Caro Barnabino, dire che è la fede a impedire, ho generalizzato, non intendevo (solo) la vostra ma tutte quante. In genere ognuno di noi cerca le informazioni che sono a sostegno dell’idea che ci siamo fatti. Se questa idea proviene da una fede, cioè da un credo, è molto più radicata, si tende a scartare tutto quello che sembra opporsi, e si va alla ricerca di una soluzione alternativa. Questo vale anche per i non credenti, un anticlericale, spulcerà le scritture e commentari fino a trovare tutte le contradizioni possibili. E’ molto difficile per tutti essere imparziali… Quindi si troverà l’autore che dice di aver “risolto” il problema… e solo questo verrà citato…
Veniamo alla tua domanda:
Puoi spiegare meglio quest'affermazione? Perché non sarebbe possibile da un punto di vista filologico che per tre volte si ripetesse un episodio molto simile? Che relazione ha questo con la fede e la filologia?
Quello che voglio dire è che la ripetizione di un racconto non deve necessariamente indicare una fonte differente, tanto è vero che tanto il racconto del cap. 12 che quello del cap. 26 sono attribuiti alla fonte J dai documentaristi, ma si tratta solo di un racconto parallelo.
Tu dici bene, i fatti posso ripetersi. Da questo punto di vista non ho nulla da obiettare. Tuttavia questi 3 fatti si ripetono all’interno della stessa famiglia. 2 volte con Abramo (quindi se non fosse di fonte diversa sarebbe recidivo) e una volta con il figlio Isacco.
Ma non è solo questo che porta i filologi a pensare che si tratti di tre versioni della stessa storia… sono state individuate 4 fonti principali. La Elohista (E), la Jahwista (J), la Sacerdotale (P) e una detta fonte (D). Queste affermazioni vengono da un commentario cattolico (si trovano nell’introduzione del primo volume della Genesi della Collana LA SACRA BIBBIA edizione Marietti). Ma sono anche le più sostenute, sia dai credenti che dai non credenti… Questa sembra essere la tesi più accreditata. Quindi non parlo per me stesso…
La filologia è in grado di separare un testo, attraverso le caratteristiche (l’impronta scritturale) di un autore, da quelle di un altro, qualora fossero mischiate, o legate insieme da alcuni passi. Due stili di scrittura evidenziano due autori. Tre stili di scrittura evidenziano tre autori. Questa è solo una delle basi. Attraverso lo stile di scrittura, il filologo sa anche dire più o meno l’epoca di appartenenza, quindi se una fonte è più antica e se un’altra è più tardiva. Sono più di uno i metodi utilizzati dal filologo per svolgere il proprio lavoro.
Sono i differenti stili di scrittura a far pensare a un unica storia, proveniente da tradizioni e autori differenti. Il filologo non si basa solo sulla ripetizione...
L’affermazione, che sia il capitolo 12, che il 26 siano di fonte (J) non significa che siano stati scritti da una sola mano. Per le divergenze si può ipotizzare che appartengono alla stessa fonte, la (J) ma che “forse” provengono da una differente scuola di pensiero.
Oggi dire di fonte cristiana, non significa parlare di un’unica scuola di pensiero. Così, dire di fonte (J) non significa parlare di un’unica fonte di pensiero. All’interno della stessa potevano esserci delle divergenze… così come ci sono oggi all’interno del cristianesimo.
Sai perché i cattolici hanno deciso di accettare il testo, come l’insieme di più fonti? Non solo parchè questo è stato ormai evidenziato e accreditato da molti, ma perché è una soluzione alle incongruenze, talvolta paradossali che sono contenute nell'opera. Per loro rimane la teoria dell’unico autore “ispirato”, cioè la persona che ha raccolto i documenti, sotto “ispirazione” ha scelto quelli che dovrebbero essere giusti e ne ha fatto un unico libro. Per i cattolici e alcuni cristiani il problema è risolto…
Per quanto riguarda la composizione del Pentateuco, nel decreto sopra menzionato del 27 giugno 1906, la Commissione Biblica aveva già riconosciuto che si poteva affermare che Mosè «nel comporre la sua opera si è servito di documenti scritti o di tradizioni orali» e ammettere anche modifiche e aggiunte posteriori a Mosè. Non c'è più nessuno oggi che metta in dubbio l'esistenza di queste fonti e che non ammetta una progressiva amplificazione delle leggi mosaiche dovuta alle condizioni sociali e religiose dei tempi posteriori, fenomeno che si riscontra anche nei racconti storici.
FONTE:
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19480116_fonti-pentateuco_it.html
L’esempio l’ho già fatto. Uno scrittore, prima di scrivere un saggio, s’informa, raccoglie documenti, li studia e poi scrive, magari citando alcune parti di essi. Io stesso non potrei scrivere queste poche righe se non avessi memorizzato alcune informazioni, cioè se non mi fossi prima documentato.
Oggi i filologi sono in grado di separare gli stili. Potrebbero (uso il condizionale) perfino, con un margine di errore minimo, dire se un versetto è un’aggiunta tardiva oppure no.
Il documento Vaticano citato è del 1948, tuttavia fa riferimento a un decreto del 1906.
III. Si può concedere, senza alcun pregiudizio sull'autenticità mosaica del Pentateuco, che Mosè nella redazione della sua opera abbia fatto uso di fonti, sia documenti scritti che tradizioni orali, dalle quali abbia tratto, parola per parola oppure secondo l'idea di fondo, alcune cose e le abbia inserite nella sua opera, riassumendole o amplificandole, secondo il suo fine e dietro il soffio della divina ispirazione?
Risp.: Sì.
FONTE:
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19060627_pentateuchi_it.html
Sono più di cento anni che la tesi delle fonti è stata riconosciuta dai cattolici. Oggi (lo ripeto) è la più accreditata.