Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

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Vladimir Majakovskij

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    Chameleon.
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    TdG
    00 22/06/2019 23:49
    Il più grande poeta russo del Novecento
    Vladímir Vladímirovič Majakóvskij è stato un poeta, scrittore, drammaturgo, regista teatrale, attore, artista, pittore, grafico e giornalista sovietico, cantore della rivoluzione d'ottobre e maggior interprete del nuovo corso intrapreso dalla cultura russa post-rivoluzionaria.

    it.wikipedia.org/wiki/Vladimir_Vladimirovi%C4%8D_Majakovskij


    Consiglio la raccolta su BUR. Eh sì, questo era davvero un gigante, tra i 10 più grandi del Novecento a mio parere.



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    Chameleon.
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    TdG
    00 22/06/2019 23:50
    Il violino e un po' nervosamente
    Il violino coi nervi tesi, supplicando,
    a un tratto scoppiò in pianto
    così infantilmente,
    che il tamburo non resse:
    "Bene, bene, bene!"
    E lui stesso si stancò,
    non finì di ascoltare il violino,
    sgattaiolò in fretta
    e se ne andò.
    L'orchestra estraneamente guardava
    il violino che si sfogava nel pianto
    senza parole
    senza tempo,
    e solo chissà dove
    uno stupido piatto
    strepitava:
    "Cos'è?"
    "Com'è?"
    E quando il flicorno -
    cornoramato,
    sudato,
    gridò:
    "Scemo,
    piagnone,
    asciugati!" -
    io mi alzai,
    barcollando, mi arrampicai tra le note,
    tra i leggii curvi per lo spavento,
    chissà perché gridai:
    "Mio Dio!",
    mi buttai al collo di legno:
    "Sai una cosa, violino?
    Noi ci somigliamo tremendamente:
    ecco anch'io
    urlo -
    ma non so dimostrare nulla!"
    I musicisti ridono:
    "S'è invischiato e come!
    E' venuto dalla fidanzata di legno!
    Che testa!"
    Ma io - me ne frego!
    Io - sono un bel tipo.
    "Sai una cosa, violino?
    Dai -
    Vivremo insieme!
    Sì?"
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    Chameleon.
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    TdG
    00 22/06/2019 23:57
    Il flauto di vertebre
    A voi tutte,
    che piacete o siete piaciute,
    icone serbate dall’anima dentro i suoi antri,
    in un brindisi alla vostra salute,
    alzo il cranio traboccante di canti.

    Mi chiedo ancora ed ancora
    se non sia meglio mettere il punto
    d’un proiettile all’essere mio.
    Oggi io darò
    per l’appunto
    un concerto d’addio.

    Raduna, o memoria,
    del cervello dentro il vestibolo,
    le femmine amate in lunghi filari.
    D’occhio in occhio versa il tuo giubilo.
    Travesti la notte in antichi sponsali.
    Travasa di corpo in corpo il tuo gaudio.
    Che questa notte sia memorabile.
    Oggi io suonerò il flauto
    sulla mia colonna spinale.

    1
    Miglia di strade io gualcisco in cammino.
    Dove celare l’inferno che ho in me?
    Quale Hoffman divino
    creò, o donna perfida, te?
    Son anguste le vie per la gioiosa bufera.
    Gente vestita di gala attinge ed attinge la festa.
    Io penso.
    Grumi di sangue, i pensieri
    malati e rappresi mi strisciano fuori di testa.

    Io,
    taumaturgo di tutto quello che è festa
    con chi andare alla festa non ho.
    Mi scaglierò a terra e la testa
    contro
    il lastrico sfracellerò!
    Ho bestemmiato,
    ho urlato che Dio non esiste
    e Dio ha evocato una donna dalle voragini amare,
    tale che la montagna dinanzi a lei trasalisca,
    me l’ha condotta e m’ha detto
    d’amare.

    Dio è soddisfatto.
    Sotto cieli lontani
    un uomo come una fiera esala l’estremo sospiro.
    Dio si stropiccia le mani.
    Dio pensa:
    vedrai, Vladimiro!
    È da Dio che fu stabilito
    che io non indovini il mistero dietro il tuo nome,
    che ha pensato di darti un vero marito,
    e di spiegare sul pianoforte una musica d’uomo.
    Alla soglia della tua alcova venire con passo felpato,
    fare la croce sul tuo piumino purpureo:
    lo so,
    si sentirebbe puzzo di lana bruciata
    e dalla carne del diavolo s’alzerebbe fumo sulfureo.

