00 07/02/2016 16:37

Quanto, o meglio, come erano comprese le scritture sacre, tradotte in greco nella 70, da un comune lettore o uditore di Roma nella prima metà del primo secolo?


Userò una scala di comprensione che va dalla comprensione pessima, a quella scarsa, insufficiente, sufficiente, buona, e ottima.

Il lettore, cioè quello autorizzato a leggere e spiegare in assemblee pubbliche o private, probabilmente aveva una comprensione delle scritture ebraiche buona, se non ottima, e quasi certamente sufficiente.
Il lettore per uso personale o familiare, che doveva essere ricco, visti i costi delle pergamene o dei papiri e degli amanuensi, doveva essere interessato e probabilmente non possedeva tutte le scritture ebraiche e forse la sua comprensione poteva essere sufficiente o insufficiente a seconda del suo interesse personale o familiare.

Escludo dalla valutazione quasi tutto il nuovo testamento, che non ha quasi nessun autocitazione e fu scritto dopo la bibbia ebraica;

all'inizio la predicazione dei discepoli di Gesù si basava quasi totalmente sulla storia del vecchio testamento e sul riferimento a Gesù come Messia; si può trovare questo Kerigma nel primo discorso di Pietro agli Ebrei che si trova in Atti e anche nel discorso al centurione Cornelio della banda Italica. Ma di questo qui non mi interesso in specifico.

Nel vecchio come nel nuovo testamento ci sono diversi livelli di complessità.

Per un romano di Roma vivente a Roma nella prima metà del primo secolo, che conosceva il latino, e forse il greco della koinè ma non l'ebraico, i concetti del vecchio testamento e del nuovo mi risultano assolutamente storicamente quasi assenti dalla cultura.

Per lo stesso soggetto, se si aggiunge un contatto e un interesse per l'ebraismo, forse sapeva che c'era un solo dio, di cui ignorava il nome, sapeva del Messia , di Adamo e Noe, Abramo Mosè l'esodo dall'egitto e della dinastia di Davide e Salomone.

Considerata la divisione al'interno dell'ebraismo stesso fino al 70, è difficile che avesse una comprensione buona, quando, per esempio, lo stesso Apollo predicatore ebraico e ""versato nelle scritture" non conosceva l'opera dello Spirito Santo e altri discepoli erano fermi agli insegnamenti di Giovanni il Battista.
Se per caso avesse avuto sotto mano alcune delle lettere di Paolo, le avrebbe trovate, credo, piuttosto di difficile comprensione; Anche per me sono difficili; lo stesso Apostolo Pietro verso l'anno 64 nella sua lettera in greco agli ebrei, dopo avere imparato il greco che non conosceva prima, e con circa 30 anni di predicazione autorevole, definisce alcune scritture di Paolo di difficile comprensione. Inoltre ci riferisce che già allora alcuni torcevano le scritture per il loro presunto interesse.

La posizione dello spirito santo verso la predicazione ha visto come primo miracolo la predicazione nella lingua nativa delle varie persone, ad indicare un interesse particolare per la predicazione in lingue native nella primitiva congregazione di Gerusalemme.

Vorrei portare un esempio di incontro con un simpatizzante degli ebrei non circonciso e di origini Italiane in terra ebraica: l'incontro tra Pietro e il centurione Cornelio tratto dagli atti di Luca.

Cornelio della Banda Italica era simpatizzante da tempo con gli ebrei e manda a chiamare Pietro.

Atti 10:33-36 ".........e adesso siamo tutti presenti dinanzi a dio per udire tutte le cose che Geova ti ha comandato di dire. Allora Pietro aprì la bocca e disse..."
Qui Cornelio usa i nome di Geova.

L'espressione "Aprì la bocca e disse" è una espressione di origine aramaica che poi è passata alla lingua greca di Pietro, come riferita da Luca, che di greco e aramaico se ne intendeva avendo viaggiato con Paolo.

Poi Pietro continua "per certo comprendo che dio non è parziale"; l'espressione "non è parziale" traduce l'espressione aramaica "non accetta facce" che significa non si inchina e non si lascia ingannare da chi si inchina, come nell'espressione evangelica circa il tributo da dare a Cesare, e si tratta di espressione aramaica passata al greco del nuovo testamento.......
..........egli ha mandato la parola ai figli di Israele per dichiarare loro la buona notizia della pace per mezzo di Gesù Cristo.."

Come si vede qui ci sono i concetti ebraici dei "figli di Israele", della buona notizia o evangelo, e della pace per mezzo di Gesù il Cristo o Messia.
I concetti sono tutti ebraici ed anche le espressioni; dato che Marco più tardi servì pare da interprete a Pietro a Roma, è probabile che quando Pietro parlò al centurione parlò in Aramaico. I concetti richiedevano una conoscenza dell'ebraismo.

Se avesse fatto lo stesso discorso a Roma ad un centurione romano di Roma che non aveva avuto contatti e studi con gli ebrei avrebbe fatto un buco nell'acqua.

Per fare un poco di pensieri in libertà il parlare di "buona notizia e della pace per mezzo di Gesù Cristo (o Messia)", vista la situazione politica degli ebrei nel 33 DC e la successiva evoluzione della storia e distruzione, parlare di pace mi pare piuttosto divertente.