Uno dei limiti del modello dell’universo-fenice è tuttavia dovuto al fatto di fondarsi sulla teoria M, quindi sulla teoria delle stringhe, le brane e le dieci dimensioni spaziali al posto delle tre che conosciamo. Sebbene la maggior parte dei fisici teorici accetti questi presupposti, negli ultimi anni sta crescendo il fronte di coloro che mettono in dubbio la bontà della teoria delle stringhe come modello descrittivo della realtà e stanno acquistando maggiore credito ipotesi alternative, come la gravità quantistica a loop, che prevede a sua volta un Big Bounce, sebbene non sia in grado di dettagliare un modello cosmologico in cui l’entropia venga mantenuta basso al momento del “rimbalzo”. Un’alternativa seducente è stata invece proposta da Sir Roger Penrose, che è stato uno dei primi teorici delle singolarità gravitazionali insieme a Stephen Hawking, nonché tra i primissimi a studiare le teorie di gravità quantistica con un approccio diverso da quello delle stringhe (la cosiddetta “teoria dei twistors”, o “torsori”). Nel suo libro del 2010 Cycles of Time, tradotto in Italia con il titolo Dal Big Bang all’eternità, Penrose propone un modello denominato “cosmologia ciclica conforme” (CCC) che non prevede nessuno degli esotismi della cosmologia quantistica, e che pertanto può funzionare a prescindere dalle diverse ipotesi di gravità quantistica (teoria delle stringhe, loop o twistors).
Tutto il modello poggia sull’entropia. Per Penrose, la ciclicità dell’Universo è possibile solo se si trova un meccanismo in base al quale l’altissima entropia che avremo alla fine del tempo, quando l’Universo sarà in equilibrio termodinamico dato dall’evaporazione di tutti i buchi neri, potrà ridursi allo stato di minima entropia del Big Bang, senza violare la seconda legge termodinamica prevedendo contrazioni che facciano invertire la freccia del tempo. Penrose mostra che il principale apporto alla crescita dell’entropia nell’Universo è dato dai buchi neri: di fatto, il Sole e le altre stelle, così come la Terra e gli altri pianeti, sono sistemi molto ordinati rispetto al plasma di quark e gluoni che dominava l’Universo primordiale; se l’entropia della fase attuale è maggiore di quella della fase primordiale è per il contributo dei buchi neri, all’interno dei quali materia e radiazione sono distrutti e ridotti a uno stato di estremo disordine. Gradualmente, i buchi neri assorbiranno tutta la materia e la radiazione dell’universo, aumentando di conseguenza sensibilmente l’entropia.
Proprio perché soggetti all’entropia, tuttavia, i buchi neri – scoprì Stephen Hawking negli anni Settanta – possono emettere calore. In un’epoca molto remota, quindi, gradualmente tutti i buchi neri evaporeranno per effetto della radiazione di Hawking (un effetto di natura quantomeccanica), emettendo radiazione termica. Questo fenomeno ha destato grande scalpore negli anni, perché sembra violare un principio fondamentale della fisica quantistica, quello per cui l’informazione non può mai andare distrutta: se un libro viene gettato in un camino, è sempre possibile, in linea di principio, ricostruirne l’informazione dalle ceneri e dalla radiazione termica prodotta; viceversa, la radiazione emessa da un buco nero è identica a quella di un corpo nero, la cui proprietà è che l’unica informazione estraibile è la sua temperatura. Il buco nero, quindi, non è in grado di restituirci alcuna informazione sulla materia che vi è finita dentro. Per Penrose, questo meccanismo è di capitale importanza per il modello CCC: mentre Hawking, recentemente, ha fatto marcia indietro, sostenendo che sia possibile comunque estrarre informazione dalla radiazione emessa dai buchi neri (e su questo punto si basa anche la proposta di Big Bounce della gravità quantistica a loop), Penrose crede che invece la perdita d’informazione nei buchi neri sia reale.
Ma perché questo punto è così importante? Penrose sostiene che la minima entropia del Big Bang sia dovuta al fatto che su di esso non si applichino i gradi di libertà gravitazionali, ossia le proprietà che caratterizzano tutti i corpi soggetti a gravità (tra cui anche le singolarità al centro dei buchi neri). Poiché è la gravità ad aumentare l’entropia, il fatto che essa non si applichi alla singolarità iniziale è ciò che permette alla sua entropia di restare bassa. Ora, quando la materia finisce in un buco nero, perde tutta la sua informazione, tra cui i gradi di liberà gravitazionali che ne descrivono il comportamento. Quel che esce dal buco nero dopo la sua evaporazione, quindi, è radiazione a bassissima entropia.
