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M’illumino d’immenso: la parafrasi del testo di Mattina

Come già anticipato la lirica che consideriamo qui consta di un titolo, di un’indicazione spazio-temporale e di due soli versi:


Mattina

Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917

M’illumino
d’immenso.


Dal punto di vista metrico ci troviamo di fronte a due versi liberi, più esattamente due versi ternari (tre sillabe) nei quali è rintracciabile un settenario spezzato.
Dal punto di vista fonetico, soprattutto nei due vocaboli emblematici – illumino e immenso – è facile rilevare la allitterazione del suono /m/ e la presenza ravvicinata di due geminate (doppie) -ll- e -mm- : si tratta di due espedienti funzionali ad evocare i primi suoni emessi dai bambini, una non-parola che viene articolata in questi suoni, capaci di esprimere ciò che non si riesce più a contenere e a reprimere. Si tratta dei suoni più vicini al silenzio o a una condizione di afasia, quindi il suono più adatto per esprimere (anche) un profondo senso di incomunicabilità, indotto dagli eventi tragici che il poeta ogni giorno era costretto ad affrontare e che, però, sente, comunque, il bisogno di cantare.
Dal punto di vista retorico la figura predominante è senz’altro la sinestesia; luminosità e immensità si percepiscono, infatti, in modo diverso: mentre la prima è una sensazione di carattere visivo la seconda è una condizione che viene colta dalla mente, una presenza che si dischiude nell’interiorità del poeta. Non è un caso che Ungaretti scelga la sinestesia, in questo come in molti altri casi. Si tratta, infatti, di una delle figure retoriche privilegiate nelle poetiche simboliste dalle quali la poetica di Ungaretti e dell’ermetismo discende direttamente, per dischiudere una dimensione altra, un universo interiore al quale è possibile accedere solo intuitivamente, attraverso un’esperienza sensoriale che dà luogo a una consapevolezza improvvisa e alogica.
Prima di chiarire il significato di Mattina, al quale ci stiamo progressivamente avvicinando, è opportuno affrontare la questione della tecnica compositiva utilizzata. Abbiamo già accennato sopra che il titolo con la quale fu pubblicato per la prima volta questo componimento era Cielo e mare; in questa prima versione anche il testo, come testimonia una lettera inviata da Giuseppe Ungaretti a Giovanni Papini il 26 gennaio 1917, da Santa Maria La Longa, era differente:

“M’illumino / d’immenso / con un breve / moto / di sguardo”

La tecnica con cui Giuseppe Ungaretti ottiene la versione finale di Mattina è, dunque, quella del levare : in tal modo riduce progressivamente la quantità di versi e di termini utilizzati per esprimere il nucleo centrale del componimento che, alla fine rimane il solo elemento presente nei versi. Da notare che la versione iniziale di Mattina era composta da cinque versi e che era presente una parte finale (gli ultimi tre versi) che specificava la modalità con cui la sensazione descritta nei primi due versi era percepita. Questi ultimi tre versi vengono eliminati ottenendo una concentrazione verbale maggiore: in tal modo la densità semantica dei vocaboli è maggiore ed essi risultano, così, caricati di senso e di valore. Con l’eliminazione degli ultimi tre versi dall’iniziale componimento che portava il titolo di Cielo e mare, Giuseppe Ungaretti riesce anche ad accrescere la fulmineità e l’icasticità dei due versi rimanenti.

Il significato di Mattina di Giuseppe Ungaretti

Dal titolo comprendiamo che il poeta sta descrivendo l’esperienza di un uomo che assiste al sorgere del sole dopo l’oscurità notturna: Giuseppe Ungaretti ricorre a un’immagine di vita vissuta che potrebbe, se tenessimo conto della prima versione del titolo, riferirsi a un momento felice, consumatosi dopo una nottata sulla spiaggia, passata in compagnia degli amici o, più probabilmente , a un momento liberatorio, vissuto all’alba dopo un’intera notte insonne vissuta al fronte vicino ai corpi straziati dei compagni che descrive in un altro celebre componimento, Veglia.
La sensazione che Ungaretti vuole esprimere è difficilmente comunicabile, si tratta di una particolare intensità che dona un senso di pienezza e di grandiosità e permette di stabilire un rapporto con una totalità alla quale raramente è possibile accedere. Molti, in questo caso, i parallelismi che la critica ha intravisto con le sensazioni descritte da Dante nel “Paradiso” anche se appare più appropriato il rilievo di Romano Luperini che ha notato come Giuseppe Ungaretti abbia rappresentato la grandezza attraverso la luce.
Il poeta si trova improvvisamente di fronte allo spettacolo della vita che risorge dopo l’oscurità notturna, resa ancor più difficile da sopportare dalla durezza del conflitto bellico; si tratta di uno spettacolo che suscita nell’uomo, in ogni uomo, una consonanza intima e profonda, uno spettacolo che, però, allo stesso tempo, viene restituito attraverso un’immagine talmente concentrata da risultare indefinita.
Mattina esprime un’epifania, una sensazione fulminea e destabilizzante e, allo stesso tempo, un senso profondo di pienezza e di apertura verso l’esterno, prodotto nell’uomo da un istante di sintonia tra la sua interiorità e il mondo che lo circonda; un istante raro e particolarmente difficile da vivere in una condizione come quella della guerra.
M’illumino d’immenso è una formula icastica, emblematica e radicale che rappresenta al meglio anche la poetica di Giuseppe Ungaretti, fondata sulla fiducia nel valore esemplare della parola capace di sondare e descrivere anche l’abisso scavato dalla guerra nella condizione umana.
Le parole utilizzate, minime, nude, essenziali, assumono sul bianco della pagina un valore quasi magico e riescono così ad evocare una condizione esistenziale che ha un valore assoluto anche se rimane saldamente ancorata alla realtà concreta della storia individuale e collettiva, come ben dimostra l’indicazione della data e del luogo.
Che si tratti di un’epifania che intende elevare una condizione interiore al valore dell’universalità, lo conferma un termine come “illumino” che nella storia della letteratura novecentesca e in particolare nel modernismo ha assunto un valore concettuale molto forte e che qui, potrebbe essere reso con:

“rivelazione improvvisa e folgorante del senso profondo della vita e delle cose”.

Un secondo elemento rivelatore per comprendere a pieno il significato di “M’illumino d’immenso” è la figura retorica utilizzata, la sinestesia che qui, con una valenza potentissima, associa lo stimolo visivo e, in senso lato, anche corporeo della luce con la figura astratta ed esclusivamente concettuale dell’infinità.
Pier Vincenzo Mengaldo ha notato come sia proprio la tensione all’ineffabile che spinga Ungaretti a utilizzare enunciati così ridotti come quello di Mattina, si tratta di un espediente stilistico per perpetuare una tradizione poetica, quella del simbolismo, di cui già Mallarmé e Valéry avevano definito le coordinate essenziali intendendo il testo poetico come progressiva e instabile approssimazione a un valore-limite.

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Ciao
anto_netti