Uccidere se stessi è vietato dal Corano: ecco come l’ISIS aggira il problema

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Karmantica
00giovedì 21 gennaio 2016 22:33
Suicida o kamikaze? Questo è il problema.
Lungi dal trovare in essi un collegamento che parrebbe a dir poco esplicito, ovvero la scellerata morte auto-provocata, secondo i dettami dello Stato Islamico, che quasi nulla ha da spartire con la religione musulmana, se non il nome di Dio e poco altro, morire da suicida o da kamikaze fa una bella differenza. In Giappone la parola “kamikaze”, letteralmente tradotta come “vento divino” è usata solo con riferimento al leggendario tifone del 1281, che si dice abbia salvato lo Stato dall’invasione mongola. In seguito tornata in voga in occasione della Seconda Guerra Mondiale, per poi essere definitivamente destituita. Facendo riferimento al quadro internazionale contemporaneo, la parola assume tutt'altro connotati diversamente “salvifici”.

Hamas-koran-bombbeltsIl Corano, come anche la religione Cristiana, vieta senza giri di parole l’auto-infliggersi della morte:
“E non uccidete voi stessi, Allah, in verità, è Misericordioso verso di voi. E chiunque commetta ciò, per eccesso o per iniquità, Noi lo getteremo nel fuoco, la cosa che è semplice per Allah.”

Ciò quanto vi si legge. In altre parole, i trasgressori bruceranno all’inferno. Chiaro, no? Eppure la minaccia non suona altrettanto chiara ai militanti del sedicente Stato Islamico. Nella retorica jihadista, al contrario, al kamikaze che dà la sua vita per la preservazione della fede islamica e del popolo musulmano contro i nemici, verranno aperte le porte del Paradiso. Ognuno fornisce un’interpretazione propria della religione, e ognuno non esita a crearsi la propria. È così che presto fatto, il suicida o kamikaze, che dir si voglia, diventa un martire immolato nel nome di Allah per punire i miscredenti. Soltanto in questa maniera il fedele può scampare alle pene dell’inferno, definendosi shahīd, ovvero “martire”, portando avanti il jihad, “impegno sacro e doveroso”, durante le cosiddette amaliyyāt al-istishādiyya, “operazioni di testimoninaza” della fede, anche a costo della violenza. Diversa invece è la sorte di un intihar, ovvero il suicida, per cui è prevista la punizione divina.

Per contrastare l’ideologia jihadista, considerata altamente discutibile anche da chi musulmano lo è eccome, molti intellettuali e islamologi fanno appello non solo all’interdizione al suicidio, ma anche e soprattutto al ricorso alla violenza nel nome dell’Islam. Ma si sa, non esiste peggior sordo di chi non vuol sentire. È una pratica, quella di immolarsi nel nome della fede islamica che ha avuto inizio con la guerra del Libano negli anni Ottanta. Nel 1985 infatti, il leader spirituale sciita del partito di Dio, Hezbollah, lo sceicco Fadlallah, sospese in VEDOVE-NERE-FIDANZATE-DI-ALLAH maniera del tutto arbitraria, il divieto al suicidio per i combattenti. Da quel momento un’escalation di attacchi kamikaze si protrae fino ad oggi, e sembrano rappresentare anzi, l’arma privilegiata del Califfato per spargere sangue e terrore.

Nel corso degli anni Novanta, Hamas, il Movimento Islamico di Resistenza, ha moltiplicato gli attacchi suicidi e, cavalcando l’onda dell’anarchia, anche il teologo di riferimento del movimento dei Fratelli musulmani, Yussef El-Qaradawi ha successivamente legittimato questi , condotti da Hamas contro Israele. Neppure le donne sono nuove alla pratica del suicidio religioso. Conosciute come le “vedove nere” dagli inizi degli anni duemila, la jihad rosa delle donne cecene, milita in nome del sacro impegno e miete le sue vittime in attentati, proprio come il resto della truppa, pardon, delle truppe. D'altronde per il Paradiso questo e altro, no?

Fonte: Agnese Stracquadanio per #mifacciodicultura
Karmantica
00giovedì 21 gennaio 2016 23:13
Il problema principale e maggiore non è l'isis in sé ma chi usa l'isis come giocattolino della morte.
Non è una guerra religiosa (anche se fisicamente lo fanno in me di Allah) ma è politica, dietro le quinte del mondo, e sotto il dominio di pochi. Ed infatti i suoi risvolti ci toccheranno molto da vicino.




TeoTerrone
00venerdì 22 gennaio 2016 08:18
Re:
dom@, 22/01/2016 00:35:

Il refugiato a tutti I diritto meglio di un Italiano .tutto pagano, casa ospedale tutto.

Once in Italy, the refugees will begin the asylum process and will be provided with housing, health care, educational and vocational services.
[SM=g7422]




Dom, non è così.
Non è certo colpa dei poveracci che vengono da noi per sfuggire alle barbarie e ad una vita di stenti.


Il problema è che NOI non siamo capaci di gestire la solidarietà e l'ordine. O forse facciamo finta di non saper gestire la situazione per tornaconto economico delle solite "bande di mascalzoni"!

Mostrare amore al prossimo è un dovere ed un onore per il Cristiano. Ma bisogna pur saperlo fare.


Per il discorso violenza ed Islam è un discorso molto spinoso e complicato.
E' però curioso che poche autorità islamiche e/o a bassa voce sconfessano la violenza dell'Isis oppure lo fanno con toni pacati se non vagamente concilianti...
Brutta faccenda.
Karmantica
00venerdì 22 gennaio 2016 08:47
Il problema immigrazione è sorto perché pochi eletti italiani magnano sullo straniero che va ad appesantire un sistema già pesante di suo.

Poi c'è un fatto ... chi viene in Italia pensa di fare quel che vuole, perché? Perché è sempre l'italiano medio a dare l'esempio.

Se l'italiano medio fosse meno "sfruttatore del sistema" diciamo così Come in altri paesi lo ststraniero si sentirebbe in obbligo a fare altrettanto. Non possono l'italiani pensare che se già fra la gente comune c'è corruzione chi arriva al potere diventi un santo.

Quindi in sintesi il problema immigrazione è interno al ststo italiano.


Es. Illuminante anche se fuori tema: il coreano pazzo tira fuori la bomba atomica e noi a che pensiamo? Ai matrimoni gay (che sarà anche un problema... ma un problema di pochi .. non certo della maggioranza )

Così per tutto il resto.
barnabino
00venerdì 22 gennaio 2016 16:43
Scusate, ma non sono disposto a dare spazio a informazioni fuorvianti su una questione tragica come quella dei profughi. Chiamatela pure censura, se volete.

Shalom
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