    E me fino all’alba
    ha sconvolto l’orrore
    che tu fossi condotta
    verso l’amore e il martirio.
    Ho sfaccettato le mie lacrime in versi,
    gioielliere in delirio!
    Giocare a carte, sciacquare nel vino
    la rauca gola del cuore!

    Non ho bisogno di te.
    Non voglio.
    Tanto lo so,
    fra breve
    creperò.

    Se davvero tu esisti,
    o Dio,
    o mio Dio,
    se fosti tu a tessere il tappeto stellato,
    se questo tormento,
    ogni giorno moltiplicato,
    è per me un tuo esperimento,
    indossa
    la toga curiale.
    La mia visita attendi.
    Sarò puntuale,
    non tarderò ventiquattr’ore.
    Ascoltami,
    altissimo Inquisitore!
    Chiuderò la bocca.
    Sillaba non udirete
    dai labbri serrati dentro la morsa dei denti.
    Attaccami
    alle code di cavallo delle comete,
    lacerami
    contro le stelle taglienti.
    Meglio ancora:
    quando l’anima mia
    si presenterà al tuo tribunale,
    corruga le ciglia ed impiccami
    a guisa di criminale
    al capestro della Via Lattea.
    Fa’ di me quel che ti pare.
    Se vuoi, squartami.
    La tua mano sarà da me benedetta.
    Soltanto,
    ascoltami!
    Portati via
    la maledetta
    che mi hai condannato ad amare!

    Miglia di strada io gualcisco in cammino.
    Dove celare l’inferno che ho in me?
    Quale Hoffman divino
    creò, o donna perfida, te?

    2
    Sfuma il cielo,
    immemore del suo azzurro colore.
    Le nuvole son come profughi grigi.
    Le dipingerò con le tinte del mio ultimo amore,
    vivido come l’incarnato di un tisico.

    La mia gioia soffocherà
    il ferino ululato
    di chi non sa piú che cosa sia la felicità,
    di chi la propria casa ha scordato.
    Uscite di sottoterra,
    uomini delle trincee:
    c’è tempo a finire la guerra!

    Anche se dura il terrore
    della battaglia ubriaca di sangue come Bacco di vino,
    non sarà vana una parola d’amore.
    Cari Tedeschi,
    accorrete!
    Io so che avete sul labbro
    la Margherita
    di Goethe.

    Muore
    con un sorriso
    sulla baionetta il Francese.
    Con un sorriso cade giú il trafitto aviatore,
    se si ricorda della tua bocca baciata,
    e del tuo viso,
    o Traviata.

    Che m’importa quale rosea linfa
    gli uomini rumineranno nel tempo?
    Oggi ai piedi d’una nuova ninfa
    s’inginocchi ciascuno nel mio tempio!
    Io te canterò,
    rossochiomata
    e dipinta.

    Forse di questa età,
    di questi giorni piú acuti
    che baionette e pugnali,
    quando i secoli saranno canuti,
    resteremo soltanto tu ed io,
    che t’inseguirò di città in città.

    Ti nasconderai in grembo all’ombra,
    ti rapiranno oltre fiumi e canali:
    io ti bacerò traverso alle brume di Londra
    con le labbra di fuoco dei fanali.

    Se te ne andrai in carovana con lento
    passo ove stanno i leoni in agguato,
    sotto a te,
    agli schiaffi del vento,
    si farà sabbia la mia guancia infuocata.

    Se un sorriso di simpatia
    fiorisca sulla tua bocca
    per il torero in ginocchio,
    nel tuo palco
    getterò come l’occhio
    del toro la mia gelosia.

    Un giorno,
    se varcando con gli occhi assorti
    la Senna tu penserai
    che si starebbe bene laggiú
    sotto il ponte io sarò la corrente,
    ti chiamerò nel mio vortice,
    digrignando i putridi denti.

    Incendierai con un altro al trotto dei vostri cavalli
    i viali nei parchi di Pietrogrado e di Mosca:
    io tremerò come una luna pallida e gialla
    sospeso ignudo nella vertigine fosca.

    Avranno
    bisogno di me.
    Mi diranno:
    muori in battaglia!
    Il tuo nome
    sarà l’ultima goccia di sangue
    a rapprendersi sul labbro lacerato dalla mitraglia.

