Per Simon
“Scusami un attimo Poly. In base a cosa affermi (tu, con la tua pari d’oltreoceano) che questa pratica sia da limitare all’epoca “pre repubblicana””
Scusa ma dove nel testo di Leolaia trovi scritto che questa pratica si limiti all’epoca pre-repubblicana? Il testo dice solo che nell’epoca pre-repubblicana si usava questo supplizio, non che lo usassero solo nell’epoca pre-repubblicana.
“Di seguito, temporalmente quando sarebbe avvenuta questa fantomatica transizione al presunto “mos” di cui stiamo amabilmente discutendo?
“
Con le guerre puniche. C’è una pena arcaica, che consiste nel trasporto del patibulum, detto anche furca. In seguito si usò questo trasporto del patibulum per fornire alla crux il suo braccio trasversale. Questo non vuol dire che si sia smesso di praticare la pena umiliatoria del solo trasporto del patibulum, vuol dire solo dire che, qualora questo fosse il preambolo per un’esecuzione capitale, questo patibulum andava a costituire il braccio trasversale della futura croce.
“Non vedo un orizzonte di alcun tipo in queste affermazioni: quando sarebbe avvenuta questa presunta “fusione della crocifissione fenicia” col trasporto? “
Quando, per l’appunto, i romani hanno incontrato i fenici. Le guerre puniche.
“Anche qui mi tocca richiamarti all’ordine, come ho dovuto fare spesso in questo 3D, come se il dottorando fossi io…
Definire un oggetto un sepolcro non significa esattamente “morirci sopra””
Per me invece è chiarissimo. Cosa diavolo dovrebbe voler dire, se non che ci morirà sopra? Ma fai il bastian contrario per partito preso. E’ una frase che si usa ancora oggi, in espressioni come: se guidi troppo forte, l’automobile sarà la sua tomba. Oppure: per chi annega l’oceano è la sua tomba. Sono espressioni per dire che si morirà in un luogo. Non trovi che ci siano un po’ troppe coincidenze? Tutta questa gente che va verso una crux con un patibulum, ed invece nessuno di cui sia detto che ci va con un palo? Come si spiega dunque la fantasiosa ricostruzione che i TdG fanno della morte di Gesù. Da una parte abbiamo chi dice che abbiamo dei patibula portati verso una croce, e ne deduce che vengano issati su di essa. Dall’altra c’è chi invece non può produrre una sola fonte che parli di pali verticali trasporti sul luogo dell’esecuzione, e per di più, mentre rimprovera agli altri che non c’è scritto da nessuna parte che il patibulum venga innestato sulla croce, si deve anche lui inventare una procedura mai descritta, cioè che i soldati si mettano a piantare sul luogo del supplizio il palo verticale portato dal condannato a morte. Dunque io ho il patibulum portato fino alla crux, e ne deduco che li sia stata issata. Tu invece non puoi attestare né il palo verticale portato dal condannato, né che questo sia mai stato piantato. Direi che voli più di fantasia tu.
Inoltre questa era una mera ipotesi mentale, infatti non è vero che non ho prodotto testimonianze dove si dice che il patibulum è innestato sulla croce. Ricito Giustino che è chiarissimo: “Il corno unico e infatti il legno ritto la cui parte
superiore si sporge in alto come un corno
quando viene innestato un legno trasversale, le cui estremità vengono ad essere come corna a lato dell’unico corno.” (Dialogo con Trifone 91)
“Men che meno significa quello di cui stiamo dibattendo da lungo tempo nel 3D, cioè che su quella “crux” verrà attaccato un “patibulum””
Abbiamo il patibulum che viene portato alla croce, con il prigioniero inchiodato allo stato, e poi viene detto che il prigioniero viene fatto “ascendere alla croce” (in crucem excurrere), il verbo da proprio l’idea di qualcosa che viene fatto salire, del patibulum tirato su con le corte che ascende sulla croce.
“Da ultimo, il parallelo non è affatto identico: non possiamo affermare che Gesu’ venne attaccato (o addirittura inchiodato, adfixum) al “patibulum” durante il trasporto. Anzi, oserei dire l’esatto contrario.”
