barnabino, 8/30/2011 12:17 AM:
Riporto qui, in una sezione più adeguata, una delle osservazioni di Angelo sulla TNM
Ciao Barnabino, gli argomenti sono molti e sono costretto a una cernita, rimandando più puntuali delucidazioni. Saluto Naaman, che leggo sempre con interesse.
Partirei dalla prima osservazione, perché tu hai ragione, in genere la logica "filologicamente corretto" è senza dubbio: se c’è scritto Signore va tradotto Signore, se c’è scritto Jahveh o simili, va mantenuto.
Ora, questo è naturalmente vero in generale, ma qui stiamo parlando di una caso davvero molto particolare, di cui il filologo non può non tener conto. Non stiamo infatti parlando di due termini comuni (un nome proprio e l'appellativo "signore") ma stiamo parlando più precisamente del Nome Divino e di un termine che assunse nel corso del II (?) secolo d.C. un significato molto particolare, metto non a caso un punto di domanda perché quando e come si cominciasse ad usare kurios invece del tetragramma resta ancora per molti versi un problema irrisolto (basta leggere il lemma kurios sul DENT).
Dunque al filologo giova ricordare che fin dall'origine del testo, per la sua sacralità, il Nome Divino ha da sempre goduto di un trattamento particolare, della cui storia ed evoluzione sarebbe errato non tener conto, proprio da un punto di vista filologico: il Nome poteva venir trattato e considerato molto diversamente nel VI secolo a.C. e nel II secolo d.C., nel pensiero giudeo-ellenistico, in quello giudeo-palestinese o quello giudeo-cristiano e di questo dobbiamo necessariamente tener conto anche nelle considerazioni filologiche sottostanti la traduzione.
Infatti, stesso problema per
staurós. Quando assunse il valore traslato di croce? Dopo il NT o addirittura molto prima? In che senso lo usa un Polibio, a contatto con gli usi romani ove la croce è già ipotizzabile? Ma prego non rispondermi ora su ciò, se no mettiamo troppa carne al fuoco.
Dunque, diciamo, che da un punto di vista strettamente filologico non sempre kurios, per un ipotetico lettore del I secolo, significava "signore", in taluni casi era solo un sostituto del Nome Divino, dunque kurios era quello che in ebraico viene detto qerè ovvero come si leggeva, ma il lettore sapeva bene che quel qerè, in quella particolare posizione, non significava kurios ma significava YHWH.
Ora, poiché il traduttore deve preoccuparsi tanto dell'aspetto sincronico che diacronico è chiaro che qui la correttezza filologica richiede di tener conto dello sviluppo del trattamento del Nome nel corso del tempo, almeno per quanto questo è possibile dalle fonti che ci sono giunte. Se in una certa epoca il lettore associava alla parola kurios (in certe condizioni) non il significato di "signoria" ma quello del tetragramma allora è quello che, filologicamente, è chiamato a fare il traduttore che deve cercare a sua volta di trasmettere al lettore del XXI secolo il senso del testo come era percepito nel I secolo.
Ovviamente il discorso va ampliato, ma era solo per esemplificare le ragioni filologiche che hanno portato la TNM (ma non è solo la TNM ad adottare questo criterio) a rendere kurios con l'italiano Geova in 237 luoghi del NT. Per altro l'operazione non è nuova né la TNM è l'unica ad aver adottato questo criterio, sia in passato che molto recentemente lo hanno fatto alcuni traduttori, specialmente nel realizzare versioni in ebraico, posso ricordarti Chouraqui e Tresmontant in Francia.
In generale convengo con te, ma il fatto è che qui non si tratta di «taluni casi», ma di 237. Quindi un intervento sistematico con carattere aleatorio e, mi sembra, arbitrario. In rete ho letto delle critiche ad alcuni di questi 237 passi; alcune sono condivisibili, altre meno. Quello che condivido con esse è comunque l’idea generale di una sostituzione aprioristica e filologicamente poco felice. Preciso, anche se ciò è ovvio: parliamo di filologia in senso largo, come metodologia “scientifica”, approccio storico, linguistico semantico ecc. Ovvero qui non stiamo a parlare di filologia in senso stretto, ove prendiamo il testo greco, ci facciamo sopra la nostra bella edizione critica, la sua introduzione in latino ecc. È però vero che se noi accettiamo queste 237 sostituzioni in traduzione, dovremmo anche immaginarci e presupporre una edizione critica in cui dovremmo sistematicamente sostituire nel testo greco
kúrios col tetragramma. Magari qualcuno l’ha fatto, ma mi sembra un’impostazione assurda. Nel caso, mi piacerebbe sapere che giustificazione ne ha dato. Quest’ultima, da parte mia, è più una domanda che un’argomentazione.
Non ho ben capito, però, in che senso Geova indicherebbe, storicamente, un "orientamento religioso" associato ad un'origine dispregiativa. Se ti riferisci al fatto che usando Geova nell'AT si vogliono sottolineare le sue radici giudaiche, direi che è proprio così.
Scusami, qui un po’ la fretta mi ha tradito (tant’è che ho persino confuso ‘destra’ e ‘sinistra’). Con storico intendo che il nome, anche se altomedievale è comunque stato usato da generazioni, come nome di Dio. Inoltre non è che se io lo chiamo Jahveh e voi Geova cambi il concetto, così come è la stessa cosa chiamar Shakespeare William o Guglielmo (anche se il caso è infinitamente meno complesso). Vi identifica e, mettendomi nei vostri panni, sarei fiero di usarlo soprattutto a fronte di coloro che ve lo rinfacciano in maniera spregiativa (quindi non origine dispregiativa, in effetti i miei esempi erano ambigui). Al riguardo, le mie perplessità vertono sul solo piano terminologico, per cui non condivido, fuori dell’ambito linguistico, chi dice che per coerenza dovreste chiamarvi testimoni di Jahvè o simili. Ciao.
[Modificato da Quixote68 30/08/2011 20:42]
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Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς.
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
GIOVANNI, III, 19. (G. Leopardi, La ginestra, esergo)