    Finirò sul trono
    o a Sant’Elena?
    Quando avrò regolato
    i flutti di questa procella − la vita −
    egualmente sarò candidato
    all’impero dell’universo
    ed ai lavori forzati.

    Se m’è destinato d’essere re,
    è il tuo piccolo viso
    che farò battere al popolo come moneta
    nella vena dell’oro vivo!
    Oppure laggiú
    dove la vita del mondo si sprofonda in tundra e in neve,
    dove traffica il fiume col vento del settentrione,
    gratterò con l’unghia sul ferro, o Lilly, il tuo nome breve,
    e bacerò le catene nelle tenebre della prigione.
    Voi che avete dimenticato del cielo l’azzurro colore,
    i vostri capelli son rigidi
    come il pelo delle bestie feroci.
    Al mondo
    questo è forse l’ultimo amore,
    vivida aurora come l’incarnato d’un tisico.

    3
    Dimenticherò l’anno, la data, il giorno della settimana.
    A chiave mi chiuderò, con un foglio di carta soltanto.
    Adémpiti, o magia sovrumana
    delle sillabe illuminate di pianto!

    Appena entrato nella tua abitazione,
    oggi mi sono sentito
    a disagio.
    Avevi nascosto qualcosa nella tua blusa di raso
    e s’aggirava nell’aria un lento profumo d’incenso.
    Ti ho chiesto se eri contenta.
    Mi hai risposto due sillabe fredde:
    tanto.
    L’inquietudine ha rotto le dighe della ragione,
    ed accumulo il cruccio in un delirio di febbre.

    Ascolta.
    Non è possibile
    che tu riesca a celare il cadavere.
    Gettami in viso la parola terribile.
    Perché non vuoi udire?
    Non senti
    che ogni tuo nervo contorto
    urla come una tromba di vetro:
    l’amore è morto −
    l’amore è morto…
    Ascolta.
    Rispondimi senza mentire
    (come farò a andare indietro?)…

    Come due fosse
    in viso ti si scavano gli occhi.

    Le due tombe sprofondano.
    Non se ne vede piú il fondo.
    Cadrò dall’impalcatura dell’ore!

    L’anima ho teso come una fune sul precipizio
    e v’ho danzato, acrobata-equilibrista,
    giocoliere delle parole.

    Lo so
    che s’è di già consumato l’amore.
    Ormai a piú d’un segno vi riconosco la noia.
    Ritornami giovane in cuore!
    All’anima insegna di nuovo del corpo la gioia.

    Lo so,
    si paga sempre per una donna.
    Che importa? La vestirò,
    come dentro una gonna,
    invece d’una toeletta
    comprata a Parigi,
    col fumo della mia sigaretta.

    Recherò l’amor mio
    per mille strade distanti,
    come recavano gli antichi apostoli Dio.
    Da secoli t’ho preparato un diadema,
    costellato di sillabe vivide
    in arcobaleni di brividi.
    Come i giganteschi elefanti
    che valsero la vittoria di Pirro,
    a te io sconvolsi con la zampa del genio il cervello.
    Inutilmente: di te
    non avrò nemmeno un brandello.

    Gioisci,
    gioisci,
    che finalmente mi hai dato
    il colpo mortale!

    Io desidero
    fuggire al canale
    per mettere il capo nella mandibola liquida!

    Mi hai offerto le labbra.
    Rozze erano ed umide.
    Le ho appena sfiorate e m’hanno agghiacciato,
    come se in pentimento avessi baciato
    un monastero tagliato nella pietra ruvida.

    Hanno sbattuto la porta.
    Egli è entrato,
    rorido dell’allegria delle vie.
    Io mi sono spezzato
    con un gemito in due.
    Gli ho detto:
    va bene,
    andrò via.
    Va bene,
    sia tua.
    Coprila di cenci, se vuoi
    che pieghino sotto la seta le fragili ali di vetro.
    Bada che può fuggirsene a nuoto.
    Attaccale al collo
    una collana di perle come una pietra!

    Che notte
    stanotte!
    Il mio cruccio ho spremuto con forza sempre maggiore.
    A sentire le mie risate e i singhiozzi
    il muso della mia camera ha fatto una smorfia d’orrore.

