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Qui si fa riferimento ai coeredi di Gesù Cristo che sono viventi al tempo della sua presenza nel potere del Regno.

Il particolare versetto in questione si comprende meglio alla luce del soggetto che l’apostolo Paolo considerava scrivendo ai Tessalonicesi. Leggiamo: “Fratelli, non vogliamo che siate nell’ignoranza circa quelli che dormono nella morte; affinché non vi rattristiate come fanno anche gli altri che non hanno speranza. Poiché se la nostra fede è che Gesù morì e sorse di nuovo, così anche quelli che si sono addormentati nella morte per mezzo di Gesù, Dio li condurrà con lui. Poiché questo vi diciamo per la parola di Geova, che noi viventi che sopravvivremo alla presenza del Signore non precederemo affatto quelli che si saranno addormentati nella morte; perché il Signore stesso scenderà dal cielo con una chiamata di comando, con voce di arcangelo e con tromba di Dio, e quelli che son morti unitamente a Cristo sorgeranno per primi. In seguito noi viventi che sopravvivremo, saremo rapiti insieme con loro nelle nubi per incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore. Quindi continuate a confortarvi gli uni gli altri con queste parole”. — 1 Tess. 4:13-18.

Si può vedere che il punto considerato è la risurrezione dei coeredi di Cristo. Tutti i suoi coeredi che morirono prima della sua presenza nel potere del Regno rimasero addormentati nella morte. Dopo l’inizio della sua presenza, comunque, tutti questi morti sarebbero stati destati all’immortale vita spirituale, per unirsi al Signore. Che confortante pensiero era questo per i cristiani di Tessalonica in vista delle tribolazioni che subivano! — 1 Tess. 1:6.

Ma non abbiamo nessuna ragione scritturale per pensare che Gesù dovesse scendere letteralmente dal cielo e che la risurrezione e la glorificazione di quelli che dormivano nella morte fossero visibili agli uomini sulla terra. Perché no? Perché Gesù Cristo, come persona spirituale in cielo, “dimora in una luce inaccessibile”. ‘Nessuno degli uomini l’ha visto né lo può vedere’ come tale. (1 Tim. 6:16) La sua situazione è perciò paragonabile a quella del suo celeste Padre. (Ebr. 1:2, 3) Pertanto Gesù Cristo ‘scende’ nello stesso senso in cui la Bibbia dice che Geova Dio scende. Per esempio, le Sacre Scritture dicono di Geova: “Egli abbassava i cieli e scendeva; e sotto i suoi piedi era fitta oscurità”. (2 Sam. 22:10) “Ecco, Geova esce dal suo luogo, e per certo scenderà e calcherà gli alti luoghi della terra”. (Mic. 1:3) È evidente che Dio non lasciò letteralmente il suo luogo di dimora nei cieli invisibili, ma rivolse la sua attenzione agli uomini sulla terra, dimostrando la sua potenza verso di loro. Similmente, come indicò l’apostolo Paolo, alla sua presenza Gesù Cristo avrebbe rivolto l’attenzione a questa terra ed esercitato il suo potere di risuscitare i suoi coeredi che dormivano nella morte.

Doveva la loro risurrezione essere visibile agli occhi umani? Questo non era proprio possibile. Perché no? Perché essi sono ‘uniti a Gesù Cristo nella somiglianza della sua risurrezione’. (Rom. 6:5) Essi ricevono una risurrezione come la sua. E della risurrezione di Gesù, le Scritture ci dicono che fu “reso vivente nello spirito”. (1 Piet. 3:18) Per esser visto dai suoi discepoli, Gesù dovette materializzare un corpo di carne. Questo servì a dar loro la prova che era stato davvero reso vivente. (Atti 1:3) La sua risurrezione, però, fu invisibile agli occhi umani. Le guardie che erano presso la tomba di Gesù “tremarono e divennero come morti” non per aver visto Gesù risuscitato, ma a motivo dell’angelo che aveva rotolato via la pietra dalla tomba. — Matt. 28:3, 4.