Non ho ben capito di che passo stai parlando qui, ma comunque mi sembra di capire che parli di un passo in cui si dice che qualcuno è inchiodato ad un patiblum.
Io fossi in te a forza di vedere gente che va verso una crux con un patibulum attaccato, qualche domanda me la farei. Pare che l’unica cosa che ti manca e sulla quale insisti sia l’assenza della precisa descrizione del patibulum attaccato alla croce. Ma, come ripeto, se lo schiavo plautino era inchiodo al patibulum, e con questo patibulum si dice che va verso la croce, e poi viene fatto ascendere in croce, allora, se dovessimo dar retta a te, avrebbero dovuto
schiodarlo dal patibulum e attaccarlo poi ad una crux, singolo palo. Perché disturbarsi a schiodarlo dal patibulum, cosa alquanto laboriosa tra l’altro, quando la cosa più semplice sarebbe stata tenerlo inchiodato lì dov’era, ed issarlo sulla croce mentre era attaccato alla sbarra orizzontale? Il fatto che la tradizione ci parli di patibulum con chiodi e di schiavi che vanno verso la crux inchiodati al patibulum è la prova indiretta che il patibulum non veniva dismesso arrivati alla crux, giacché avrebbero dovuto schiodarlo, bensì, affissi com’erano, venivano issati sulla croce. La crocifissione di Gesù, in cui il trasporto del patibulum non comportava chiodi ma solo l’essere legati con delle funi, è una variante. Quello che si ottiene è il medesimo risultato. Il prigioniero legato poteva essere issato sulla croce, sicché la pratica abituale era rispettata.
“
Nuovamente, le “cruces” pronte per l’esecuzioni lasciano davvero pensare ai pali piantanti per sospenderci il poveretto. Ce ci fosse l’usanza di attaccarci il “patibulum””
Come ripeto, basta fare due più due. Cristo, esattamente come questi schiavi, sono condotti per essere crocifissi fuori dalla porta della città. Per Cristo non sappiamo cosa portò, mentre per questi schiavi la parola usata da Plauto per dire cosa portano “extra portas” è il patibulum, ed “extra portas urbis” c’erano per l’appunto dei pali già piantati. Se facciamo il confronto vediamo che la situazione è identica, anche Cristo ha portato un patibulum, e fuori dalla città c’era un luogo con una crux già piantata ad attenderlo, anzi, varie cruces. La tipologia è identica.
“Di nuovo torniamo alla fiera del prosciutto: il riferimento è al “patibulum”, non alla “crux” col “patibulum””
Qui dice che finirà col patibulum fuori dalla porta della città, dove, come ripeto, altre fonti ci testimoniano che ci fossero dei pali già piantati, e siccome le fonti ci descrivono molte croci come fatte a T, allora gli studiosi giustamente hanno dedotto che il braccio orizzontale venisse dal patibulum fin là trasportato, come infatti la testimonianza di Giustino conferma. Tutto torna, siete voi che ponete delle difficoltà inesistenti.
“L’ho citato per due motivi: uno è l’utilizzo del “patibulum” come forma di tortura (in questo caso di semplice umiliazione) a sé stante
”
Sai, trovo difficile parlare di tortura e umiliazione di qualcuno se si parla del suo cadavere. Vada per l’umiliazione, ma la tortura? Come ripeto, questo brano non c’entra niente con quello di cui tu vorresti parlare, cioè il trasporto del patibulum come pena a sé stante. Qui non c’è qualcuno che trasporta il patibulum, ma qualcuno che, già morto e mutilato, è attaccato al patibulum e portato in giro per mostrarne la fine ingloriosa.
