mio esordio sul forum era dedicato proprio al libro di Introvigne sui Tdg. E qualcuno ha tirato fuori la storiella che lo studioso cattolico ha scritto bene di voi, perchè lautamente pagato dai vertici dei Tdg, dimenticando che si tratta di un sociologo serio e per giunta cattolico (che in altre opere, non di sociologia, ma apologetiche, aveva criticato abbastanza la vostra dottrina). Per la serie, quando parlava da cattolico (di parte) male di voi, tutto bene, quando da sociologo (scienziato sociale, che cerca di essere il più obiettivo possibile nei giudizi e nelle valutazioni)ne ha parlato bene, apriti cielo......
todiniano
00sabato 11 aprile 2009 17:50
Re: Re: Massimo Introvigne-docet
todiniano, 11/04/2009 17.48:




Futura, complimenti, hai postato un articolo molto interessante. Del resto, il mio esordio sul forum era dedicato proprio al libro di Introvigne sui Tdg. E qualcuno ha tirato fuori la storiella che lo studioso cattolico ha scritto bene di voi, perchè lautamente pagato dai vertici dei Tdg, dimenticando che si tratta di un sociologo serio e per giunta cattolico (che in altre opere, non di sociologia, ma apologetiche, aveva criticato abbastanza la vostra dottrina). Per la serie, quando parlava da cattolico (di parte) male di voi, tutto bene, quando da sociologo (scienziato sociale, che cerca di essere il più obiettivo possibile nei giudizi e nelle valutazioni)ne ha parlato bene, apriti cielo......



Dimenticavo, magari di teologia e di questioni dottrinali non reputo di essere qualificato a discutere, ma di sociologia sì, perchè sono un appassionato della disciplina e comprendo benissimo l'abisso che separa un libro apologetico da uno studio di sociologia della religione
operman
00sabato 11 aprile 2009 17:51
Re:
Futur@., 11/04/2009 0.00:

Trovo vergognoso attaccare l'operato della Protezione Civile in modo così subdolo e tendenzioso, in nome di non so quale libertà d'informazione! Notate come il giornalista "sobilla" ovvero alimenta il fuoco dell'insoddisfazione con domande tendenziose...... [SM=x1408435]




Dopo avere ascoltato questa intervista ho cambiato canale.
Non si può disprezzare così il lavoro di tanti volontari, che stanno lì per aiutare la popolazione.

Il Santoro moderno ha il solo fine di trovare sempre e solo difetti, anche in circostanze terribili come queste.

Se penso che queste trasmissioni esistono perchè pago il canone
[SM=x1408436] [SM=x1408436] [SM=x1408436]
operman
00sabato 11 aprile 2009 17:55
Re:
Futur@., 11/04/2009 9.04:

Bravo Filippo! Stamattina leggevo una discussione sul Forum Discarica in questione intitolata "Sono Banalità"? e si sottolineava la malafede del Corpo Direttivo perchè proibirebbe la barba! [SM=x1408442] Sono andata a fare una ricerca col WTL e non ho trovato una sola riga dove si proibisce la barba! [SM=g8298] Questo a dimostrazione di quanto ne sappiano davvero delle nostre presunte regole.

Un chirichetto per svolgere la sua mansione deve vestirsi in un certo modo...per non parlare dei vari ordini o congregazioni cattoliche...che appunto si chiamano REGOLA (vedi regola di san Francesco...regola di Tizio e Caio e così via...)...proprio perchè sono vincolati a regole di abbigliamento e comportamento davvero asfissianti, ad esempio la REGOLA che ti impone il CELIBATO! E questa cosa non avviene secondo gli usi e i costumi del posto (vedi TDG in Scozia con la gonna e in Africa senza cravatta) ma è a livello mondiale.

Allora chi è schiavo delle regole? [SM=x1408430]



Come se alla maggioranza di loro importasse qualcosa di quello che fà la religione Cattolica.
Per non parlare degli ex. Quasi nessuno di loro è ritornato nelle mani di santa romana chiesa.
Sono liberi da tutto e da tutti, e per questo pensano di avere migliorato la loro situazione.



NewWorldOne
00domenica 12 aprile 2009 20:38
Una "caduta di stile" e una assoluta mancanza di tempismo che forse avranno delle conseguenze. Nonostante ciò considero Santoro un buon giornalista, è di parte (come tutti) ma capace di scelte controcorrente (oggi va contro la protezione civile? domani andrà contro i DS? Meglio guardarsi da chi fa sempre "la cosa giusta".)

Al di là della questione "disfattismo" credo che vi sia però una certa utilità anche nel taglio scelto per imbastire questa particolare puntata visto che scelte editoriali fuori dalle righe e lontane dal senso comune sono evento raro per la televisione.

La persona intervistata che compare nel video postato da Futura racconta il proprio punto di vista attaccando in maniera indiscriminata la protezione civile (coadiuvata da volontari, perché la protezione civile in Italia è senza una lira) ma a questo punto il discorso verte sulle percentuali, se minime al punto tale da essere "accettabili" o se tali da trasformare quella apparentemente isolata voce in vera e propria una folla. Quale delle due? Apparentemente la prima, e lo dico con il massimo rispetto per coloro che un giorno potrebbero salvare la mia stessa vita, tuttavia prima di farmi un'idea precisa preferisco seguire lo svolgersi degli avvenimenti e la diffusione delle varie testimonianze. Non dimentichiamo che stiamo parlando di un ente il cui capo a gennaio minacciava di dare le dimissioni per mancanza di fondi (-18% nel 2009) e che si è trovato tra capo e collo una catastrofe di immani dimensioni.

Inoltre non concordo quando si fanno paragoni con le boutade di disinfotdg, perché in questo secondo caso ci troviamo spesso di fronte a veri e propri pettegolezzi e calunnie seppur ammantati da un'aura di rispettabilità. Di vero in quel forum ci sarà sì e no il 5% che se riletto con una corretta chiave di lettura si ridimensionerebbe ulteriormente.

Allo stesso tempo non trovo molto corretto chiamare in causa gente che ha perso tutto (che si lamentino pure, sono nella posizione di poterlo fare) per avvalorare la nostra "missione" e per quanto una similitudine possa all'apparenza risultare efficace non c'è dubbio che se fatta nel momento sbagliato possa generare risultati uguali e contrari rispetto allo scopo originale.

In un certo senso questo thread rischia di essere un caso "SANTORO 2" su scala ridotta. Esulerei la questione "terremoto" da ogni altra, e pur comprendendone le ragioni non mi sembra una caduta di stile necessaria.
Futur@.
00domenica 12 aprile 2009 23:26
Apprezzo e rispetto il tuo intervento NWO, ma continuo a pensare che l'accostamento calza a pennello. Una percentuale di delusi l'ha fatta anche Gesù Cristo, l'ha fatta la Protezione Civile, la fa l'Organizzazione dei TDG. Insomma c'è gente che pensa che tutto gli sia sempre e comunque dovuto e con tutto il rispetto per i sentimenti feriti di qualunque essere umano, non posso fare a meno di riportare alla mente quanto segue:

(Giuda 16) ...Questi uomini sono mormoratori, lamentatori della loro sorte nella vita,...


Evitiamo di parlare di utenti che nel nostro Forum non possono postare.
Grazie.

Admintdg2
arianna(2013)
00venerdì 6 maggio 2016 13:31
Re:
Futur@., 11/04/2009 00.09:

Per quanto mi riguarda combatterò gli apostati in Rete finchè avrò vita!


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