    Luce riflessa dai tuoi occhi sopra il tappeto,
    si levò la tua effigie quasi immagine magica,
    come se un altro Biàlik evocasse in segreto
    una favolosa regina per la nuova Sion ebraica.

    Nel supplizio della Passione
    ora piego i ginocchi e la testa
    dinanzi a colei che fu mia.
    A mio Paragone
    Re Alberto,
    che ha arreso tutte le sue piazzeforti,
    è come se ricevesse regali per la sua festa.

    Indoratevi ancora nell’erba e nel cielo sereno!
    O vita, rifà primavera dalle tue mille fibre diverse!
    Non voglio ormai che un veleno:
    bere, sempre bere i miei versi.

    Tutto mi rubasti col cuore,
    e non mi lasciasti che il fardello della disdetta.
    L’anima mi lacerasti come in un rovo.
    Accetta il mio dono, o diletta:
    forse non inventerò altro di nuovo.

    Nei quaderni dei tempi
    scrivete la data d’oggi a lettere d’oro!
    Adémpiti,
    magia simile alla passione di Cristo.
    Guardate:
    sulla carta son crocifisso
    coi chiodi delle parole.
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    Chameleon.
    Post: 6.346
    TdG
    00 23/06/2019 00:19
    Come divenni cane
    Questo poi è proprio intollerabile!
    Sono tutti morsi di rabbia.
    Io non mi arrabbio come fate voi:
    io, come un cane, al volto della luna nudafronte,
    darei sotto
    a ululare tutto.

    Nervi, probabilmente…
    Meglio uscire,
    fare due passi.
    Ma anche in strada non mi calmo alla vista di nessuno.
    Bisogna rispondere,
    è una conoscente.
    Lo voglio,
    ma sento che non ci riesco in forma umana.

    Ma che mi sta succedendo?
    Fosse un sogno?
    Mi palpo:
    sono lo stesso di prima,
    la faccia è quella solita che conosco.
    Tocco le labbra
    ma sotto un labbro
    c’è una zanna.

    Subito mi copro in faccia come per soffiarmi il naso.
    E via verso casa a lunghi passi.
    Circospetto, doppio il posto di polizia,
    e d’un tratto un rintronante:
    “Guardia!
    La coda!”

    Ci passo la mano e rimango.
    Peggio questo
    di qualunque zanna,
    e, senza neppure accorgermene nel mio frenetico galoppo,
    da sotto la giacca
    mi si è srotolato il codone
    che mi sventaglia dietro,
    enorme, canino.

    E adesso?
    Uno si mette a urlare e ammassa folla.
    E poi un secondo, più un terzo, più un quarto.
    Calpestano una vecchietta.
    Quella, a segni di croce, strilla qualcosa sul diavolo.

    E quando coi baffoni-scopette rizzati,
    la folla mi si fece incontro,
    smisurata,
    imbestialita,
    io mi misi carponi
    e presi ad abbaiare:
    “Bau! bau! bau!”

    (1915)
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    Chameleon.
    Post: 6.346
    TdG
    00 23/06/2019 00:25
    Non capiscono niente
    Entrai dal barbiere e dissi - serio:
    "Mi pettini le orecchie, per favore".
    Il liscio barbiere si fece aghiforme,
    gli venne una lunga faccia da pera.
    "Scemo!
    Pagliaccio!" -
    si misero a saltare le parole.
    Le ingiurie rimbalzavano di guaito in guaito,
    e a lu-u-u-ungo
    ghignò una testa tra la folla,
    sradicandosi via come un ravanello avvizzito.

    [1913]
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    (SimonLeBon)
    Post: 50.047
    Città: PINEROLO
    Età: 53
    TdG
    00 23/06/2019 11:25
    Re: Non capiscono niente
    Chameleon., 23/06/2019 00:25:

    Entrai dal barbiere e dissi - serio:
    "Mi pettini le orecchie, per favore".
    Il liscio barbiere si fece aghiforme,
    gli venne una lunga faccia da pera.
    "Scemo!
    Pagliaccio!" -
    si misero a saltare le parole.
    Le ingiurie rimbalzavano di guaito in guaito,
    e a lu-u-u-ungo
    ghignò una testa tra la folla,
    sradicandosi via come un ravanello avvizzito.

    [1913]



    Forte anche questa
    ma cos'avrebbe dovuto rispondere
    il povero barbiere!?

    Simon