“Di seguito, visto il tuo commento poco lucido (“Non c’è dunque alcun rituale della crocifissione in questo passo perché non c’era più nessuno da crocifiggere”), potrei citarci molti esempi di “crux” usata per attaccarci i cadaveri, ma il piu’ ovvio è proprio il noto episodio legato a Giulio Cesare (che qui riporto tramite Svetonio) e ai pirati:”
Il mio esempio è lucidissimo, qui c’è un cadavere mutilato, e dunque non è il trasporto del patibulum come preambolo della pena della crocifissione perché qui la persona è già morta. Il brano che citi invece non ha nessun parallelismo col nostro, perché lì la funzione di esporre il cadavere per umiliarlo è per l’appunto rivestita dalla crux, mentre qui questo è già svolto dal portare in giro il corpo mutilato attaccato al patibulum, dunque non c’era bisogno di attaccarlo a nessuna croce.
“vanescente.
Le fonti che citi ora (Tertulliano, Luciano, Artemidoro) sono roba, nemmeno di seconda, ma di terza mano.”
Non si vede perché, sono fonti coeve all’impero.
“Mi vuoi documentare un “mos romanorum” e pretendi che scrittori del calibro di Cesare, Tito Livio, Valerio Massimo, Tacito e Sallustio nonché Cicerone, Seneca e Plinio, il fior fiore della latinità, abbiano tralasciato di menzionarlo e vadano integrati con esempi di romanità eccelsa quali Tertulliano, Luciano o addirittura Artemidoro? “
Io non ti ho detto che questi autori non lo menzionano, o che non si possa ricostruire anche sulla base di alcuni di questi autori, ne ho semplicemente citati altri (nel pdf ad esempio troverai un’analisi del mos romanorum in Seneca). Vedi, le fonti non obbediscono a quello che vogliamo noi, quello che ci arriva dal mondo antico è causale e dettato dalle circostanze. Per descrivere cosa facciano i romani Luciano non è meno indicato di Cesare, perché Luciano al pari di Cesare è un autore che è vissuto nel periodo temporale che ci interessa, ed in una provincia romana, al pari di Artemidoro, e di Tertulliano. Come ripeto la croce era qualcosa di cui si preferiva non parlare, sicché, per ricostruire qualcosa, può essere necessario mettere insieme le testimonianze che vengono da varie fonti. Comunque, si vede che non sei abituato a lavorare con le fonti antiche, e che dunque ignori la regola numero uno della storiografia: più una cosa è conosciuta, e meno le fonti ne parlano.
Perché vedi se scrivi un libro per i tuoi contemporanei, non li informi di quello che tutti sanno. Sicché ad esempio non scriveresti mai, per un pubblico italiano: “Roma, che è una città del Lazio, ha 72 Chiese”, scriveresti solo “Roma ha 72 Chiese”, perché dai per scontato che tutti i tuoi lettori sappiano dov’è Roma. Allo stesso modo nessuno s’attarda a descriver in maniera dettagliata e puntigliosa com’è fatta una crocifissione o come si crocifiggeva, sia perché erano cose note a tutti (poiché tutti ai romani erano soggiogati), sia perché faceva schifo parlarne. Infatti se vediamo il perché Luciano ed Artemidoro parlano più diffusamente di com’è fatta la croce, è perché non sta parlando nessuno dei due di una crocifissione reale. Artemidoro infatti discute di cosa possa significare sognare di essere crocifissi, e Luciano parla di com’è fatto lo stauros per dire che la sua forma assomiglia a quella della lettera tau in un componimento in cui stava parlando di tutt’altro, cioè dell’alfabeto greco. Vale a dire che riescono a parlare di croce, e a dirci cose specifiche, proprio perché, non parlando di una crocifissione particolare, non c’è il ribrezzo e il pudore che si ha nel parlare della morte di qualcuno. E’ più facile descrivere la croce mentre parli delle consonanti dell’alfabeto greco che mettersi ad indugiare, descrivendo com’è fatta una croce, se stai dicendo che una persona viene ammazzata (che senso avrebbe infatti in quel caso fermarsi a precisare com’è fatta una croce, cosa per altro a tutti nota e dunque inutile da precisare)? Ergo, quanto più si parla di fatti concreti, tanto meno ci si può aspettare che la gente, inorridita dalla visione, scenda nei particolari a descriverla. Mentre, quanto più si parla della croce in astratto, come in Luciano o Artemidoro, tanto più ci si può aspettare una descrizione. Tertulliano poi parla di croce perché ha un motivo preciso, cioè Cristo messo in croce, ed è per questo che gli autori cristiani hanno più riferimenti dei pagani, che dalla croce erano invece schifati e non avevano nessun motivo per parlarne.
