Quixote68, 5/10/2013 12:29 PM:
speculator, 5/9/2013 12:33 PM:
"Che ho a che fare con te?" era una espressione verbale di opposizione.
Non ne sarei così sicuro; il greco ha τί ἐμοὶ καὶ σοί, γύναι; letterale: «che cosa a me e a te, donna?». Dipende da quel καὶ: se ha il valore di congiunzione potrebbe ben essere interpretato «questo fatto che ha a che fare con me
e te? (ovvero «che pertiene a noi?»)». Se invece καὶ = ‘anche’, il senso può cambiare: «che cosa pertiene anche a te di quello che pertiene a me?», frequente nelle traduzioni di marca protestante, cui la NWT pare allineata. Il contesto mi fa preferire la prima interpretazione.
Una doverosa rettifica e una precisazione, intanto che
Speculator riflette. Ho riletto attentamente il primo post, e devo sfumare quanto detto, perchè avevo sottovalutato i due passi paralleli di 2
Sam. 16, 10 e 1
Re 17, 18. Non avevo dato troppo valore ad essi, perché, mi son detto, il NT è scritto in greco, mentre il VT in ebraico, quindi i riferimenti linguistici son da prendere con le molle. Non avevo riflettuto, però, che l’evangelista probabilmente non aveva come riferimento il testo ebraico, ma quello greco dei Settanta. Per cui sono andato a controllare quest’ultimo testo, e me ne vien confermato il valore dell’espressione come lo intendono solitamente i protestanti e la TNM/NWT. Infatti:
LXX 2 Re, 16,1 = 2 Sam. 16,10: τι εμοί και υμίν «Che ho io in comune con voi» (trad. CEI in rete)
LXX 3 Re 17, 18 = 1 Re 17, 18: τι εμοί και σοί «Che cosa c'è tra me e te» (Ibid.)
per cui, ricorrendo la stessa espressione (τι εμοί και σοί ) in
Gv. 2, 4 sul piano linguistico è indubitabile che l’interpretazione della TNM sia da preferirsi a quella che le avevo preposto.
Viceversa sempre i motivi linguistici hanno rafforzato la mia convinzione che non si possa connotare quel «donna» come ‘soggetta all’autorità maschile’; oltre ai passi da me citati di
Gv. 19, 26 e
Cassio Dione LI, 12, 5, ancora in
Gv. 20, 13 ritroviamo il vocativo «donna» (γύναι), riferito a Maria Maddalena dagli angeli, che in questo caso assolutamente non può avere valore riduttivo. Inoltre anche in ebraico mi risulta che all’epoca l’equivalente di donna potesse avere un senso “nobile”, un po’ come il
domina latino o il "(ma)donna" medievale. Nel caso poi di Maria mi sembra che l’evangelista, dato anche che il quarto vangelo si stacca dagli altri per il suo maggior simbolismo, preferendolo sia in 2, 4 che in 19, 26 al naturale ‘mamma/madre’, voglia piuttosto sottolineare il distacco di Gesù-Dio dalle cose terrene, che non rifarsi a un motivo, per così dire, giuridico, in conformità alla prassi maschilista del rapporto uomo-donna di quel tempo.
Quanto infine all’interpretazione del passo mi sembra in questo caso buona la trad. CEI, che è libera, ma a mio parere coglie bene il senso di quanto non viene espresso:
3. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4. E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora».
che del resto non è dissimile dalle traduzioni protestanti. Poiché il testo è ellittico qui bisogna interpretare i silenzi e gli atteggiamenti dei protagonisti; Maria informa Gesù della sopravvenuta mancanza di vino, con sottintesa, forse, la domanda «potresti fare qualcosa?». Gesù sembra schermirsi, e risponde con una frase fatta, che forse cela anche un po’ d’ironia; dobbiamo forse immaginare che, dopo aver apparentemente detto no a parole, termini invece con un sorriso e un cenno d’assenso, perché la madre subito si affretta a impartire ordini ai servi. Per inciso proprio questo fatto dimostra che Maria, nell’occasione, esercita una certa autorità all’interno del convito, se può dire ai servi, che non sono suoi, quello che essi devono fare.
[Modificato da Quixote68 11/05/2013 12:17]
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Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς.
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
GIOVANNI, III, 19. (G. Leopardi, La ginestra, esergo)