Per preservare i bovini si rischia di perdere un mercato da 24 miliardi. Lo scorso anno i fondamentalisti hanno ucciso 11 allevatori musulmani
Pubblicato il 29/01/2018
Ultima modifica il 29/01/2018 alle ore 09:30
carlo pizzati
jaipur (Rajasthan)
L’India è un Paese notoriamente abituato ad accogliere le contraddizioni. Ma quella che si sta cristallizzando attorno al commercio delle vacche rischia di diventare troppo costosa.
Da un lato c’è un governo di fondamentalisti indù che sta proibendo il macello della «madre vacca» simbolo unificante delle divinità induiste, simulacro della Patria stessa. Dall’altro, il paradosso di una nazione con una classe media in crescita e di conseguenza con una domanda di latte fresco e a lunga conservazione che raddoppia ogni cinque anni.
Il nodo si stringe attorno agli allevatori, ai quali non conviene più tenere le vacche se non possono, alla fine del ciclo di produttività del latte, venderle come carne da macello.
Dal 2011, quindi, in tutta l’India sono iniziati a spuntare i primi santuari finanziati con donazioni di fondamentalisti che ospitano le vacche che non possono più produrre latte. L’apertura di questi giardini del bovino è aumentata significativamente dal 2014, quando Narendra Modi è diventato primo ministro, e ancor di più dal maggio dell’anno scorso, quando Delhi ha tentato di proibire su scala nazionale il macello delle vacche, legge bloccata però dalla Corte Suprema. Ma intanto alcuni stati, soprattutto nel Nord-Ovest, hanno approvato norme regionali che proibiscono o limitano il macello. Così oggi si è arrivati a più di 5 mila santuari per vacche in tutto il Paese.
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