Il diritto all’unità familiare va garantito anche per conviventi di fatto?
Il ricongiungimento familiare è diretto a rendere effettivo il diritto all’unità della famiglia che si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare e costituisce un diritto fondamentale della persona umana, che si esprime non solo nelle relazioni consacrate da matrimonio, ma anche nelle unioni di fatto e nei generali legami esistenti tra i componenti del gruppo designato come famiglia naturale.
Il caso. Un appuntato impugna con ricorso il diniego dell’Arma dei Carabinieri all’istanza di trasferimento da lui presentata riguardante il ricongiungimento al coniuge lavoratore, trasferimento negato perché non sussisterebbe rapporto di coniugio. Il ricorrente contesta la legittimità della declaratoria di inammissibilità della domanda di trasferimento, in quanto qualsiasi forma di discriminazione giuridica della convivenza rispetto al matrimonio civile violerebbe l’art. 2 della Costituzione, che riconosce tra i diritti fondamentali dell’uomo anche quello di una stabile ed effettiva convivenza more uxorio.
Matrimonio vs famiglia di fatto. Il collegio osserva in primo luogo come le ragioni dell’inammissibilità della domanda di ricongiungimento familiare siano dipese esclusivamente dalla condizione di convivente more uxorio, non adducendo, l’Arma, alcuna ragione di tipo organizzativo al diniego dell’istanza. Ampiamente la Corte Costituzionale ha chiarito che, pur essendo ontologicamente distinti gli istituti di matrimonio e famiglia di fatto, sussiste comunque la necessità di tutelare i diritti individuali dell’uomo in tutte le formazioni sociali ove si volge la sua personalità, specificando che «per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità complessa o semplice idonea a consentire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione». Il tema è dunque, se il diritto all’unità familiare possa essere invocato solo dai coniugi e dai soggetti uniti civilmente o se possa essere invocato anche dai conviventi.
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