Similmente, la risurrezione dei coeredi di Gesù Cristo è invisibile. Nel loro caso, comunque, le Scritture non forniscono nessuna indicazione che rimangano nelle vicinanze della terra e immediatamente dopo la loro risurrezione rivelino d’esser viventi ai conservi credenti.

In base a ciò possiamo capire che il riferimento ai viventi che sono “rapiti” non potrebbe voler dire che i loro corpi di carne e sangue comincino a fluttuare verso l’alto per incontrare il Signore Gesù Cristo in ciò che alcuni chiamano “l’estasi”. Egli non sarà nell’aria letterale su una nube letterale, poiché “dimora in una luce inaccessibile” nel più alto dei cieli, nell’invisibile reame spirituale. Ciò nondimeno, l’essere “rapiti” deve riferirsi a qualche cosa che accade effettivamente in relazione alla risurrezione.

Potrebbe riferirsi al fatto che sono “rapiti” lontano dal condannato mondo del genere umano? Potrebbe riferirsi al fatto che sono elevati, che si mettono a ‘sedere nei luoghi celesti unitamente a Cristo Gesù’ perché è stata loro assegnata l’eredità celeste insieme a lui? (Efes. 1:3; 2:6) No, non era questo che Paolo considerava nella sua lettera ai Tessalonicesi.

Il riferimento al loro essere “rapiti” era un punto che i cristiani di Tessalonica potevano usare per confortarsi gli uni gli altri quando i coeredi di Gesù morivano. Ovviamente, il fatto che i coeredi sono ora separati dal mondo condannato non è la vera fonte di conforto quando qualcuno muore nella congregazione del popolo di Dio. Inoltre, l’essere separati in questo modo e uniti con Gesù in senso spirituale non potrebbe proprio voler dire essere “sempre col Signore”. Una volta che i coeredi di Cristo terminano il loro corso terreno, quella condizione non esiste più, poiché alla risurrezione saranno personalmente con il loro Signore e per sempre. E, naturalmente, anche il mondo condannato passerà. Inoltre, chi è ora sulla terra potrebbe essere separato per un po’ dal mondo ma a causa di infedeltà perdere in seguito la ricompensa d’essere con il Signore Gesù Cristo. — Riv. 2:10.

Perciò, le parole di Paolo ai Tessalonicesi indicano che c’è qualche cosa di diverso nella risurrezione di quelli che muoiono prima della presenza di Cristo nel potere del Regno e di quelli che terminano il loro corso terreno e muoiono durante quella presenza. Questa differenza si può discernere da Rivelazione 14:13, dove leggiamo: “Felici i morti che da ora in poi [cioè dalla sua venuta nella gloria del Regno] muoiono unitamente al Signore. Sì, dice lo spirito, si riposino dalle loro fatiche, poiché le cose che fecero vanno direttamente con loro”. Mentre i coeredi di Cristo che morirono prima della sua presenza dovettero dormire nella morte, questo non è necessario per quelli che finiscono il loro corso terreno durante tale presenza. Essi sono immediatamente destati alla vita celeste. Cessano le loro fatiche terrene ed entrano direttamente al servizio celeste. Come invisibili persone spirituali, sono ‘rapite’, come nelle nubi (simbolo di invisibilità), per essere per sempre con il loro invisibile Signore. Questo è anche in armonia con le parole dell’apostolo Paolo ai Corinti: “Non tutti ci addormenteremo nella morte [cioè rimarremo nello stato di morte in attesa della risurrezione in futuro], ma tutti saremo mutati, in un momento, in un batter d’occhio”. — 1 Cor. 15:51, 52.

Pertanto, ciò che Paolo scrisse in I Tessalonicesi 4:13-18 era in sostanza questo incoraggiante messaggio: Gli unti cristiani che muoiono prima della presenza del Signore dormono nella morte. Quando comincia quell’attesa presenza, essi sono destati alla vita celeste come immortali creature spirituali.Gli unti cristiani che sono in vita durante quella presenza, comunque, non dormono nella morte. Alla morte essi sono immediatamente mutati, essendo portati in cielo per essere con Cristo per sempre.

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