Birmania, mine antiuomo al confine, per impedire il ritorno dei Rohingya
Sulla frontiera del Bangladesh. San Suu Kyi: falsità dei terroristi
carlo pizzati
Paramankeni (Golfo del Bengala)
L’altro ieri un ragazzo Rohingya ha perso una gamba in un’esplosione mentre fuggiva in Bangladesh durante un’esodo dalla Birmania che in 10 giorni ha coinvolto 150 mila profughi. Un altro è stato ferito gravemente, sempre da un’esplosione. Mine anti-uomo. Al confine, lunedì, si sono sentiti due botti, il giorno dopo altri due. Il governo del Bangladesh ha protestato ufficialmente con la Birmania, il Paese tra i più minati al mondo e che non ha firmato il Trattato di Ottawa per la messa al bando delle mine anti-uomo, quello voluto nel 1997 da Lady Diana.
Il portavoce della leader birmana Aung San Suu Kyi, Zaw Htay, ha risposto che ci sono molte mine lasciate lì dagli Anni 90, ma che l’esercito non ne ha seppellite di recente. «E poi chi può dire che non le abbiano messe lì i terroristi?». Il premio Nobel per la Pace ha aggiunto che si tratta di «un iceberg di disinformazione». Sono solo fake news dei terroristi, dice.
Ma ci sono testimonianze, fotografie. Un profugo ha visto tre dischi di 10 cm di diametro conficcati nel fango proprio in quella zona. Poco prima dell’esplosione che ha mutilato il ragazzo, è stato notato un drappello di militari birmani che, dopo aver srotolato del filo spinato, sotterravano qualcosa. Mine, sostengono i testimoni.
Tra le decine di migliaia di disperati che hanno attraversato mare, paludi e fiumi in fuga dal furore del Tatmadaw, l’esercito birmano famoso per i suoi metodi feroci, arrivano testimonianze di ragazzi decapitati, donne stuprate, migliaia di profughi ancora nascosti nelle montagne e nelle foreste, dove rischiano di morire di fame, assediati dall’esercito o dalle milizie buddiste.
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