“Mi vuoi far credere che gli eventuali esempi visti da Tertulliano, Luciano o Giustino, che peraltro differiscono in non pochi trascurabili dettagli da quelli degli autori latini citati, possano dimostrare qualcosa riguardo alla forma della “crux” nelle esecuzioni romane menzionate dagli altri autori e, men che meno, riguardo alla forma della “crux” del Cristo? “
Ma certamente. Luciano ad esempio dice che l’esecuzione su croce era così comune che la gente credeva che la parola s
tauros derivasse il suo nome dal tau. Giustino similmente descrive com’è fatta una croce, ed è buono come chiunque altro vissuto in quel periodo come fonte.
“Alla mia età, anzi già da qualche anno a questa parte, preferisco non fare piu’ ipotesi fideistiche sui risultati prodotto dal fantomatico “mondo accademico”
Preferisci affidarti all’ipotesi singola di uno svedese che non sei in grado di valutare…
“Mi limito a fare domande e cercare risposte. Posta come la poni tu, qualunque sia il risultato, sarebbe una statistica improponibile e priva di alcun valore. Indicami lo studio che definisce rigorosamente cosa stà contando, poi ne menziona e numera le occorrenze, me lo leggo piu’ che volentieri e ne riparliamo. “
“Crux Domini atque crocifixio” dell’Holzmeiester, che fu professore al Pontificio Istituto Biblico di Roma, purtroppo per te è scritta in latino (sai com’è, prima degli anni sessanta nelle facoltà pontificie era l’unica lingua concessa). Ma visto che pretendi di discutere di lessicologia latina, suppongo che non avrai problemi a leggerla. Questo testo è di capitale importanza, il più citato in assoluto su questo problema, e si può dire che tutti gli studiosi successivi l’hanno saccheggiato a piene mani perché è stato il primo a riportare tutte le fonti, che poi altri hanno semplicemente ripreso.
“Se ritieni che Tertulliano sia significativo riguardo al “mos”, citami una sua descrizione di esecuzione capitale romana a mezzo “crux”. “
Ma perché vuoi incastrarmi in percorsi argomentativi fittizi? Perché per essere validi testimoni di come avviene una crocifissione occorrere descrivere una crocifissione concreta? Se tu devi descrivere come si cucina la faraona ripiena, puoi dare questa ricetta in astratto e dire come si prepara senza nominare nessuno, o devi invece descrivere una persona particolare, tua moglie ai fornelli, mentre la cucina? Non occorre descrivere una particolare crocifissione di un malcapitato x per descrivere come una crocifissione avveniva.
Vediamo che informazioni si possono ricavare da Tertulliano su quello che crux stava iniziando a significare in modo specifico, cioè due bracci incrociati. Egli scrive:
“
Parte di una croce [crux] è ogni legno che piantato viene in posizione verticale. Noi, se mai, adoriamo un dio intero e completo” (Apologetico, XVI, 6)
Se Tertulliano può dire, ed essere capito dai suoi lettori, che il legno verticale è solo “parte” della croce, è perché nel frattempo il significato andava slittando verso una crux con una precisa forma geometrica, a causa della ricorrenza con cui le cruces assumevano tale forma. Altro involontario indizio che la crux sia sempre più distinta dal palo, ce lo dà sempre lui, testimone del lessico latino del suo tempo, guardo dice:
“Affiggete i cristiani a croci [crucibus] e a pali [stipitibus]: c’è forse vostro simulacro che non sia stato prima argilla sovrapposta ad una croce e ad un palo [cruci et stipiti]?” (Apol XII,2)
Anche qui, questa frase del locutore latino Tertulliano è possibile solo che stipes non è lo stesso che crux, altrimenti non avrebbe specificato la differenza.
