00 11/06/2015 13:59
caso #6


Paese: Italia

Periodo di riferimento: 1978-oggi

Esito: ha contratto l'epatite C

Fonte: Corriere del Veneto


abstract: Da bambino ha ricevuto una delicata operazione chirurgica al cuore, durante la quale gli è stata praticata una emotrafusione, risultata infetta. Risultato: si è ammalato di epatite C




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Trasfusione infetta da bambino

Risarcito dopo più di 30 anni


Ministero condannato: dovrà versargli a vita 730 euro al mese. L’odissea di un trevigiano che contrasse l’epatite C durante un’operazione


TREVISO — Nel lontano 1978 contrasse l’epatite C a causa di una trasfusione di sangue infetto all’ospedale di Padova. Ora, 34 anni dopo, il ministero della Salute è stato condannato a risarcirlo con un vitalizio di oltre 700 euro al mese. La sentenza è stata depositata dal giudice del lavoro di Treviso, che ha esaminato la causa intentata da un 44enne di Maserada di Piave (Treviso) che quand’era bambino venne sottoposto a un delicato intervento al cuore, nel corso del quale si rese necessaria un’emotrasfusione. È in quella occasione che, stando a quanto accertato da un’apposita commissione medica, contrasse l’epatite C. Per molti anni la malattia rimase latente e solo nel 1994, a seguito di alcuni esami, scoprì di essere infetto. La richiesta di indennizzo la presentò soltanto nel 2004 quando, dopo lunghe ricerche condotte anche con l’ausilio di esperti, arrivò alla conclusione che probabilmente la malattia era collegata all’intervento subito 26 anni prima.

Su indicazione dell’Usl, in accordo con il ministero, venne nominata una commissione con il compito di valutare se l’uomo avesse i requisiti necessari a ottenere un indennizzo. Gli esperti arrivarono alla conclusione che effettivamente l’epatite C era dovuta alla trasfusione di sangue avvenuta nel corso dell’intervento del ’78, ma che non aveva diritto a percepire alcunché perché era trascorso troppo tempo (più dei tre anni indicati come termine da una legge del 1997) tra la scoperta e la richiesta di indennità. A nulla erano valse le giustificazioni del malato, che aveva spiegato come ci fosse voluto molto tempo prima di ipotizzare un collegamento tra la sua condizione e quell’intervento al cuore subito quand’era un bimbo di appena 10 anni. Per lo Stato, al trevigiano non era dovuto alcun indennizzo. Deciso a ottenere giustizia per quel sangue infetto che gli era stato trasfuso, si è rivolto agli avvocati Mary Corsi e Marco Pescarollo che hanno depositato il ricorso, in causa civile, davanti al tribunale del lavoro di Treviso. La sentenza ha ribaltato le conclusioni alle quali era giunta la commissione medica.

Per il giudice, per un caso che risale agli anni Settanta, non si possono applicare i termini di «prescrizione» indicati da una legge varata nel 1997. «La domanda è proponibile nell’ordinario termine di prescrizione decennale, a decorrere dal momento in cui l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno», si legge nelle motivazioni della sentenza. Da qui la decisione di condannare il ministero della Salute a corrispondere al trevigiano «con durata a vita» una indennità di circa 730 euro mensili. Non solo: quella sorta di pensione va conteggiata da quando ha presentato la richiesta di indennizzo (nel 2004), con il diritto a ricevere arretrati per circa 60mila euro, oltre a interessi legali e rivalutazione per altri 20mila. «E' una sentenza importante - commenta l’avvocato Corsi - perché apre le porte ai ricorsi presentati dalle migliaia di persone che negli anni Settanta si ammalarono a causa delle trasfusioni di sangue infetto effettuate negli ospedali italiani». Per il trevigiano la battaglia legale non è finita: il suo legale ha già presentato una richiesta di 208mila euro come risarcimento per il danno subito a causa dell’infezione che gli è stata trasmessa.


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[Modificato da EverLastingLife 11/06/2015 14:05]