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Soldi neri all'estero: denunciati funzionari di banca e un prete

Ultimo Aggiornamento: 01/04/2010 14:47
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01/04/2010 14:47
 
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Evasione scoperta a Roma dalla Guardia di Finanza I quattrini erano trasferiti in Svizzera e in Lussemburgo ROMA

Funzionari di banca trasferivano in Svizzera e Lussemburgo grosse somme, frutto di evasione fiscale e soldi "neri" che venivano da una clinica privata della capitale, da imprenditori edili, antiquari, agenzie di viaggio e persino da un sacerdote. È quanto hanno scoperto le Fiamme Gialle del comando provinciale di Roma che hanno denunciato 14 persone per riciclaggio ed evasione fiscale internazionale. Nel corso dell’operazione sono stati scoperti anche 3 milioni di euro riciclati. I funzionari di banca si muovevano personalmente per raccogliere i contanti in tutta Italia (soprattutto a Roma, Milano, Firenze e Modena) e portarli in una filiale a Lugano dove venivano depositati su conti «cifrati». Variegato il ventaglio delle persone che affidavano i guadagni non denunciati al fisco italiano. Nel caso del sacerdote, secondo quanto accertato dai finanzieri, vi era il progetto di creare nelle isole Cayman una società off-shore sui cui conti far transitare gli importi dei libretti al portatore del prelato. Si trattava di cifre consistenti e quindi il compenso richiesto sarebbe stato molto più alto del normale. Ma le commissioni per portare a termine le rischiose operazioni di «ripulitura» erano comunque elevate, anche nei casi «standard»: di solito si avvicinavano all’1% delle somme trasferite, destinate a crescere fino a sopra il 2% nei periodi (Pasqua e Natale) in cui la richiesta del particolare «servizio» finanziario raggiungeva i picchi più alti. Il trucco era quello di far «girare» meno contante possibile per evitare di essere fermati al confine. I responsabili si erano perciò inventati un sistema di «compensazione» on the road. Chi voleva trasferire le somme le consegnava personalmente al funzionario di banca che, a sua volta, le metteva a disposizione di altri clienti, al contrario, bisognosi di «liquidi» da spendere in Italia. Qualche giorno dopo, le operazioni venivano registrate presso la banca estera, a credito e a debito a seconda dei casi e per i contanti movimentati. In cambio, i correntisti dovevano pagare una percentuale sulle somme e compilare una ricevuta, utilizzata come «pezza di appoggio» dell’operazione. Ma non era l’unico modo per riciclare. Gli uomini del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma ne hanno infatti scoperti molti altri. Tra i più gettonati, il ricorso a società fantasma nei «paradisi fiscali», costituite tramite fiduciarie in Svizzera e in Lussemburgo, che venivano utilizzate sia per l’emissione di fatture false (relative a finte consulenze), sia per realizzare, a favore dei clienti più ricchi, tra cui anche i titolari di una nota clinica privata di Roma, un sistema complesso di «cartolarizzazione» dei crediti. In pratica, l’imprenditore italiano che voleva portare «fondi neri» all’estero cedeva ad una società di cartolarizzazione (che era naturalmente d’accordo) un ingente portafoglio di crediti nei confronti di clienti sicuramente solvibili (per esempio enti pubblici). I crediti venivano molto svalutati e l’azienda italiana venditrice registrava in contabilità la perdita che seguiva alla cessione, riducendo i ricavi e quindi l’utile dell’esercizio su cui pagare le tasse. L’azienda di cartolarizzazione a sua volta, spiegano i finanzieri, cedeva il credito a una fiduciaria svizzera o lussemburghese ad un prezzo leggermente più alto e ne otteneva un guadagno minimo. A questo punto la fiduciaria cartolarizzava il credito emettendo obbligazioni che venivano tutte acquistate da una società «fasulla», di solito intestata a professionisti esteri, ma riconducibile di fatto alla prima azienda italiana venditrice del portafoglio. Prima della scadenza delle obbligazioni, la società fasulla apriva un conto corrente presso la filiale svizzera del gruppo bancario. Era su questo conto che la fiduciaria, dopo aver ricomprato i titoli emessi e trattenuta una piccola percentuale per il servizio reso, versava la parte restante sul conto aperto a favore dell’impresa fasulla. E infine l’ultimo passaggio, quello decisivo: la società fasulla era posta in liquidazione e i fondi venivano trasferiti in contanti su un nuovo conto corrente rigorosamente «cifrato», di solito intestato ad un’altra falsa società, ma a disposizione dell’azienda italiana che in questo modo poteva godersi il suo «nero».
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