Resta il fatto, tuttavia, che l’Universo alla fine del tempo sia enormemente esteso e di ben altra natura rispetto a quello che emerge dalla singolarità iniziale. Ma solo apparentemente, secondo Penrose. L’evaporazione dei buchi neri lascerà l’Universo al suo stadio finale riempito solo di particelle senza massa, come i fotoni e i gravitoni. Per particelle prive di massa il tempo non esiste (se fossimo un fotone, che viaggia alla velocità della luce, vedremmo l’intera storia dell’Universo scorrere davanti a noi in un attimo); e se non esiste il tempo, non esiste nemmeno lo spazio. In quest’epoca finale, non c’è nulla che ci permette di calcolare il tempo o la dimensione dell’universo: si applica ad esso la geometria conforme, che come si è detto è invariante per scala. Una situazione identica a quella dopo il Big Bang, in cui «l’energia cinetica dei moti delle particelle doveva essere così gigantesca da surclassare nel modo più completo le loro rispettive energia riposo, che al confronto erano minuscole (E=mc2, per una particella di massa a riposo m)» nota Penrose, che aggiunge: «Pertanto, la massa a riposo delle particelle doveva essere di fatto ininfluente: in pratica, per quanto concerne i processi dinamici rilevanti, era come se fosse pari a zero. Nei suoi primissimi momenti di vita, l’universo era quindi pieno di particelle che risultavano effettivamente prive di massa», esattamente come nello stadio finale dell’Universo precedente viii. Come volevasi dimostrare.
Il modello della CCC di Penrose fa una serie di predizioni: innanzitutto, dev’essere vero che la radiazione di Hawking non restituisce l’informazione del contenuto del buco nero; in secondo luogo, tutte le particelle dotate di massa devono decadere sul lunghissimo periodo, perché è sempre possibile che qualche elettrone, protone o particella di materia oscura sfugga agli enormi buchi neri alla fine del tempo, per cui è necessario che perdano anche loro massa, fatto questo non osservato finora in nessun esperimento, ma che potrebbe risultare verso su un tempo lunghissimo (ciascun “eone”, come Penrose definisce i cicli dell’Universo, durerebbe 10^100, ossia un googol di anni). Infine, le onde gravitazionali prodotte dalla collisione tra i giganteschi buchi neri che domineranno alla fine del precedente eone dovrebbero giungere fino a noi, imprimendosi sulla radiazione cosmica di fondo sotto forma di anelli concentrici a temperature inferiori rispetto alla media: Penrose e il suo collega Vahe Gurzadyan ritengono di averle individuate nella mappa del fondo cosmico a microonde prodotta dal satellite WMAPix.
Quel che colpisce di questi due modelli è che, pur se entrambi spiegano le proprietà dell’universo primordiale facendo a meno dell’inflazione, e quindi del principale meccanismo alla base della teoria del multiverso, nondimeno prevedono l’esistenza di altri Universi, non contigui al nostro, ma esistiti in epoche precedenti e nel futuro. In tal modo diventa possibile anche spiegare il dilemma antropico, ossia il fatto che le costanti fondamentali dell’Universo possiedano valori che, se differissero di pochi decimali, renderebbero impossibile la vita: in ciascun ciclo, l’Universo subisce una lieve variazione di questi valori, cosicché la maggior parte degli universi del passato e del futuro sono di fatto invivibili, e noi non siamo che i fortunati vincitori di una lotteria cosmica che si ripete ogni googol di anni…
(continua).
Note
i Isaac Asimov, L’ultima domanda, in Id., Il meglio di Asimov, Mondadori, Milano, 1975.
i Paul J. Steinhardt, Neil Turok, Universo senza fine. Oltre il big bang, il Saggiatore, Milano, 2010, p. 202.
iii Justin Khoury, Burt A. Ovrut, Paul J. Steinhardt, Neil Turok, “Ekpyrotic universe: Colliding branes and the origin of the hot big bang”, Physical Review D, vol. 64, novembre 2001.
iv Renata Kallosh, Lev Kofman, Andrei Linde, “Pyrotechninc Universe”, Physical Review D, vol. 64, 28 novembre 2001.
v Steffen Gielen, Neil Turok, “Perfect Quantum Cosmological Bounce”, Physical Review Letters, vol. 117, 8 luglio 2016.
vi Anna Ijjas, Paul J. Steinhardt, “Classically stable non-singular cosmological bounces”, Physical Review Letters, vol. 117, 16 settembre 2016.
vii Clara Moskowitz, “Did the Universe Boot Up with a «Big Bounce?», Scientific American, 3 agosto 2016; tr. it. “L’universo è nato da un grande rimbalzo?”, Le Scienze, 6 agosto 2016.
viii Roger Penrose, Dal Big Bang all’eternità. I cicli temporali che danno forma all’universo, Rizzoli, Milano, 2011, p. 181.
ix Vahe G. Gurzadyan, Roger Penrose, “On CCC-predicted concentric low-variance circles in the CMB sky”, European Physical Journal Plus, vol. 128 n. 22, 2013.
www.fantascienza.com/22270/il-migliore-degli-universi-possibili-la-scoperta-del-multiverso-p...
Ciao
anto_netti