Poco o niente - Giampaolo Pansa

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(SimonLeBon)
00domenica 6 ottobre 2013 21:02
Rizzoli editore
Eravamo poveri. Torneremo poveri.

"C'é una paura nuova che leggo negli occhi di molte persone. E' il timore di ritornare poveri, di andare incontro a un futuro difficile, di non sapere quale sarà il destino dei figli. Qualche anno fa, non era cosi'. Ma in questo 2011 tutto è cambiato in peggio. La grande crisi economica e finanziaria ci ha messi di fronte a una realtà che nessuno immaginava: la nostra società è fragile e il benessere che abbiamo conquistato potrebbe svanire. Torneremo poveri come erano i nostri genitori, e i nonni? Questa incognita mi ha spinto a ricordare l'epoca che ha visto nascere e crescere fra mille stenti mia nonna Caterina Zaffiro e mio padre Ernesto, uno dei suoi figli. Lei era nata nel 1869 nella Bassa vercellese, in una famiglia di contadini strapelati. Andata in sposa a un bracciante altrettanto misero, Giovanni Pansa, rimase vedova a 33 anni, con sei bambini da sfamare. E' la sua vita tribolata a farmi da guida nel racconto dell'Italia fra l'Ottocento e il Novecento, quello che il lettore troverà in Poco o niente. Era un mondo feroce, dove pochi ricchi comandavano, decidevano tutto e si godevano le figlie dei miserabili. I poveri erano tantissimi, venivano messi al lavoro da piccoli, poi l'ignoranza li spingeva a comportarsi da violenti. Anche con le loro donne, costrette a partorire un figlio dopo l'altro, oppure ad abbandonare una famiglia brutale diventando prostitute. Le campagne succhiavano il sangue dei braccianti, condannati a patire la fame. Le città erano un inferno, in preda al colera, alla malaria, al vaiolo, alla pellagra. Torme di bambini cenciosi vivevano sulla strada mendicando. I bordelli prosperavano e il sesso nascosto trionfava. Dietro un ordine apparente, covava il grande disordine che sarebbe sfociato nella prima guerra mondiale. Fu allora che si consumo' il massacro dei poveri in divisa, vissuto anche da mio padre Ernesto, arruolato a 18 anni. Un macello destinato a concludersi con una contesa rabbiosa tra rossi e neri, chiusa dall'avvento del fascismo. Poco o niente è il ritratto del nostro passato e un monito per il futuro che ci attende, pieno di incognite. Ci farà tremare e sorridere, perché la vita è fatta cosi'."
(SimonLeBon)
00domenica 6 ottobre 2013 21:04
Re: Rizzoli editore
Ho cominciato a leggerlo e, come è tipico di Pansa, trasmette emozioni forti, di realismo spesso crudo.
In questo caso riguarda anche le mie zone, la mia storia delle generazioni passate, e spesso fa venire i brividi.

Simon
(Gladio)
00lunedì 7 ottobre 2013 00:18
"Il sangue dei vinti" di Pansa dovrebbe far parte di ogni biblioteca personale.

È un grandissimo.
(SimonLeBon)
00giovedì 10 ottobre 2013 21:46
Re:
(Gladio), 10/7/2013 12:18 AM:

"Il sangue dei vinti" di Pansa dovrebbe far parte di ogni biblioteca personale.

È un grandissimo.



L'ho letto ed è un gran libro, un documento realista di un passato agghiacciante.
Fa anche ben capire quanto poco possiamo fidarci dei cosiddetti "storici", spesso piu' pronti a render servizio al partito che non alla verità...

Simon
(SimonLeBon)
00giovedì 10 ottobre 2013 21:57
P. 145-6
"Chi viveva con poco o niente a volte credeva di essere forte, come riteneva di esserlo Caterina. In realtà era un individuo debole e senza difese, se messo di fronte a una quantità di avversari immateriali in grado di vincere sempre. E capadi di rendere la vita dei poveri un inferno senza pause, a ciclo continuo diremmo oggi.
Il piu' subdolo era l'ignoranza, un muro compatto che impediva di comprendere bene quanto accadeva e di interpretarlo in modo razionale. Il secondo erano le superstizioni che dilagavano di continuo e trasformavano l'evento piu' banale in un mistero maligno che si poteva spiegare soltanto con altre superstizioni. Il terzo era la convinzione che esistessero entità superiori agli esseri umani: il diavolo, le streghe, i maghi, le persone ritenute portatrici di sventure. Chi aveva la sfortuna di nascere con un handicap veniva considerato un figlio del demonio. La comunità lo rifiutava, lo respingeva lontano e talvolta cercava di ucciderlo.
...
Anch'io da piccolo ho constatato la forza delle superstizioni. Passavano di bocca in bocca, sino a diventare una convinzione certa e diffusa. La piu' banale sosteneva che un ragazzo mancino, capace di scrivere soltanto con la sinistra, era figlio di un peccato della madre. E per questo fosse meglio tenerlo a distanza.
A proposito del colera, si riteneva che fosse una punizione divina. Il Padreterno la decideva di tanto in tanto per rammentare ai peccatori di questo o di quel paese che l'inferno esisteva. Dunque, non c'era niente in grado di fermarlo. Per questo andava accettato come un evento soprannaturale. Nessun medico e nessuna cura poteva vincerlo o attenurarne gli effetti terribili." (P. 145-6)
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