Dunque, questo è un’indizio lessicale sul mos romanorum, perché qui vediamo che la crux è qualcosa di più di un palo (tant’è che il palo viene definito come “parte” di una croce), e qualcosa di diverso da un palo (tant’è che si distinguono i romani appesi alle croci da quelli appesi ai pali).
Prima che tu dica qualcosa ribadisco che non sto dicendo che i romani non attaccassero anche a dei pali, sto dicendo che, qualora veniva fatto portare un patibulum al condannato, allora siamo all’interno del rituale della crocifissione, e dunque si finiva appesi su una croce.
“Guarda che stai uscendo, ancora una volta, fuori strada. Tertulliano avrà potuto eventualmente vedere le “cruces” in uso verso la fine del II e all’inizio del III. E’ ovviamente da escludere che abbia visto “cruces” del I o addirittura lo “stauros” del Cristo, “
Adesso qui sei tu che straparli, perché stai presumendo che i romani tra il primo e il II secolo abbiano cambiato modo di crocifiggere, e che se dunque Tertulliano nel II secolo ci dice che il palo è solo parte di una croce, nel I secolo non era così. Possibile ovviamente, ma non vedo proprio perché dovrei dar più retta a te per sapere com’era fatta una croce romana rispetto ad uno che visse nel II secolo.
“Quello che a noi interessa molto di piu’ è un’eventuale attestazione del “mos” da parte di Tertulliano, su questo mi piacerebbe leggerti”
Come già detto, queste cose si ricavano non da un solo autore, ma dal mettere insieme i tasselli che provengono dalle indicazioni sparse qua e là. Questo avviene per qualsiasi cosa dell’antichità si voglia ricostruire: non c’è mai un autore che ci dica tutto di qualcosa, e bisogna sempre incrociare le fonti. In questo caso ho citato Tertulliano perché ci parla della forma finale della croce, che poi è quello che ci interessa, siccome poi sappiamo che alla croce veniva portato un patibulum, si è dedotto che fosse quello a fornire il braccio trasversale della croce. Questa deduzione non è arbitraria, perché Artemidoro e Plurarco scrivono che chi è appeso allo stauros, prima se lo porta, dunque si era affissi allo stauros che si era appena trasportato. Ma siccome sappiamo che lo stauros che ha in mente Artemidoro è una croce (visto che la paragona a gente che danza a mani divaricate e all’albero della nave col pennone), allora, poiché siamo d’accordo sul fatto non venissero trasportate croci intere dal furcifer, se ne deve dedurre che “chi è appeso allo stauros, prima se lo porta” si riferisca al patibulum. Non può riferirsi al palo verticale, sia perché questo non è mai attestato da nessuna parte, sia perché come ripeto Artemidoro specifica che la forma finale dello stauros è una croce. Abbiamo qui dunque attestato che ciò che veniva portato, era ciò cui si veniva appesi. E, per l’appunto, siccome siamo pieni di fonti, da Plauto in poi, che guarda caso ci dicono di gente che va verso una crux portando un patibulum, allora giustamente diciamo che a quello stesso patibulum venivano attaccati, e che esso andava a formare la croce. E non lo diciamo per una nostra fantasia privata, ma perché sia Plutarco che Artemidoro scrivono che si veniva inchiodati a quello che si era appena trasportato (Plutarco, Moralia, De Sera Numinus Vindicta 554 A, Artemidoro di Daldi, Oneirocritica 2.56) Dunque non ha senso dire che questa gente si portasse il patibulum fino al luogo dell’esecuzione e poi lo mollasse là, perché il confronto con queste altre citazioni ci permette di dire che si portava e si veniva appesi ad uno stesso pezzo.
