00 07/09/2018 17:42
Il successivo e ultimo intervento è a cura di don Battista Cadei che affronta il tema "Comportamenti dei cattolici di fronte ai testimoni di Geova" dicendo:


Scrive G. Crocetti: «Il vero testimone di Geova non va a lui [= al cattolico] per dialogare, ma per indottrinare; non per ascoltare, ma solo per convincere; e ciò che esula dal proselitismo [= dalla propaganda] – anche se potrebbe sembrare diversamente – in realtà non lo interessa».

Un giorno un tdG mi disse press'a poco così: «Io dialogo con te, come persona privata, perché mi sembri in buona fede; ma non posso dialogare con la chiesa cattolica, che è intrinsecamente cattiva e non è riformabile». Di conseguenza sembrerebbe che la polemica debba essere l'unico tipo di approccio coi tdG (senza perdere troppo tempo... perché tanto è inutile). L'amore di Cristo per tutti, quindi anche per i tdG ci spinge a chiederci se è proprio vero che la realtà concreta dei tdG non permette altri approcci.

Nella realtà gli approcci ai tdG sono diversi, non tutti giustificabili, raggruppabili in tre tipi principali:

1) Il falso ecumenismo di alcuni (pochi!) che senza conoscerne la dottrina, immaginano che non sia tanto lontana da quella cattolica, e li approvano tranquillamente. So di un parroco, che, interpellato da un gruppo di famiglie frequentate da tdG, rispose: «Fateli venire e ascoltateli, così almeno imparate la Bibbia». Chi fa questo è un irresponsabile: non si rende conto che essi mirano a togliere dall'animo punti essenziali della fede, come la divinità di Gesù, la Trinità di Dio, la sua misericordia, l'immortalità dell'anima ecc.

2) Più frequente è il disprezzo, il pregiudizio e la polemica. Si dice: «Sono in cattiva fede; sono falsi profeti… non ascoltateli, maltrattateli...». Alcuni pastori, interrogati su dubbi nati da contatti con tdG, anziché rispondere in maniera puntuale, fanno qualche battuta sprezzante, col risultato di favorire il passaggio ai tdG. Tale comportamento ignora la distinzione tra l'errore, che va combattuto, e le persone, che non possiamo giudicare. Si rischia di fare di ogni erba un fascio e di dire, pur senza intenzione, cose ingiuste e calunniose.
Ci sono alcuni che si augurano una lotta contro i tdG anche sul piano penale o politico: li annoverano tra le «sètte distruttive», e pertanto sono contrari all’approvazione dell’Intesa con lo Stato italiano. Certo è da criticare il loro rapporto con la società civile (vedi per es. il rifiuto della trasfusione di sangue anche su minori in pericolo di vita). Lasciando impregiudicato il problema «politico», che esiste, dal mio punto di vista la nostra battaglia deve rivolgersi alle coscienze sul piano della libertà con cui Cristo ci ha liberati (Gal 5,1).

3) L'indifferenza di quei cristiani (purtroppo numerosi) che hanno scelto di ignorare, e dicono: «Prenderli in considerazione significherebbe dargli importanza. Ignorateli. Sono un fenomeno strano, che cadrà da sé. Eppoi, in fondo è una questione di coscienza». Ma non si può ignorare una realtà come il proselitismo dei tdG che fanno propaganda nelle città, paesi, e campagne. Se un nostro fratello di fede abbandona la chiesa cattolica, non possiamo lavarcene le mani dicendo: è una cosa che riguarda la sua coscienza. Come quando un figlio o un coniuge abbandona la famiglia: la cosa riguarda certo la sua coscienza, ma non può lasciare indifferente il resto della famiglia!

Paolo VI dice della Chiesa: «Nessuno è estraneo al suo cuore. Nessuno è indifferente per il suo ministero. Nessuno le è nemico, che non voglia egli stesso esserlo».
La lettera Placuit Deo, n. 15 della Congregazione per la dottrina della fede (2018): «In questo sforzo saranno anche pronti a stabilire un dialogo sincero e costruttivo con i credenti di altre religioni, nella fiducia che Dio può condurre verso la salvezza in Cristo “tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia”» (Conc. Vat. II). Si dice: «Con voi ogni dialogo è impossibile ». Ma non si può mai generalizzare.
Citiamo di nuovo Paolo VI, Ecclesiam suam, 1964; N° 83-84: «Il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l'esempio che propone; non è comando, non è imposizione. È pacifico; evita i modi violenti; è paziente; è generoso. La fiducia, tanto nella virtù della parola propria, quanto nell'attitudine ad accoglierla da parte dell'interlocutore: promuove la confidenza e l'amicizia; intreccia gli spiriti in una mutua adesione ad un Bene, che esclude ogni scopo egoistico. La prudenza pedagogica… fa grande conto delle condizioni psicologiche e morali di chi ascolta: se bambino, se incolto, se impreparato, se diffidente, se ostile; e si studia di conoscere la sensibilità di lui, e di modificare, ragionevolmente, se stesso e le forme della propria presentazione per non ess essergli ingrato e incomprensibile».



Lascio la parola a chi desidera replicare...