La storia di Benjamin Lay: «profeta incontenibile» e primo abolizionista moderno
Quando nei primi decenni del Settecento l’ex marinaio Benjamin Lay inizia la sua battaglia contro l’Olocausto nero, gran parte del mondo considera la schiavitù una realtà naturale e immutabile. Benjamin – un quacchero gobbo e affetto nanismo – vuole la libertà, e la vuole subito: nasce così il primo movimento sociale del mondo moderno.
Benjamin era un quacchero, un filosofo, un marinaio, un abolizionista e un commoner. Da libero pensatore trasse ispirazione da una varietà di libri e tradizioni intellettuali, combinandoli in modo creativo al servizio dei suoi valori e dei suoi scopi. Innanzi tutto fu un antinomiano radicale, convinto che la salvezza fosse conseguibile solo attraverso la grazia e che il rapporto diretto con Dio ponesse il credente al di sopra delle leggi umane.
Benjamin fu sottoposto a pressioni ben più forti e protratte, cumulate alla derisione per il suo aspetto fisico, eppure non si lasciò mai piegare, intimidire o spaventare, né mai ritrattò. Al tempo stesso la sua determinazione e convinzione lo rendevano una persona a dir poco difficile e ruvida. Se era amabile con gli amici, era un vero flagello per chi dissentiva da lui. E in effetti era non solo aggressivo e polemico ma anche testardo e restio ad ammettere i propri errori. La fede antinomiana basata sul rapporto diretto con Dio lo rendeva intransigente e a volte intollerante. Più incontrava resistenza (o, secondo la sua visione, più Dio metteva alla prova la sua fede) e più si convinceva di essere nel giusto. Aveva motivi sia religiosi sia opportunistici per comportarsi così: era certo che la sua irruenza fosse essenziale per sconfiggere il male profondo dello schiavismo.
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