“Magari sono poco chiaro, ma non ti rimettere a tagliare ad arte i post altrui. Io ho parlato di esecuzioni con “crux, antemna e sedili” non solo di “crux”. “
Beh, sì esistono persone che ci dicono che la croce aveva un braccio orizzontale ed aveva un sedile, ho già citato Ireneo e Giustino, ma in quelle citazioni, poiché sono scritte in greco, le parti ovviamente non sono chiamate così. Ma si evince comunque dalla loro descrizione che c’erano tutti questi elementi, ad esempio se dicono che la croce ha cinque punte, due per braccio, e una in mezzo, dove poggia il condannato, anche se non vengono nominate le parti della croce coi loro nomi latini, si deduce che la croce in questione aveva sia l’antemna sia il sedilis.
“Scusami un attimo, ma chi sono questi signori? Sono rappresentanti della romanità, fonti autorevoli e fautori del famoso “mos”?
Tertulliano aveva famigliarità col “mos romanorum” perché, secondo te, lo aveva davanti agli occhi, e chiama il “patibulum” “antemna”? “
Ma spero vivamente che tu stia scherzando. Qual è il problema? Il mos è sempre quello, non è che se chiami una parola con un sinonimo cambi la sostanza di quello che descrivi. Antemna è un sinonimo perfetto di patibulum perché indica un palo intersecato ad un altro, e dunque gli alberi dei pennoni (da questo termine deriva anche il nostro “antenna” per riferirsi a quegli oggetti che abbiamo sui tetti per ricevere la tv)
“Gli altri due invece vedono “corna” e “cinque punte”.
Scusami un attimo Poly te lo ricordo ancora, qui si parla di “mos romanorum”, non di “amateurs” visionari che si inventano termini di fantasia. “
Ma quali visionari? Qui stanno semplicemente dicendo, per descrivere una croce, che il palo orizzontale è simile ad un paio di corna che si dipartono da un corno centrale. E’ una descrizione basata sulla forma della croce, non una visione mistica. E inventano termini di fantasia, è verissimo infatti che le due punte del patibulum, proprio perché sporgenti verso l’esterno, potevano essere chiamate “corni”. E’ Tertulliano che ci conferma quando dicono Giustino ed Ireneo. Scrive: “Infatti anche nella traversa (antemna), che fa parte della croce (quae pars crucis est), le estremità sono chiamate corna” (Contro Marcione 3,18, 3-4)
Qui tra l’altro Tertulliano fa un commento en passant, evidentemente convinto che i suoi lettori sapessero benissimo di cosa stesse parlando, a meno che tu non voglia pretendere di venirmi a dire che sia il latino meglio di Tertulliano, che coi romani ci visse nel II secolo, e che dunque pretendi di saperne più di lui e di contestargli che in latino le parti esterne della croce fossero chiamate corna, testimonianza tra l’altro confermata da altri due scrittori.
“Naturalmente questa è una tua supposizione indimostrata ed indimostrabile, a meno che non riportino effettivamente una descrizione di un episodio a cui assistettero.”
Ma stai scherzando? Io devo dimostrare cosa? Che sapevano com’è fatta una croce? Scusa ma se vivevano nel II secolo, e la crocifissione è stata abolita nel IV, cosa diavolo fai a pretendere che non abbiano mai visto una persona crocifissa? I romani crocifiggevano schiavi in quantità, e, se anche per remotissima ipotesi costoro avessero vissuti tappati in casa tutto il giorno, e non avessero mai visto una crocifissione in vita loro, evidentemente avrebbero saputo comunque com’era fatta una croce a causa di tutta la gente con cui parlavano. Giustino poi è chiarissimo nel dire cosa assomigli e cosa non assomigli alla forma di una croce, dunque ne conosceva la forma. E viene seriamente da chiedersi come si può mettere in dubbio che non la conoscesse, o come si può pretendere che qualcuno nel XXI secolo sappia meglio di lui cosa significasse la parola stauros! Uno svedese, che coi romani non ci ha mai vissuto e il greco antico non lo parla perché è una lingua morta, vorrebbe insegnare a Giustino ed Ireneo, che cogli antichi romani ci vivevano e parlavano e scrivevano in greco antico, che cosa una parola significhi! Questo è incredibile, e bisogna accecarsi volutamente per poter credere ad una contorsione mentale di così poco buon senso.
Ad maiora
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)